Cass. civ., sez. V trib., sentenza 07/07/2022, n. 21485

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 07/07/2022, n. 21485
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 21485
Data del deposito : 7 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

nte SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 2230/2017 R.G. proposto da R S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., con domicilio eletto in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 18, presso lo studio Grez & Associati, rappresentata e difesa dall'avvocato F d P;

- ricorrente -

contro

Comune di Genova, in persona del Sindaco p.t., con domicilio eletto in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14, sc. A, int. 4, presso lo studio dell'avvocato G P che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato M P P;
- con troricorrente - per la revocazione della sentenza n. 25023/15, depositata in data 11 dicembre 2015, della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 gennaio 2022 dal Consigliere dott. Liberato Paolitto;
uditi gli avvocati C C O e G P;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. A C, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. - Con un solo motivo rescindente„ R S.r.l. ricorre per la revocazione della sentenza n. 25023/15, depositata in data 11 dicembre 2015, con la quale la Corte, - pronunciando sull'impugnazione proposta, in via principale, dal Comune di Genova avverso la sentenza n. 139/2012, depositata il 27 dicembre 2012, della Commissione tributaria regionale di Genova, - ha accolto il ricorso «limitatamente al capo concernente l'annullamento dell'avviso di accertamento n. 5644806/2003», così cassando, con rinvio, l'impugnata sentenza. Assume la ricorrente che, così pronunciando, la Corte ha omesso di esaminare, e di decidere, il ricorso (pur) proposto da essa esponente in via incidentale con riferimento all'avviso di accertamento che, - anch'esso oggetto di decisione da parte della (allora) gravata sentenza, - era stato emesso, sempre a fini ICI, per l'annualità 2004;
ricorso, questo, articolato su quattro motivi che involgevano le eccezioni svolte da essa esponente in ordine, rispettivamente, alla tempestività di esercizio del potere impositivo, alla rilevata inammissibilità dell'istanza di disapplicazione della delibera comunale di determinazione delle aliquote ICI per l'anno 2004 e alla stessa legittimità della maggiorazione di imposta (applicata con aliquota del 9 per mille) con riferimento ad unità immobiliari non locate da oltre due anni. Il Comune di Genova resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Va premesso che: - il ricorso, nella fattispecie, è stato tempestivamente proposto in quanto, come statuito dalla Corte, il relativo termine di proposizione, - ridotto da un anno a sei mesi, in sede di conversione del d.l. n. 168 del 2016, dalla I. n. 197 del 2016, - si applica ai soli provvedimenti pubblicati dopo l'entrata in vigore della stessa legge di c:onversione (30 ottobre 2016), in difetto di specifica disposizione transitoria e in applicazione del principio generale di cui all'art. 11 delle preleggi (Cass. Sez. U., 23 aprile 2020, n. 8091 cui adde Cass., 9 luglio 2021, n. 19622);
- la diretta definizione del ricorso in pubblica udienza, con omissione della trattazione camerale prevista in relazione alla fase rescindente, costituisce una mera irregolarità del procedimento (art.380 bis cod. proc. civ.), che non determina violazione dei diritti di difesa, tenuto conto della più ampia garanzia assicurata dal giudizio in pubblica udienza (Cass. Sez. U., 7 marzo 2016, n. 4413;
Cass., 14 maggio 2010, n. 11806;
Cass., 8 aprile 2009, n. 8559);
- l'impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell'ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l'esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti di causa, così che deve ritenersi esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c., la revocazione per l'errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi cli ricorso (Cass. Sez. U., 27 novembre 2019, n. 31032;
