Cass. pen., sez. III, sentenza 15/10/2018, n. 46684
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Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da P R, nato a Filighera il 01/07/1953 avverso la sentenza del 07/06/2017 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere G F R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S P, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito per l'imputato l'avv. P P C, anche in sostituzione dell'avv. R M, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 giugno 2017, la Corte d'appello di Milano, decidendo il gravame proposto da R P, ha confermato - riducendo la pena per la concessione delle circostanze attenuanti generiche e sospendendola alle condizioni di legge - la sentenza emessa con rito abbreviato che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso il versamento dell'IVA, nell'anno d'imposta 2011, per la società cooperativa di cui era legale rappresentante.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo vengono dedotti i vizi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla violazione dell'art. 45 cod. pen., per non essere stata riconosciuta la sussistenza della causa della forza maggiore o dell'inesigibilità della condotta in relazione all'assoluta impossibilità del ricorrente di adempiere al debito d'imposta per la crisi in cui versava l'impresa. In particolare, avrebbe errato la Corte territoriale nel negare l'invocata fattispecie, avendo l'imputato utilizzato le risorse disponibili per pagare gli stipendi ai soci lavoratori, in adempimento di crediti privilegiati a cui sono posteregati quelli erariali e contributivi, pena, tra l'altro, la commissione del reato di bancarotta preferenziale. Sarebbe peraltro illogica la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui addebita all'imputato di non aver allegato una strategia organizzativa volta a fronteggiare la crisi d'impresa e, in particolare, a reperire risorse, nel contempo affermando che le risorse aziendali erano scarse e che il patrimonio personale dell'imputato non era di fatto capiente.
4. Con il secondo motivo si deducono l'inosservanza dell'art. 649 cod. proc. pen., dell'art. 4, Protocollo n. 7 C.E.D.U. e dell'art. 50 della Carte dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché il vizio di motivazione, per essere stato violato il divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto, sul rilievo che per le medesime omissioni del versamento dell'IVA l'Agenzia delle Entrate aveva già irrogato una sanzione amministrativa, divenuta definitiva prima del giudizio penale. Con motivazione illogica la Corte avrebbe peraltro negato la sussistenza dell'invocato bis in idem sul rilievo che difetterebbe l'identità soggettiva tra i destinatari delle due sanzioni, ignorando le allegazioni difensive circa la solidarietà - stabilita dalle disposizioni di legge richiamate in ricorso - tra l'ente ed il suo legale rappresentante quanto al pagamento delle sanzioni amministrative, identità vieppiù ravvisabile /nel caso di specie essendo l'imputato socio lavoratore della cooperativa da lui amministrata. In via alternativa rispetto al richiesto annullamento della sentenza impugnata per i suddetti motivi, il ricorrente eccepisce l'illegittimità costituzionale degli artt. 649 cod. proc. pen., 10-ter d.lgs. 10 n. 74 del 2000 e 13 d.lgs. n. 472 del 1977, in relazione agli artt. 10, 11 e 117 Cost., per violazione dell'art. 4, Protocollo n. 7 C.E.D.U., nella parte in cui non prevedono l'applicazione del principio del ne bis in idem rispetto a procedimenti amministrativi la cui sanzione ha natura penale sostanziale pfferenti al medesimo fatto storico oggetto del procedimento penale per contestata violazione dell'art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000. 5. Con il terzo motivo si deduce l'inosservanza dell'art. 133 cod. pen. per l'eccessività della pena inflitta, fissata nel triplo del minimo edittale senza tener conto della condizione di mero socio lavoratore dell'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato e dev'essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deve in primo luogo osservarsi come non sussista la dedotta violazione dell'art. 45 cod. pen. poiché la situazione rappresentata dal ricorrente - peraltro adeguatamente vagliata dai giudici di merito - non integra gli estremi della forza maggiore, giusta il consolidato principio secondo cui, in tema di reati fiscali omissivi, l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128). In detta sentenza questa Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità. In particolare, nella motivazione della citata decisione - che richiama numerosi precedenti conformi e che il Collegio integralmente condivide - si legge che «la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente», sicché questa Suprema Corte «ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986;
Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880;
Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805;
Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232;
Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495;
Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
