Cass. civ., sez. I, sentenza 08/08/2013, n. 18975
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Nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, il termine di 60 giorni indicato dall'art. 17 della legge 4 maggio 1983, n. 184, per la fissazione dell'udienza di discussione dell'appello, non è prescritto a pena di nullità, sicché la sua violazione non incide sulla validità del procedimento, potendo tale sanzione essere invocata dal P.M. o dalle altre parti solo previa allegazione e dimostrazione del reale pregiudizio subito.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C C - Presidente -
Dott. D A S - Consigliere -
Dott. G M C - rel. Consigliere -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. B G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27680-2012 proposto da:
CR (CF. (omesso) ), elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZA EUCLIDE 47, presso l'avvocato LA PORTA CARLO FERRUCCIO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
CI , CM.P. , elettivamente domiciliate in
ROMA, PIAZZA EUCLIDE 47, presso l'avvocato LA PORTA CARLO FERRUCCIO, che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso successivo;
- ricorrente e ricorrrenti successive -contro
contro
A.L. CURATORE SPECIALE DELLA MINORE CV ,
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO, TUTORE PROVVISORIO DELLA MINORE ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI DEL COMUNE DI TORINO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 158/2012 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 31/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2013 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;
udito, per le ricorrenti, l'Avvocato GIULIUCCI ANNA, con delega avv. LA PORTA, che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26.05-15.06.2011 il Tribunale per i minorenni di Torino dichiarava lo stato di adottabilità della minore VC , nata l'(omesso) e riconosciuta soltanto dalla madre CR , disponeva l'inserimento della bambina in una famiglia affidataria da individuarsi tra quelle in possesso dei requisiti per poterla eventualmente adottare ed ordinava l'interruzione dei rapporti con la madre e i parenti. A fondamento della decisione il Tribunale, dopo aver ripercorso tutto l'iter processuale e le risultanze della procedura ex artt. 333-336 c.c., osservava che, a partire da una storia familiare molto difficile e segnata da deprivazioni, il tentativo di sostenere la madre attraverso la sistemazione in comunità insieme alla bambina aveva evidenziato i limiti insuperabili della sig.ra C , con evidenti ripercussioni sullo sviluppo della minore, esposta, durante il soggiorno in comunità, altresì ad esperienze traumatiche, quali quelle descritte nelle relazioni dei servizi locali.
Era stato disposto un approfondimento peritale, le cui conclusioni, di segno negativo, erano pienamente in linea con quanto segnalato dagli operatori dei servizi. V aveva ricevuto un accudimento instabile e insicuro. Gli incontri con la madre in luogo neutro avevano confermato che la situazione era statica e non si osservavano particolari progressi. Quanto alla disponibilità all'affidamento da parte della zia materna M.P..C , la sentenza sottolineava quali elementi ostativi il cattivo rapporto esistente tra le due sorelle, la non disponibilità da parte del compagno della zia e, soprattutto, l'assenza di rapporti significativi (così come di istanze della parte volte all'effettuazione di incontri) da oltre due anni, tanto che la minore non aveva fatto cenno a esperienze di vita o a ricordi della zia.
Contro la sentenza di primo grado interponevano distinti appelli la madre della minore RC (RG 872/2011) e le zie materne M.P. e I.C (RG 873/2011).
Con sentenza del 25.09-31.10.2012 la Corte di appello di Torino, riunite le impugnazioni ed anche sentite le appellanti, la CTU, gli operatori dei servizi sociali, del Servizio di Neuropsichiatria infantile e le educatrici del luogo neutro d'incontro, dichiarava inammissibile l'appello proposto da RC e respingeva gli appelli proposti da M.P. e I.C , per l'effetto
confermando l'impugnata sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità di CV .
