Cass. civ., sez. II, sentenza 04/03/2015, n. 4366

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In tema di risoluzione del contratto per difformità o vizi dell'opera, qualora il committente abbia domandato il risarcimento del danno in correlazione con la domanda di risoluzione e i vizi dell'opera non siano risultati tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, così da giustificare lo scioglimento del contratto, la domanda di risarcimento danni non può essere accolta per mancanza dei presupposti della pretesa azionata, che si deve fondare sulla medesima "causa petendi" della domanda di risoluzione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 04/03/2015, n. 4366
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 4366
Data del deposito : 4 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. B G A - Presidente -
Dott. M V - rel. Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
Dott. P I - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17735-2009 proposto da:
Società SECO S.r.l. p.iva 01579610187, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, P C, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato M F;



- ricorrente -


contro
Z.C. di CIMINO ANTONIO, ZERBIN GIOVANNI e C. S.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore;

- intimata -
avverso la sentenza n. 3168/2008 della CORTE D'APPELLO di M, depositata il 25/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/12/2014 dal Consigliere Dott. V M;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S C che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 20-10-2000 la s.r.l. SECO proponeva opposizione avverso il decreto n. 226/2000 con il quale il Presidente del Tribunale di Voghera le aveva intimato di pagare in favore della Z.C. s.n.c. di C Antonino, Z Giovanni &
C. (nel prosieguo Z.C.) la somma di L. 37.048.000 oltre interessi per lavori di tinteggiatura di tre facciate del Condominio Area Verde in S. Bartolomeo al Mare.
A fondamento dell'opposizione esponeva di aver ricevuto in appalto dal suddetto Condominio nell'anno 1999 i lavori di ristrutturazione delle facciate dell'edificio condominiale, con la pattuizione che le facciate A, B e C avrebbero dovuto essere tinteggiate con colore bianco brillante entro il 31-12-1999, e di avere subappaltato alla Z.C. in data 2-12-1999 i lavori di tinteggiatura delle facciate, convenendo che la tinta avrebbe dovuto essere uguale a quella di tutto il complesso, e che i lavori avrebbero dovuto essere ultimati entro il 31-12-1999;
in tal senso la Z.C. le aveva rimesso il testo del contratto omettendo di firmarlo, ma restando fedele agli accordi assunti.
L'opponente aggiungeva che la Z.C. aveva ultimato i lavori solo alla fine di gennaio del 2000, e che al momento della rimozione dell'impalcatura era apparso un colore bianco giallastro, differente da quello convenuto bianco brillante, e contrastante con quello del restante complesso;
avendo il direttore dei lavori per conto del Condominio con ordine del 4-2-2000 intimato all'esponente il rifacimento della tinteggiatura delle facciate in quanto non conforme a quanto convenuto, la SECO aveva a sua volta intimato alla Z.C. con raccomandata del 7-2-2000 ed anche successivamente di rifare tale tinteggiatura, senza ottenere alcun riscontro;
inoltre con raccomandata dell'11-4-2000 l'opponente aveva diffidato la Z.C. al rifacimento della tinteggiatura entro il termine di 15 giorni, ed infine il proprio legale in data 3-5-2000 aveva comunicato al legale di controparte che il contratto stipulato tra le parti doveva intendersi risolto, con conseguente risarcimento dei danni subiti. Tanto premesso, la SECO chiedeva che, previa revoca del decreto ingiuntivo, fosse dichiarata la risoluzione del contratto di subappalto per inadempimento della Z.C. e che quest'ultima fosse condannata al risarcimento dei danni.
La Z.C. si costituiva in giudizio contestando il fondamento della opposizione di cui chiedeva il rigetto;
eccepiva tra l'altro che secondo gli accordi verbali raggiunti - posto che la bozza del contratto di subappalto prodotta dall'opponente, oltre a non essere firmata, non rispondeva ai termini delle pattuizioni effettivamente concluse - l'esponente avrebbe dovuto tinteggiare le facciate del Condominio con il colore bianco sporco per uniformare la tinteggiatura dell'intero complesso residenziale, e che l'opera avrebbe dovuto ritenersi tacitamente accettata.
Il Tribunale di Voghera con sentenza del 31-3-2004 respingeva l'opposizione.
Proposto gravame da parte della SECO cui resisteva la Z.C. la Corte di Appello di Milano con sentenza del 25-11-2008 ha rigettato l'impugnazione.
La Corte territoriale ha premesso che doveva essere disattesa la richiesta dell'appellante di declaratoria di nullità della deposizione del teste F G per incapacità, posto che l'eventualità che la Z.C. potesse agire in manleva nei confronti del F, avendo questi materialmente eseguito i lavori, non era motivo di incapacità a testimoniare, dal momento che quest'ultimo aveva solo un interesse di fatto all'esito del giudizio, ma non sarebbe stato legittimato ad intervenirvi volontariamente. Il giudice di appello ha poi rilevato che il contratto di subappalto prodotto in fotocopia dalla SECO, non risultando sottoscritto dalla Z.C., non aveva valore di prova circa il colore col quale avrebbero dovuto essere tinteggiate le facciate dell'edificio condominiale;