Cass., 18 ottobre 2018, n.26301;
Cass., 15 febbraio 2018, n. 3760;
Cass., 26 agosto 2015, n. 17163;
Cass., 21 luglio 2011, n. 16003). 2. - Va, quindi, disattesa l'eccezione di inammissibi ità del ricorso, svolta dal controricorrente, in quanto, come già statuito dalla Corte, la domanda di revocazione della sentenza della Corte di cassazione per errore di fatto, - se deve contenere, a pena di inammissibilità, oltre all'indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall'art. 398, comma 2, c.p.c., anche l'esposizione dei fatti di causa, richiesta dall'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., al fine di rendere agevole la comprensione della questione controversa e dei profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata (Cass., 1 giugno 2018, n. 14126;
Cass. Sez. U., 6 luglio 2015, n. 13863;
Cass., 19 ottobre 2006, n. 22385), - esposizione che non può ritenersi validamente effettuata mediante il semplice rinvio al precedente ricorso per cassazione (Cass., 1 giugno 2018, n. 14126;
Cass., 19 ottobre 2006, n. 22385), - non deve, però, contenere (anche) la riproposizione dei motivi dell'originario ricorso per Cassazione (Cass. Sez. U., 20 novembre 2003, n. 17631 cui adde Cass., 2 novembre 2010, n. 22292;
Cass., 22 novembre 2006, n. 24586;
Cass. Sez. U., 30 dicembre 2004, n. 24170). 3. - Con la sentenza oggetto di impugnazione (n. 139 del 2012, cit.), la Commissione tributaria regionale aveva accolto (solo) parzialmente l'appello proposto dalla contribuente, - «per l'anno d'imposta 2004 in quanto non dovuta I'ICI per l'immobile condominiale di Via Fossatello 212», - con conferma, nel resto, dell'impugnato avviso di accertamento, rilevando che: - l'avviso di accertamento (n. 566187/2004) era stato «emanato nei termini di legge in quanto alla data di entrata in vigore della L. n. 296 del 27/12/2006, non era ancora scaduto il termine triennale-di prescrizione di cui all'art. 11 del D. Lgs. N. 504/1992», e posto che la notifica si era perfezionata («in data 26/08/2008»), dietro consegna di copia dell'atto «tramite il messo notificatore, matr. n. 691318, presso la sede della Società»;
- l'eccepita illegittimità della determinazione delle aliquote ICI, sulla base di deliberazione adottata dalla Giunta comunale, andava fatta valere con impugnazione da proporsi davanti al giudice ordinario, l'istanza risultando inammissibile per «incompetenza delle Commissioni tributarie nella materia»;
- del pari andava disattesa l'eccezione di illegittimità della deliberazione relativa alla maggiorazione (al 9 per mille) dell'aliquota ICI, in quanto la scelta dell'Ente locale trovava fondamento normativo nel d.lgs. n. 504 del 1992, art. 6, c. 2, e nella I. n. 431 del 1998, art. 2, c. 4, disposizioni queste che si applicavano agli «immobili non locati, senza distinguere se di proprietà privata o di una società di gestione di patrimonio immobiliare come nel caso di specie»;
per di più la scelta della società di mantenere sfitti gli immobili corrispondeva ad una specifica valutazione economica, «avendo gli immobili liberi ... un valore di mercato maggiore rispetto a quelli locati.». 4. - La parte, odierna ricorrente, aveva spiegato quattro motivi di ricorso incidentale, ai sensi dell'art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ. deducendo: - violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 12, alla I. n. 296 del 2006, art. 1, cc. 161 e 171, alla I. n. 212 del 2000, artt. 1 e 3, c. 1, art. 11 preleggi, sull'assunto che le disposizioni della I. n. 296, cit., avevano esteso i loro effetti retroattivi (ai rapporti di imposta ancora pendenti), in violazione delle disposizioni di cui alla I. n. 212, cit., e posto che detta retroattività non era stata prevista in espressa deroga alla I. n. 212 del 2000, art. 1, c. 1;
- violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 504 del 1992, artt. 5 e 7, c. 5, sull'assunto che l'incompetenza dell'organo (giunta comunale) che aveva adottato la deliberazione sulla misura delle aliquote ICI (deliberazione di Giunta, n. 170/2004) costituiva vizio del provvedimento amministrativo deducibile in giudizio in funzione del potere di disapplicazione spettante al giudice tributario, potere, questo, il cui esercizio era stato giustappunto sollecitato e rispetto al quale inconferente rimaneva il riferimento operato dalla gravata sentenza alla categoria della incompetenza;
- violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 6, c. 2, ed alla I. n. 431 del 1998, art. 2, c. 4, posto che, alla stregua di dette disposizioni, l'innalzamento dell'aliquota ICI, in relazione ad immobili non locati, poteva ritenersi legittimo (solo) qualora non ancora conclusi «accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative» (art. 2, commi 3 e 4, cit.), accordi che, nella fattispecie, si erano, però, già perfezionati;
di vero, risultando legittima la deroga al limite massimo dell'aliquota ICI (secondo la misura del 7 per mille di cui all'art. 6, c. 2„ cit.), - con riferimento «agli immobili non locati per i quali non risultino essere stati registrati contratti di locazione da almeno due anni», - (solo) in relazione al fine di favorire la realizzazione di detti accordi, così come reso esplicito dallo stesso tenore letterale delle disposizioni di cui al terzo ed al quarto comma dell'art. 2, cit.;
- violazione e falsa applicazione dell'art. 14 del regolamento ICI comunale, - alla cui stregua, per alloggio non locato, doveva intendersi l'unità immobiliare «tenuta a disposizione per l'utilizzo diretto del possessore», - disposizione regolamentare, questa, che non poteva trovare applicazione nei confronti di essa esponente posto che in alcun modo avrebbe potuto prospettarsi un utilizzo diretto, in capo ad una società di gestione, del patrimonio immobiliare destinato ad essere utilizzato dietro conclusione di contratti di locazione;
laddove la mancata conclusione di contratti locativi conseguiva, nella fattispecie, dallo stato di degrado delle unità immobiliari oltrechè dalla crisi del mercato immobiliare. 5. - Nella fattispecie non è, allora, dubbia la sussistenza del denunciato vizio revocatorio, così come reso esplicito dal diretto esame degli atti processuali oltrechè dal contenuto della stessa pronuncia della Corte che, nella sua intestazione, dà conto della proposizione del ricorso incidentale oltrechè delle conclusioni sul punto rese (in termini di rigetto o assorbimento) dal P.G. 6. - Se, dunque, ne va ravvisata l'ammissibilità, ciò non di meno il ricorso è destituito di fondamento. 7. - In via pregiudiziale, va disattesa l'eccezione di giudicato esterno, in memoria sollevata dalla ricorrente (anche) a riguardo del ricorso in trattazione, e con riferimento ai presupposti di applicabilità dell'agevolazione tributaria prevista dal cl.lgs. n. 504 del 1992, art. 8 (per i «fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati»), venendo, così, in rilievo questione che era estranea agli spiegati motivi di ricorso incidentale e sulla quale, pertanto, si era formato il giudicato interno. Va, peraltro, soggiunto che, nella fattispecie, inconfigurabile rimane, ad ogni modo, la dedotta efficacia ultrattiva del giudicato tributario, - che, secondo l'orientamento espresso dalla Corte, può prospettarsi «rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.» (così Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde, ex plurimis, Cass., 16 maggio 2019, n. 13152;
Cass., 3 gennaio 2019, n. 37;
Cass., 1 luglio 2015, n. 13498;
Cass., 30 ottobre 2013, n. 24433;
Cass., 29 luglio 2011, n. 16675;
Cass., 22 aprile 2009, n. 9512;v. altresì, in tema di ICI, Cass., 30 dicembre 2019, n. 34594;
Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300;
Cass., 16 settembre 2011, n. 18923;
Cass., 29 luglio 2011, n. 16675), - in quanto le pronunce poste a fondamento dell'eccezione hanno avuto ad oggetto i presupposti di un'agevolazione tributaria, - quella prevista dal d.lgs. n. 504 del 1992, art. 8, con riferimento a «fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati», - che all'evidenza integrano un elemento della disciplina tributaria suscettibile di variazione con riferimento ai diversi periodi di imposta, - l'unità immobiliare (inagibile o inabitabile e) di fatto non utilizzata in un dato periodo ben può non esserlo per altro periodo di imposta, - e che, pertanto, non può ascriversi «a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente». Detta efficacia ultrattiva, del resto, deve essere esclusa (anche) con riferimento alla questione interpretativa risolta da dette pronunce, - a riguardo della disciplina regolamentare attuativa delle disposizioni di cui alla I. n. 431 del 1998, art. 2, c. 4, - in quanto, come statuito dalla Corte, l'efficacia espansiva del giudicato esterno trova ostacolo in relazione alla interpretazione giuridica della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all'esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (v. Cass., 1 giugno 2021, n. 15215;
Cass., 15 luglio 2016, n. 14509;
Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723). 8. - In relazione al primo motivo di ricorso, il decisum del giudice del gravame, secondo la motivazione che vi è stata posta a fondamento, risulta conforme a diritto in quanto il termine, previsto a pena di decadenza, dal d.lgs. n. 504 del 1992, art. 11, c. 2 («31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta») andava a scadere in periodo successivo all'entrata in vigore della I. n. 296 del 2006, art. 1, che estendeva detto termine al «31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati» (comma 161) con diisposizione che trovava applicazione (anche) «ai rapporti di imposta pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge» (comma 171). Come, difatti, statuito dalla Corte, i nuovi termini di decadenza introdotti dalla I. n. 296 del 2006, art. 1, commi 161 e 153, ai sensi del comma 171 della stessa disposizione trovavano applicazione ai rapporti nei quali, alla data di entrata in vigore del testo normativo, fosse in contestazione l'an o il quantum del tributo, poiché l'art. 1, comma 171, della legge citata dispone l'applicazione di tali modifiche normative «anche ai rapporti d'imposta pendenti» in tale momento, - ivi incluse le liti pendenti a seguito di notifica dell'accertamento o del ruolo impugnati dal contribuente (Cass., 24 maggio 2017, n. 13066;
Cass., 18 maggio 2011, n. 10958), - escludendo dal suo ambito operativo i rapporti ormai esauriti, come quelli coperti da giudicato o dalla definitività dell'atto amministrativo non impugnato (Cass., 11 febbraio 2013, n. 3188;
Cass., 25 maggio 2012, n. 8350). Per di più, va rimarcato in via assorbente, la pronuncia della Corte, oggetto della domanda di revocazione, ha escluso che, nella fattispecie, potesse ritenersi maturata la decadenza eccepita dalla parte, odierna ricorrente, con riferimento all'anno d'imposta 2003, - accertamento, questo, posto a fondamento della cassazione della gravata pronuncia, - sul rilievo che, - ai sensi del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 59, c. 1, lett.I), n. 3, - il Comune di Genova, con l'art. 8 dell'adottato regolamento, si era avvalso della facoltà di estendere il termine di decadenza in questione (entro «il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello cui si riferisce l'imposizione»);
estensione„ questa, non riconducibile al (né in contrasto col) divieto di cui alla I. n. 212 del 2000, art. 3, c. 3 (v, altresì, Cass., 15 gennaio 2019, n. 752;