La Corte territoriale rilevava in primo luogo che l'impugnazione proposta da RC era inammissibile perché tardiva. La notificazione della sentenza di primo grado a tale parte infatti, era stata effettuata al suo difensore domiciliatario dell'epoca, Avv. M B, il giorno 28.6.2011 ed il ricorso in appello era stato depositato in cancelleria, con iscrizione a ruolo della causa, in data 4.8.2011, ossia ben oltre il termine di "30 giorni dalla notificazione" previsto dalla L. n. 184 del 1983, art. 17 modif. dalla L. n. 149 del 2001. Quanto al gravame proposto dalle zie materne osservava e riteneva che:
era infondato l'appello proposto da M.P..C , non legata alla nipote V da un rapporto significativo. La parente in questione, dopo aver interrotto i rapporti con la sorella R da circa due anni a causa dei contrasti verosimilmente sorti per la mancata condivisione dello stile di vita della predetta, e quindi trascurando qualsiasi rapporto con la bambina nello stesso arco temporale (corrispondente a circa un terzo dell'intera vita della minore), non si era costituita nel giudizio di primo grado, non aveva avanzato istanza di affidamento a sè della nipote, e soprattutto, non aveva fatto richiesta all'Autorità giudiziaria per poter effettuare visite alla minore e quindi coltivare con lei un rapporto. In aggiunta a tali condotte omissive era stato accertato che la bambina non conosceva, ne' aveva conservato ricordi, come emergeva dalle valutazioni psicologiche in atti, della parente di cui trattasi. M.P..C era pienamente al corrente delle
vicissitudini esistenziali della madre della minore e non si poteva poi trascurare un dato essenziale, che, pur avendo effettuato qualche colloquio con le assistenti sociali, la zia si era tenuta fuori da queste vicende, dimostrando un disinteresse che all'attualità non poteva essere superato ne' giustificato in base all'assunto secondo cui la zia non si era attivata in quanto in attesa di una richiesta da parte della sorella R , oppure perché la sorella avrebbe pensato che lei avesse voluto portarle via la bambina" (e ciò perché a prescindere dal punto di vista della madre, era la minore, collocata in contesto eterofamiliare, a necessitare già allora di tutela e di un ambiente familiare adeguato). Solo per scrupolo di completezza si dava conto di un'ulteriore circostanza, che si poneva in contrasto con la domanda dell'appellante: ancora nel giudizio di appello la sig.ra M.P..C aveva ammesso che l'attuale compagno, con cui conviveva da circa tre anni, era persona che non si sentiva di condividere le responsabilità di crescita e accudimento della minore. La disponibilità dichiarata da parte della zia si presentava quindi come una disponibilità individuale, con tutti i limiti e le controindicazioni che comportava, posto che, ove inserita in un contesto familiare, la minore, che aveva appena sei anni, avrebbe dovuto ricevere le attenzioni e le comunicazioni affettive essenziali per una crescita equilibrata, condivise dai vari componenti del nucleo affidatario e ciò a maggior ragione per le caratteristiche personali di V , quali erano state evidenziate nella CT.U. in atti, che parlava di una "bambina minuta, fragile", le cui "capacità cognitive sono limitate" e rispetto alla quale "emergono disagi e difficoltà legati ad un probabile disturbo dell'attaccamento primario";minore che, in occasione dei giochi proposti durante l'indagine peritale, aveva espresso "il desiderio della presenza di una figura maschile che possa dare sicurezza e protezione";
anche l'appello della I.C doveva essere disatteso, pur essendosi questa zia maggiormente attivata, in passato, nei confronti della minore, recandosi in visita a V nel periodo di
inserimento in comunità. In occasione delle visite, inoltre, la bambina rispondeva positivamente alle attenzioni della zia. Detto questo, andava considerato che, al di là del dato di una sufficiente "significatività" del parente in questione, per tutto il procedimento di primo grado CI non aveva mai espresso una disponibilità all'affidamento di V , limitandosi, verso la fine della procedura, ad incaricare un legale per l'esame degli atti;
impugnando la sentenza la zia si era proposta esclusivamente in funzione di possibile supporto alla madre o alla zia M.P. . Durante l'istruttoria avanti al Tribunale i Servizi sociali avevano proposto all'appellante di impegnarsi con comportamenti più attivi, ad esempio trasferendosi a vivere con la madre e la nipote, ma la zia aveva risposto negativamente, adducendo l'esistenza di rapporti troppo conflittuali con la sorella R , nonché l'impegno nell'assistenza all'anziano genitore, poi deceduto. Solo nel corso dell'udienza in appello, per la prima volta, la zia aveva affermato, su sollecitazione del difensore, di essere ora in condizione di accogliere presso di sè la minore e ciò a seguito del decesso dell'anziano padre. Pur prendendo atto di tale elemento nuovo, non poteva esservi spazio per un accoglimento