tuttavia era pacifico che la tinteggiatura avrebbe dovuto essere di una tonalità di bianco, come la preesistente e come quella degli altri fabbricati del complesso condominiale, come emerso dalla comparsa di costituzione in primo grado della Z.C e
dall'interrogatorio formale di F M, legale rappresentante della SECO;
inoltre era pure risultato che prima dell'inizio dei lavori era stato eseguito un campione su di una piccola porzione di facciata, e che tale campione aveva trovato il gradimento della SECO.
La Corte territoriale, tanto premesso, ha ritenuto non provato che la tonalità di bianco della tinteggiatura realizzata fosse difforme da quella concordata e di cui alla campionatura e, soprattutto, che l'eventuale difformità fosse tale da dover considerare l'opera inadatta alla sua destinazione, come richiesto dall'art. 1668 c.c., comma 2 per poter pronunciare la risoluzione del contratto di
appalto;
in tal senso ha evidenziato che le testimonianze assunte non erano affatto univoche, posto che, mentre per il geometra C il colore era decisamente giallo, per il condomino S era soltanto tendente al giallo, mentre per tutti gli altri testi, che avevano materialmente provveduto alla esecuzione dei lavori, il colore era quello della campionatura, ovvero un bianco sporco o un bianco panna;
d'altra parte dall'esame delle fotografie prodotte da entrambe le parti non risultava affatto che il colore della tinteggiatura eseguita dalla Z.C. fosse giallo, apparendo piuttosto come un bianco panna accentuato, ovvero leggermente tendente verso il giallo, quasi un bianco avorio;
ne' sempre dall'esame delle fotografie pareva esserci una notevole differenza tra il colore degli altri edifici e quello in questione, soprattutto se si teneva conto che l'aspetto cromatico delle facciate dipendeva molto dall'ora in cui le fotografie erano state scattate e dalla loro angolazione. Infine il giudice di appello ha ritenuto di dover rigettare anche la domanda di risarcimento danni, proposta dalla SECO in correlazione con la domanda di risoluzione.
Per la cassazione di tale sentenza la società SECO ha proposto un ricorso affidato a nove motivi;
la società Z.C. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente assume che la sentenza impugnata ha omesso di motivare in ordine al fatto controverso e decisivo che la Z.C. aveva ammesso l'esistenza del difetto di colore delle facciate condominiali lamentato dalla esponente, come era risultato dalle deposizioni dei testi P e S;
in particolare il fatto che il teste P avesse dichiarato di aver saputo dal C, socio della Z.C., "che era in programma il rifacimento della facciata" dimostrava che il C aveva riconosciuto il difetto del colore;
dalla deposizione dello S (subentrato alla Z.C. nel suddetto subappalto) poi, che aveva riferito di aver ricevuto una telefonata dallo Z, altro socio della Z.C., che lo aveva invitato a "fare il lavoro a determinati prezzi e con certe caratteristiche", si desumeva che la Z.C. era ben consapevole dell'esistenza dei difetti e della necessità di eliminarli. Con il secondo motivo la SECO, sempre in relazione a quanto prospettato nel primo motivo, lamenta la violazione dell'art. 115 c.p.c. in relazione all'art. 1667 c.c., comma 2, posto che
l'esponente aveva richiamato a pag. 6 dell'atto di appello le deposizioni dei citati testi P e S a prova del riconoscimento dell'esistenza dei vizi da parte della Z.C. Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono inammissibili per difetto di interesse. Nella fattispecie, invero, non è stata proposta dalla SECO una domanda per l'eliminazione dei vizi dai quali sarebbe stata affetta l'opera realizzata dalla Z.C., ma una domanda di risoluzione del contratto di subappalto intercorso tra le parti ai sensi dell'art. 1668 c.c., per il cui accoglimento, come è evidente, non è
sufficiente la semplice sussistenza di difformità o vizi, dovendo invece questi ultimi essere di tale gravità da rendere del tutto inidonea l'opera stessa alla sua destinazione.
Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione, premette anzitutto che l'esponente non aveva lamentato una diversa sfumatura di colore, come erroneamente ritenuto la Corte territoriale, atteso che nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado la SECO aveva evidenziato la presenza sulle facciate condominiali di "un colore bianco-giallastro sporco, differente da quello convenuto e in stridente contrasto con quello del restante complesso";
rileva poi che le deposizioni dei testi C e Salvini, contrariamente al giudizio espresso dal giudice di appello, erano univoche nell'escludere che il colore delle facciate fosse bianco e conforme a quello degli altri edifici condominiali;
non era inoltre vero che tutti gli altri testi avevano affermato che il colore era quello della campionatura, come emergeva dall'esame delle deposizioni dei testi S, P e F;
la ricorrente aggiunge che a campionatura del colore fatta prima dell'inizio dei lavori e non documentata, non essendo stato prodotto in causa il campione, non provava affatto che il colore apparso al termine dei lavori fosse bianco;
infine la sentenza impugnata ha erroneamente analizzato il colore risultante dalle fotografie, trascurando di rilevare che tutte quelle prodotte provano la radicale diversità tra il colore delle facciate tinteggiate dalla Z.C. e quello delle facciate del complesso preesistente, a prescindere dalla resa fotografica.
Con il quarto motivo la SECO denuncia violazione dell'art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1, avendo la Corte
territoriale affermato, contrariamente al vero, che le deposizioni dei testi C e S non erano univoche, e che gli altri testi avevano dichiarato che il colore delle facciate risultante al termine dei lavori era bianco, così basando il proprio convincimento su asserzioni prive di riscontri testimoniali.
Con il quinto motivo la ricorrente, deducendo insufficiente motivazione, sostiene che il giudice di appello, ritenendo non sussistente la prova che l'opera fosse inadatta alla sua destinazione come richiesto dall'art. 1668 c.c., comma 2 per pronunciare la risoluzione del contratto, non ha considerato che la tinteggiatura realizzata dalla Z.C. non era bianca come pattuito tra le parti, ma gialla o tendente a giallo, secondo le dichiarazioni dei testimoni;

inoltre (a foto n. 6 del fascicolo SECO dimostrava inequivocabilmente che il colore utilizzato dalla Z.C. era giallo e del tutto differente da quello bianco brillante del complesso preesistente, che appariva nelle fotografie 1-2-3 e 4 dello stesso fascicolo.
Con il sesto motivo la SECO denuncia violazione dell'art. 1372 c.c., comma 1 e art. 1668 c.c., comma 2 e per analogia dell'art. 1522 c.c., comma 1 o in alternativa dell'art. 1454 c.c., sostenendo che,
contrariamente all'assunto della sentenza impugnata, se in un contratto di appalto per la tinteggiatura delle facciate di un edificio le parti convengono che il colore deve essere uguale a quello del complesso adiacente ed a questo scopo procedono al campione del colore richiesto, qualsiasi difformità tra il colore realizzato e quello concordato da diritto al committente ai sensi degli articoli sopra richiamati di chiedere la risoluzione del contratto stesso, e ciò anche nel caso di differenze cromatiche non particolarmente rilevanti.
Gli enunciati motivi, da esaminare contestualmente pera ragioni di connessione, sono infondati.
Come già esposto in precedenza, la Corte territoriale, all'esito dell'esame delle deposizioni testimoniali e delle fotografie prodotte, ha escluso che il colore della tinteggiatura fosse diverso da quello della campionatura (alla quale, al di là della sua produzione in giudizio, si erano riferiti anche alcuni testi e la stessa legale rappresentante della SECO), e che soprattutto l'eventuale differenza cromatica - quale si sarebbe rivelata dalla fotografia n.

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