Cass., 20 luglio 2016, n. 14908) in quanto l'art. 59, cit., non aveva previsto «propriamente la proroga di un termine - dato che di proroga si può par are solo se un termine è in corso di maturazione secondo la normativa vigente - ma ... ha conferito all'ente territoriale la facoltà di prevedere in via preventiva termini per l'accertamento più lunghi di quelli indicati dalla legge istitutiva dell'Ici.». 9. - Del pari destituito di fondamento rimane il secondo motivo di ricorso. 9.1 - Come ripetutamente rilevato dalla Corte, il potere-dovere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto dell'imposizione, - potere che è espressione del principio generale, di cui alla I. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, allegato E, dettato dall'interesse, di rilevanza pubblicistica, all'applicazione in giudizio di tali atti solo se legittimi (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 2, c. 3, e art. 7, c. 5), - può, in effetti, essere esercitato, anche d'ufficio, indipendentemente dall'avvenuta impugnazione dell'atto avanti al giudice amministrativo, - posto che il potere in questione non è escluso dalla inoppugnabilità del provvedimento che concerne la tutela degli interessi legittimi e non quella dei diritti soggettivi (v. Cass., 23 maggio 2019, n. 14039;
Cass., 15 febbraio 2007„ n. 3390;
Cass. Sez. U., 22 marzo 2006, n. 6265;
Cass., 18 agosto 2004, n. 16175;
Cass., 11 maggio 2002, n. 6801), - e sempreché la legittimità dell'atto non sia stata affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio delle parti e con autorità di giudicato (Cass., 23 maggio 2019, n. 14039, cit.;Cass., 2 aprile 2015, n. 6788;
Cass. Sez. U., 2 dicembre 2008, n. 28535;
Cass., 15 febbraio 2007, n. 3390, cit.;
Cass. Sez. U., 22 marzo 2006, n. 6265, cit.). 9.2 - Seppur erronea la motivazione del decisum oggetto di impugnazione, e ciò non di meno, il relativo dispositivo è conforme a diritto e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la questione posta dalla ricorrente può essere definita dalla Corte con correzione della motivazione della gravata sentenza. In tema di ICI, difatti, in più occasioni la Corte ha avuto modo di esaminare, - secondo la relativa successione diacronica, - le pertinenti disposizioni del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 6, della I. n. 142 del 1990, art. 32 e del d.lgs. n. 267 del 2000, artt. 42 e 48;
ed ha rilevato, al riguardo, che la competenza a determinare l'aliquota dell'ICI, - attribuita in origine alla Giunta comunale (art. 6, c. 1, cit.), in deroga al riparto di competenze delineato dalla I. n. 142/1990, art. 32, c. 2, lett. g), che, per l'appunto, attribuiva alla competenza esclusiva del consiglio comunale l'istituzione e l'ordinamento dei tributi, - con decorrenza dal 1° gennaio 1997, - e per effetto della I. n. 662 del 1996, art. 3, c. 53 che, entrata in vigore ai sensi del suo art. 3, c. 217, ha integralmente sostituito il testo del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 6, eliminando detta deroga all'art. 32, c. 2, lett. g), cit., - è stata assegnata al Consiglio comunale per essere, poi, di nuovo attribuita alla Giunta comunale in conseguenza dell'abrogazione della I. n. 142 del 1990, cit., e dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 267 del 2000, il cui art. 42, c. 2, lett. f), riserva al Consiglio le materie relative alla «istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote;
disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi», ed il cui art. 48 attribuisce alla Giunta ogni altra funzione non riservata al Consiglio (Cass., 10 agosto 2010, n. 18503;
Cass., 12 marzo 2008„ n. 6603;
Cass., 10 giugno 2005, n. 12345;