dell'impugnazione. Non si poteva dimenticare che il nucleo allargato materno della minore si presentava come un contesto familiare altamente problematico e segnato da dinamiche di funzionamento di tipo patologico, ben descritte nelle pervenute relazioni psicosociali. In modo puntuale il Curatore speciale della minore aveva parlato di pesanti sofferenze patite da ciascuna delle sorelle C , che non avevano lasciato spazio, come emergeva dalla presente vicenda, a "solidarietà familiari". Si era sostenuto da parte della difesa, che il rapporto conflittuale tra la zia I e la madre della minore si era modificato nella fase più recente, che uno spazio non solo materiale per la crescita della minore si sarebbe creato a seguito del decesso dell'anziano nonno (soggetto alcolista e portatore di gravi turbe), ma si trattava di circostanze di per sè troppo deboli, prive di riscontri e introdotte in causa con una preoccupante tardività;
circostanze che non consentivano di definire un progetto per la crescita e l'educazione della minore - di cui ella necessitava sin d'allora - che poggiasse su basi sufficientemente solide e tali da poter prefigurare una sua riuscita. La zia I , la quale aveva subito l'amputazione di un braccio a seguito di un grave incidente stradale avvenuto quando aveva cinque anni, era stata conosciuta dai Servizi sociali e Servizio di N.P.I di Torino, che avevano redatto ampie relazioni in data 21.3.2011 e 12.4.2011. L'appellante veniva descritta come una persona che aveva condiviso con la madre della minore una storia familiare altamente traumatica e segnata dall'alcolismo paterno, da abusi e prevaricazioni da parte di altri familiari;ella aveva certamente affrontato molti sacrifici per supportare i componenti più disturbati del nucleo di appartenenza, ma era rimasta inevitabilmente invischiata in tali dinamiche familiari distorte. In tal senso l'assistente sociale riferiva: "I , M.P. e R appaiono, seppure in modo diverso l'una
dall'altra, persone estremamente sofferenti, e il loro legame appare così danneggiato e ambivalente, che di fatto non riescono a provare solidarietà l'una per l'altra, per le sofferenze reciprocamente subite, e ad aiutarsi realmente". In modo ancora più argomentato e convincente, la relazione psicologica segnalava che durante i colloqui la zia I affermava di non credere agli abusi in danno della sorella R , difendendo il proprio padre dalle accuse. La zia, pur esprimendo un sincero interesse verso la nipote, non avrebbe potuto assicurare alla stessa un sano ambiente di crescita, in quanto carente della capacità di riconoscere i bisogni profondi della bambina e, a parte il problema psicofisico, tuttora impegnata nell'assistenza all'anziana madre, con la quale conviveva. Ulteriore motivo di preoccupazione era dato dal tipo di rapporto esistente tra le tre sorelle C , non potendosi dimenticare che, di fronte alla prospettiva di un possibile affidamento di V alle zie, la madre aveva reagito opponendosi con forza e affermando "Piuttosto che darla a voi, meglio ad estranei". La minore si sarebbe quindi trovata a crescere in un contesto altamente conflittuale, diventando oggetto di prevedibili rivendicazioni e contese, del tutto nocive per il suo sviluppo;
confermato lo stato di abbandono, non vi erano i presupposti per prevedere periodiche visite alla minore da parte della zia I , secondo il modello della c.d. "adozione aperta". L'istanza in tal senso non poteva essere accolta in quanto non compatibile con la pronuncia dello stato di adottabilità della minore e, pur esistendo in effetti qualche precedente di merito in cui, ferma la dichiarazione di adottabilità, erano stati mantenuti rapporti tra il minore ed un componente del nucleo familiare, andava ribadito che nei casi in cui, in via eccezionale e derogatoria, era stata assunta una simile decisione, ciò era avvenuto per la necessità di preservare un legame affettivo importante tra il componente del nucleo di origine e il minore stesso, pena l'insorgere di un trauma psicologico. Sennonché, sulla scorta di quanto esposto, appariva chiaro che quella in esame non era una situazione riconducibile al modello sopra tratteggiato, ne' la minore evidenziava necessità di questo tipo, trattandosi di una bambina che, presso l'attuale famiglia affidataria stava evidenziando un forte bisogno di cure e di attenzioni da parte degli adulti che la stavano seguendo ed era impegnata a "recuperare" le tappe di sviluppo non superate precedentemente".
Avverso questa sentenza RC , madre della minore, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Anche le zie materne I e M.P..C hanno impugnato in questa sede
la sentenza d'appello. Gli intimati ossia il PG presso il giudice a quo, il tutore provvisorio della minore in persona dell'Assessore alle politiche sociali del Comune di Torino ed il curatore speciale Avv.to A.L. non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A sostegno del ricorso RC denunzia: