Cass. civ., sez. II, sentenza 13/03/2013, n. 6387

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Ai fini dell'accertamento dell'acquisto per usucapione di una servitù di scolo, non risulta decisivo che le relative opere apparenti insistano sul solo fondo servente, essendo, per contro, necessario che le stesse siano a servizio e rispondano ad un'effettiva utilità del fondo preteso dominante (nella specie, costituita dall'esigenza di far defluire le acque piovane e di coltura).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 13/03/2013, n. 6387
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 6387
Data del deposito : 13 marzo 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. B G A - Presidente -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. S G M R - Consigliere -
Dott. B M - rel. est. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C D e C G, rappresentati e difesi per procura a margine del controricorso dagli Avvocati B E, T C e R F, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Roma, viale Carso n. 51.


- ricorrenti -


contro
G G, G F e G M, residenti in Caresana, rappresentati e difesi per procura a margine del ricorso dagli Avvocati Altavilla O e F G, elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda in Roma, via degli Scipioni n. 94.


- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 1878 della Corte di appello di Torino, depositata il 28 novembre 2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 febbraio 2013 dal consigliere relatore dott. M B;

udite le difese svolte dall'Avvocato G F per i controricorrenti;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. V M, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 1992 G G, G F e G M, proprietari di fondi in Caserana destinati alla coltura del riso, convennero in giudizio C D e C G, proprietari confinanti, esponevano che i loro fondi scaricavano le acque sul fondo della proprietà di C D in un pozzetto collegato con la tubatura sottostante con il fondo di proprietà di C G e che quest'ultimo, nel 1988, aveva compiuto opere che avevano diminuito il dislivello del suo fondo rispetto a quello degli istanti provocando difficoltà per lo smaltimento dell'acqua, che anzi nei momenti di massimo flusso dovuto alla coltura praticata refluiva nei solchi colatori del loro fondo. Ciò esposto, chiesero la condanna dei convenuti al ripristino del precedente stato dei luoghi al fine di consentire il normale flusso delle acque di scolo.
I convenuti si opposero alla domanda, contestando la servitù di scolo vantata dalla controparte.
Esaurita l'istruttoria, il Tribunale di Vercelli respinse le domande degli attori, sul presupposto che le opere presenti sui fondi dei convenuti, pure apparenti, non fossero segno inequivoco della servitù di scolo vantata dagli attori, potendo esse essere state poste in essere su iniziativa dei convenuti al solo fine di rendere meno gravoso lo scolo delle acque provenienti dai fondi superiori. Interposto gravame, con sentenza n. 1878 del 28 novembre 2006 la Corte di appello di Torino riformò integralmente la pronuncia di primo grado e, in accoglimento delle domande degli attori, condannò i convenuti a ripristinare lo stato dei luoghi. La Corte di merito motivò la sua decisione affermando che gli istanti avevano fornito la prova dell'acquisto della servitù di scolo per usucapione, atteso che le opere destinate all'esercizio del corrispondente diritto erano apparenti e, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, soddisfacevano una precisa utilitas del fondo dominante, rappresentata dal regolare deflusso dell'acqua piovana e di coltura dal proprio fondo, come accertato dalla consulenza tecnica d'ufficio e come dimostrato dal fatto che le alterazione di tali opere aveva creato difficoltà di scarico e reflusso delle acque sul fondo degli attori;
aggiunse che le prove testimoniali avevano inoltre provato che le opere e l'attività di scolo delle acque risalivano quanto meno al 1966, sicché doveva affermarsi maturato in favore degli attori il termine ventennale per usucapione.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 9 marzo 2007, ricorrono C D e C G, affidandosi a tre motivi.
Resistono con controricorso G G, G F e G M.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denunzia "Erronea interpretazione, contraddittoria, illogica e falsa applicazione dell'art. 913 c.c.;