Cass., 8 ottobre 2004, n. 20042). Nella fattispecie, poi, viene in considerazione una delibera di Giunta (la n. 170 del 2004) che è stata adottata' nel vigore delle disposizioni di cui si è appena dato conto e, dunque, alla stregua di un legittimo esercizio delle competenze riservate alla Giunta comunale, posto che la (ulteriore) riformulazione dell'art. 6, c. 1, cit., - ad opera della I. n. 296 del 2006, art. 1, c. 156, che, ha riattribuito la competenza in discorso al Consiglio comunale, - è entrata in vigore il 1° gennaio 2007 (I. n. 296 del 2006, art. 1, c. 1364). 10. - Quanto, ora, al terzo motivo del ricorso, - che involge la legittimità della maggiorazione di imposta, - la Corte ha già avuto modo di rilevare che, - diversamente da quanto assume la ricorrente, - la disposizione di cui alla I. n. 431 del 1998, art. 2, c. 4, ha lo scopo di favorire «l'esecuzione» degli accordi tra le organizzazioni dei proprietari e degli inquilini stabilendo aliquote Ici più favorevoli per i proprietari che stipulano contratti di locazione alle condizioni definite dai predetti accordi;
così che l'avvenuta stipula degli accordi tra i rappresentanti delle categorie non esaurisce la finalità perseguita dalla norma (Cass., 11 dicembre 2015, n. 25021). Con riferimento al simmetrico beneficio di imposta, previsto dallo stesso art. 2, comma 4, della I. n. 431 del 1998, - sec:ondo il quale i comuni possono deliberare, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio, aliquote più favorevoli per i proprietari che concedono in locazione, a titolo di abitazione principale, immobili alle condizioni concordate fra le organizzazioni dei proprietari e dei conduttori, - la Corte ha, poi, rilevato che detto regime fiscale di favore, - avente natura derogatoria ed eccezionale, - è finalizzato alla riduzione della tensione abitativa mediante reimmissione sul mercato di unità abitative sfitte (Cass., 2 marzo 2020, n. 5638;
Cass., 24 febbraio 2012, n. 2824).E mentre detta agevolazione d'imposta afferisce ad unità immobiliari concesse in locazione con contratti agevolati (sulla cui nozione v. Cass., 27 dicembre 2016, n. 27022), l'aggravamento di aliquota, in contestazione tra le parti, è destinato a colpire (indistintamente) «immobili non locati per i quali non risultino essere stati registrati contratti di locazione da almeno due anni». Come allora condivisibilmente segnala il P.G., viene, così, in considerazione un istituto che, - al fine di evitare condotte speculative e, ad ogni modo, valutazioni opportunistiche volte a privilegiare la conclusione di contratti di locazione ordinari, così sottraendo al mercato unità immobiliari la cui locazione, con contratti agevolati, sia resa meno appetibile in ragione della regolamentazione eteronoma (anche) del relativo canone locativo, - ha previsto un aggravamento dell'aliquota ICI per gli immobili sfitti, e posto che, per l'appunto, detti immobili vengono, così, sottratti al mercato;
laddove l'evento determinativo dell'aggravamento di aliquota risulta raccordato ad un arco temporale del tutto ragionevolmente individuato. 11. - Nemmeno il quarto motivo di ricorso può trovare accoglimento. Va, al riguardo, premesso che, - diversamente da quanto assume la difesa della ricorrente, secondo la quale la modifica dell'art. 14 del regolamento comunale ICI è stata da controparte dedotta (solo) in questa sede, non anche nel giudizio definito con la sentenza oggetto di revocazione, - la questione, così posta, deve essere risolta in termini (esattamente) inversi a quelli prospettati dalla parte che, - proponendo motivo di ricorso che involgeva l'esatta interpretazione della citata disposizione regolamentare, quale diversamente assunta dal giudice del gravame, - risultava essa stessa gravata dell'onere di specificità, e di autosufficienza, in ordine ai contenuti, ed ai criteri di interpretazione, della medesima disposizione regolamentare (v. Cass., 11 febbraio UMA-- 13 2021, n. 3437;
Cass., 23 gennaio 2014, n. 1391;
Cass., 6 luglio 2012, n. 11351;
Cass., 27 gennaio 2009, n. 1893;
Cass., 15 dicembre 2008, n. 29322;
Cass., 12 giugno 2007, n. 13711). 11.1 - Viene, pertanto, in rilievo una questione interpretativa che ha ad oggetto una disposizione regolamentare attuativa, ed integrativa, del precetto di legge, normativa secondaria, questa, rispetto alla quale rileva, pertanto, la disciplina ratione temporis vigente. E come, peraltro, la Corte ha già avuto modo di rilevare, nell'esaminare il ricorso, il controricorso o il ricorso incidentale (e gli altri atti di parte ad essi collegati), la Corte deve, in primo luogo, verificare la veridicità delle allegazioni in essi contenute, quando ciò sia possibile perchè esse riguardino situazioni accertabili attraverso fonti di conoscenza di carattere ufficiale;
così che deve ritenersi conforme ai principi del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost., anche il riconoscimento al giudice del potere di ricavare d'ufficio, elementi utili di giudizio, quando ciò avvenga attraverso fonti di conoscenza di carattere ufficiale, quali sono da considerare i siti internet istituzionali degli enti pubblici (Cass., 28 agosto 2014, n. 18418;
Cass. 2 dicembre 2011, n. 25813;
Cass. 19 agosto 2011, n. 17394;
Cass. 29 dicembre 2009, n. 27630;
v. peraltro, in tema di regolamenti degli enti locali, il di. n. 201 del 2011, art. 13, c. 15, conv. in I. n. 214 del 2011, nonché il d.l. n. 34 del 2019, art. 15 bis, conv. in I. n. 58 del 2019). 11.2 - La disposizione regolamentare che viene in considerazione, - e che costituisce attuazione della disposizione normativa che autorizza la deroga al tetto legale dell'aliquota d'imposta (I. n. 431/1998, art. 2, comma 4, cit.), - nella sua originaria formulazione prescriveva che, a detto fine, per «alloggio non locato» si dovesse intendere «l'unità immobiliare, classificata o classificabile nel gruppo catastale A (ad eccezione della categoria A/10), tenuta a disposizione per l'utilizzo diretto del possessore»;
e ad una siffatta formulazione, - connotata da una qualche aporia rispetto alla sopra rilevata ratio legis dell'aggravamento di aliquota, - ha avuto riguardo il principio di diritto espresso dalla Corte, - in controversia intercorsa tra le stesse parti, seppur per diversa annualità d'imposta, - principio secondo il quale «non è ipotizzabile l'"utilizzo diretto del possessore" qualora sia riferito ad una società di capitali che ha come oggetto sociale la detenzione di immobili a scopo commerciale (locazione), considerato che l'uso diretto presuppone la fruizione dell'immobile da parte del proprietario secondo le finalità abitative proprie del bene.» (Cass., 11 dicembre 2015, n. 25021, cit.). 11.3 - Medio tempore, però, la disposizione regolamentare in discorso è stata riformulata (con la delibera n. 17/2002), secondo il cui contenuto, ora, per «alloggio non locato» deve intendersi «l'unità immobiliare, classificata o classificabile nel gruppo catastale A (ad eccezione della categoria A/10), non utilizzata»;
ed è allora del tutto evidente che, - rimanendo inapplicabile, a fattispecie costitutiva modificata, il giudicato formatosi a seguito della sopra ricordata pronuncia della Corte, - il nuovo contenuto dispositivo della norma regolamentare ascrive, a fondamento dell'aggravamento di aliquota, la (mera) «non utilizzazione» (qualsiasi ne sia la causa) dell'unità immobiliare, in maggiore aderenza alla stessa ratio legis dell'aggravamento quale riconducibile alla disposizione di cui alla I. n. 431/1998, art. 2, c. 4 (v., altresì, Cass., 17 settembre 2019, n. 23068). Ed è, altresì, inequivoco che la «inutilizzazione» di un'unità immobiliare può senz'altro ascriversi (anche) ad una società di gestione del patrimonio immobiliare che non utilizzi, con contratti di locazione, le proprie unità immobiliari, così sottraendole al mercato. 12. - Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, tra le parti, per reciproca soccombenza mentre nei confronti della ricorrente sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
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