5.20.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l'assoluta
udita la relazione svolta dal consigliere G F R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S P, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito per l'imputato l'avv. P P C, anche in sostituzione dell'avv. R M, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 giugno 2017, la Corte d'appello di Milano, decidendo il gravame proposto da R P, ha confermato - riducendo la pena per la concessione delle circostanze attenuanti generiche e sospendendola alle condizioni di legge - la sentenza emessa con rito abbreviato che lo aveva ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso il versamento dell'IVA, nell'anno d'imposta 2011, per la società cooperativa di cui era legale rappresentante.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3. Con il primo motivo vengono dedotti i vizi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla violazione dell'art. 45 cod. pen., per non essere stata riconosciuta la sussistenza della causa della forza maggiore o dell'inesigibilità della condotta in relazione all'assoluta impossibilità del ricorrente di adempiere al debito d'imposta per la crisi in cui versava l'impresa. In particolare, avrebbe errato la Corte territoriale nel negare l'invocata fattispecie, avendo l'imputato utilizzato le risorse disponibili per pagare gli stipendi ai soci lavoratori, in adempimento di crediti privilegiati a cui sono posteregati quelli erariali e contributivi, pena, tra l'altro, la commissione del reato di bancarotta preferenziale. Sarebbe peraltro illogica la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui addebita all'imputato di non aver allegato una strategia organizzativa volta a fronteggiare la crisi d'impresa e, in particolare, a reperire risorse, nel contempo affermando che le risorse aziendali erano scarse e che il patrimonio personale dell'imputato non era di fatto capiente.
4. Con il secondo motivo si deducono l'inosservanza dell'art. 649 cod. proc. pen., dell'art. 4, Protocollo n. 7 C.E.D.U. e dell'art. 50 della Carte dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché il vizio di motivazione, per essere stato violato il divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto, sul rilievo che per le medesime omissioni del versamento dell'IVA l'Agenzia delle Entrate aveva già irrogato una sanzione amministrativa, divenuta definitiva prima del giudizio penale. Con motivazione illogica la Corte avrebbe peraltro negato la sussistenza dell'invocato bis in idem sul rilievo che difetterebbe l'identità soggettiva tra i destinatari delle due sanzioni, ignorando le allegazioni difensive circa la solidarietà - stabilita dalle disposizioni di legge richiamate in ricorso - tra l'ente ed il suo legale rappresentante quanto al pagamento delle sanzioni amministrative, identità vieppiù ravvisabile /nel caso di specie essendo l'imputato socio lavoratore della cooperativa da lui amministrata. In via alternativa rispetto al richiesto annullamento della sentenza impugnata per i suddetti motivi, il ricorrente eccepisce l'illegittimità costituzionale degli artt. 649 cod. proc. pen., 10-ter d.lgs. 10 n. 74 del 2000 e 13 d.lgs. n. 472 del 1977, in relazione agli artt. 10, 11 e 117 Cost., per violazione dell'art. 4, Protocollo n. 7 C.E.D.U., nella parte in cui non prevedono l'applicazione del principio del ne bis in idem rispetto a procedimenti amministrativi la cui sanzione ha natura penale sostanziale pfferenti al medesimo fatto storico oggetto del procedimento penale per contestata violazione dell'art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000. 5. Con il terzo motivo si deduce l'inosservanza dell'art. 133 cod. pen. per l'eccessività della pena inflitta, fissata nel triplo del minimo edittale senza tener conto della condizione di mero socio lavoratore dell'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato e dev'essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deve in primo luogo osservarsi come non sussista la dedotta violazione dell'art. 45 cod. pen. poiché la situazione rappresentata dal ricorrente - peraltro adeguatamente vagliata dai giudici di merito - non integra gli estremi della forza maggiore, giusta il consolidato principio secondo cui, in tema di reati fiscali omissivi, l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128). In detta sentenza questa Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità. In particolare, nella motivazione della citata decisione - che richiama numerosi precedenti conformi e che il Collegio integralmente condivide - si legge che «la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente», sicché questa Suprema Corte «ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986;
Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880;
Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805;
Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232;
Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495;
Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
5.20.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l'assoluta
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