carenza, insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine all'applicabilità dell'art. 913 c.c. alla fattispecie di causa ", lamentando che lo Corte di appello abbia escluso, senza alcuna idonea motivazione, l'applicabilità nel caso concreto della disposizione di cui all'art. 913 cod. civ., limitandosi sul punto ad osservare che essa non esclude che, nella situazione descritta da tale norma, possa essere costituita una servitù di scolo. La Corte avrebbe invece dovuto valutare se, in presenza delle opere tutte presenti nei fondi dei convenuti, la situazione era inquadrabile come servitù oppure, come aveva ritenuto il giudice di primo grado, come limite legale alla proprietà. Il motivo, per come formulato, appare inammissibile per difetto di interesse, non investendo sul punto l'effettiva ratio della decisione impugnata. Ed invero la Corte di appello, a fronte della tesi che invocava l'applicazione della disposizione di cui all'art. 913 cod. civ., che regola i rapporti di vicinato nella proprietà fondiaria,
ha correttamente affermato che la esistenza di tale norma non impedisce che, nella situazione ivi descritta e caratterizzata dalla presenza di fondi a dislivello, possa essere costituita una servitù prediale, rimandando la risoluzione della questione all'esito dell'indagine volta a stabilire se nel caso concreto il diritto di servitù si fosse o meno costituito. La ritenuta non applicazione nel caso di specie della disposizione di cui all'art. 913 c.c. - costituisce pertanto una mera conseguenza o effetto dell'accertamento successivo, con cui la Corte ha ritenuto esistente la servitù, e, in tali termini, non appare autonomamente apprezzabile come oggetto di censura. Il secondo motivo denunzia "Erronea interpretazione, contraddittoria, illogica e falsa applicazione delle norme (artt.1095 e 1061 c.c.) in materia di usucapione della servitù in ordine
al requisito dell'apparenza - omissione, insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine al requisito "indice non equivoco" delle opere apparenti ai fini dell'inquadramento della fattispecie di causa nella servitù di scolo ovvero nell'art. 913 c.c. - omessa ed erronea valutazione di istanze istruttorie.
Con una prima censura il mezzo assume che la Corte di appello ha errato nel ritenere la sussistenza della servitù in ragione del solo fatto che le opere di scolo rispondevano ad un interesse del fondo degli attori, trascurando di considerare che l'ispezione giudiziale condotta il 24 maggio 1999 aveva accertato che le opere erano tutte nei fondi inferiori e convogliavano le acque in un apposito canale evitando che esse scorressero sui fondi medesimi.
Con una seconda censura si assume che la Corte ha erroneamente valutato le dichiarazioni rese dai testimoni.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Infondata è, in particolare la prima censura, laddove essa evidenzia circostanze di fatto inconcludenti, tenuto conto, da un lato, che, ai fini dell'accertamento della servitù di scolo, non appare dirimente che le opere si trovino interamente sul solo fondo servente, essendo unicamente necessario che esse siano a servizio e rispondano ad una effettiva utilità del fondo preteso dominante e, dall'altro, che la Corte di merito ha adeguatamente motivato la propria conclusione in ordine alla sussistenza della servitù sulla base della circostanza, non oggetto di censura, che le opere apparenti destinate al deflusso delle acque corrispondevano ad una utilitas del fondo dominante, rappresentata dall'esigenza di far defluire le acque piovane e di coltura.
La seconda censura è invece inammissibile per genericità, non riportando il ricorso la deposizione del teste che il giudice distrettuale non avrebbe considerato, mancanza che impedisce alla Corte, che attesa la natura del vizio non ha accesso diretto agli atti, di apprezzare la decisività della prova ai fini della ricostruzione dei fatti.
Il terzo motivo denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle prove, lamentando che la Corte distrettuale abbia ritenuto raggiunta la prova dell'usucapione della servitù, con particolare riguardo al suo esercizio ventennale, preferendo alcuni testi e disattendendo altre dichiarazioni, senza motivare al riguardo.
Anche questo motivo va dichiarato inammissibile investendo la valutazione delle prove da parte del giudice di merito, che, essendo affidata datte al suo libero apprezzamento, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Costituisce diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte il principio che nel giudizio di legittimità, non essendo questa Corte giudice del fatto, non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione, che, se dedotto, conferisce alla Corte di legittimità il potere di controllare, sotto il profilo logico- formale, l'esame e la valutazione dei fatti compiuta dal giudice del merito posti a base del proprio convincimento e, in particolare, se questi abbia omesso di prendere in considerazione elementi decisivi ai fini della risoluzione della controversia, non già quello di effettuare un nuovo esame ed una nuova valutazione degli stessi (Cass. n. 14972 del 2006;
Cass. n. 4770 del 2006;
Cass. n. 16034 del 2002). Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, per il principio di soccombenza, sono poste a carico dei ricorrenti e sono liquidate come in dispositivo.

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