Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/10/2018, n. 24122

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/10/2018, n. 24122
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 24122
Data del deposito : 3 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso 28202-2013 proposto da: MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, UNIVERSITA' E

RICERCA

80185250588, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
2018

- ricorrente -

2410

contro

M T, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANARO

11, presso lo studio dell'avvocato V A B, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2651/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 15/07/2013 R.G.N. 1961/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/06/2018 dal Consigliere Dott. A D F;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P M che ha concluso per accoglimento del ricorso;
udito l'Avvocato V A B. / / R.G.28202/2013

FATTI DI CAUSA

La Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di T M, transitata nel 1999 dal Ministero dell'Università e della Ricerca scientifica al Ministero dell'Istruzione, e ha condannato quest'ultimo a corrispondere alla stessa le somme decurtatele in esecuzione del provvedimento con cui l'ente di destinazione aveva rivisto - per difetto - il trattamento d'ingresso della dipendente trasferita, a distanza di otto anni dall'avvenuto passaggio (decreto dirigenziale n.8724/2007). Il Ministero dell'Istruzione, che in origine aveva riconosciuto alla M un assegno ad personam pensionabile, non rivalutabile e non riassorbibile, ne aveva successivamente disposto la riassorbibilità (decreto dirigenziale n.8724/2007). La Corte d'appello ha statuito l'illegittimità della determinazione di riassorbibilità dell'assegno ad personam, ritenendo che, trattandosi di un caso di mobilità fra amministrazioni appartenenti all'organizzazione burocratica dello Stato, dovesse operare la regola della non riassorbibilità, così come previsto dall'art. 3, comma 58 della I. n.537 del 1993 che, modificando l'art. 202 del d.P.R. n.3 del 1957, prevede una disciplina speciale nei passaggi di carriera fra amministrazioni tutte statali per cui "...al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione, è attribuito un assegno pensionabile non riassorbibile". La cassazione della sentenza è domandata dal Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca con un unico articolato motivo, cui T M ha opposto difese con tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l'unica censura, formulata ai sensi dell'art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., il Ministero ricorrente contesta "Violazione dell'art. 16 della legge 28.11.2005, n.246, e dell'art. 30 del decreto legislativo 30.3.2001, n.165;
dell'art. 3, commi 57 e 58 della I. n.537 del 1993, anche in combinato con l'art. 45, comma 2, d.lgs. n.165/2001". Il Ministero ricorrente ha contestato l'applicazione del criterio di non riassorbibilità dell'assegno personale da parte della Corte territoriale. Si è richiamato alla giurisprudenza di legittimità la quale afferma che nel caso di passaggio da un'amministrazione a un'altra - e in assenza di norme speciali - il principio generale vigente è quello del riassorbimento degli assegni ad personam, attribuiti in attuazione del principio di divieto di reformatio in pejus del trattamento economico acquisito, in occasione dei miglioramenti d'inquadramento e di trattamento economico riconosciuti per effetto del trasferimento. Ha ritenuto - sulla scorta di questo che assume come principio generale, effetto della contrattualizzazione del pubblico impiego - che nella fattispecie controversa non venga in considerazione l'applicabilità della I. n.537 del 1993 (art. 3), che disciplina i passaggi di carriera previsti dall'art. 202 del d.P.R. n.3 del 1957, ma debbano trovare applicazione i principi generali in tema di mobilità introdotti con il d.lgs. n.165, primo fra tutti quello di parità di trattamento tra dipendenti provenienti da amministrazioni diverse, cristallizzato nell'art. 45, e quello sancito all'art. 30, che riconduce all'istituto della cessione del contratto il passaggio di personale fra enti, stabilendo che nei confronti del dipendente trasferito debba trovare applicazione il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto dai contratti collettivi del comparto dell'amministrazione di destinazione (cessionaria). La censura è fondata nella parte in cui il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto applicabili l'art. 3, co. 57 e co.58, della legge n.537 del 1993, di modifica dell'art. 202, del d.P.R. n.3 del 1957, e la norma d'interpretazione autentica, di cui all'articolo unico, co. 226, della I. n. 266 del 2005. Il thema decidendum della presente controversia è rappresentato dalla contestazione al provvedimento, disposto dal MIUR nel 2007, a distanza di circa otto anni dal trasferimento dell'odierna controricorrente presso il Ministero dell'Istruzione, con il quale quest'ultimo aveva applicato, con efficacia retroattiva, il criterio di riassorbibilità dell'assegno ad personam riconosciutole in origine come cumulabile con i successivi aumenti retributivi. Nel caso esaminato il passaggio è avvenuto nel 1999 dal Ministero dell'Università e della Ricerca scientifica al Ministero della Pubblica Istruzione ossia fra due amministrazioni statali, dal 2001 accorpate in base al d.lgs. n.300 del 1999. Deve ritenersi che l'irriducibilità del criterio di non riassorbibilità del trattamento economico, nel caso di mobilità tra amministrazioni appartenenti entrambe all'organizzazione burocratica dello Stato al principio generale di cui all'art. 30 del d.lgs. n.165 del 2001, può dirsi definitivamente superata in seguito all'entrata in vigore dell'art. 16, co.1, lett a) della I. n.246 del 2005, che ha aggiunto il comma 2 quinquies all'art. 30 del d.lgs. n.165 del 2001, sostituendo l'espressione atecnica "passaggio diretto", contenuta nell'originario co.1, con l'espressione "cessione del contratto di lavoro". La giurisprudenza di questa Corte, riguardo ad una fattispecie sovrapponibile ha ritenuto come a tale scelta legislativa non vada attribuito mero valore d'interpretazione autentica, e ne ha fatto derivare il seguente principio di diritto, al quale in questa sede va data continuità, applicabile a tutti i casi di mobilità volontaria fra enti pubblici: "La regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all'altro comporta l'inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (art. 2112 cod. civ.) è confermata, per i dipendenti pubblici, dal d.lgs. n.165 del 2001, art. 30, che, nel testo risultante dalla modifica apportata dall'art. 16, co.1 della legge n. 246 del 2005 (applicabile ratione temporis) riconduce in maniera espressa il passaggio diretto di personale da Amministrazioni diverse alla fattispecie di "cessione del contratto"(art.1406 cod. civ.), stabilendo la regola generale dell'applicazione del trattamento giuridico ed economico compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi nel comparto dell'Amministrazione cessionaria, non giustificandosi diversità di trattamento, salvi gli assegni "ad personam" attribuiti al fine di rispettare il divieto di "reformatio in peius" del trattamento economico acquisito, tra dipendenti dello stesso ente, a seconda della provenienza. Tale regola, da applicare anche nel caso di passaggio dalle dipendenze dall'Agenzia del Demanio alle dipendenze di una Amministrazione inserita nel sistema burocratico dello Stato, comporta che i suddetti assegni "ad personam" siano destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell'Amministrazione cessionaria". (Cass. n.18299/2017 e n. 169/2017) In definitiva il ricorso va accolto. La sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con rigetto dell'originaria domanda. Le spese del giudizio di merito sono compensate, quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
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