Cass. civ., sez. II, sentenza 13/06/2023, n. 16679
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ché BASILE MARIA (C.F.: BSL MRA 59C52 A026T), BASILE GIUSEPPE (C.F.: BSL GPP 65 A31 Z133B), BASILE SALVATORE (C.F.: BSL SVT 66M19 Z133J) e BASILE ROSARIO (C.F.: BSL RSR 69R28 A026J), in qualità di eredi di A B, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. N M, ed elettivamente domiciliati presso lo Studio dell’Avv. Franco Di Lorenzo in Roma, Via Germanico n. 12;-ricorrenti - contro CALDERONE SALVATORE (C.F.: CLD SVT 59B09 A027D), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Francesco Barbagallo-Barbagalloe domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione in Roma, piazza Cavour. -controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 1244/2015 (pubblicata il 16 aprile 2018);udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 aprile 2023 dal Consigliere relatore Dott. A C;lettele conclusioni del P.G., in persona del Sostituto procuratore generale A C, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso;lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai sensi dell’art. 378 c.p.c. R.G.N. 25313/2018 U.P. 06/04/2023 SERVITU’ RITENUTO IN FATTO 1. Con atto di citazione dell’ottobre 2011, i coniugi A B e D P – premesso di essere comproprietari di un fondo rustico sito in Valverde (CT), catastalmente identificato alle particelle nn. 293, 731, 730 e 729 del foglio 11 del N.C.T. - convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, S C, al fine di veder accertata l’inesistenza della servitù di acquedotto a carico del proprio fondo ed in favore di quello limitrofo di proprietà del convenuto, sito in parte nel Comune di Aci Catena (CT), particelle nn. 158, 225, 187 e 152 del foglio 10, ed in parte nel comune di Valverde, particelle nn. 312, 141, 413 del foglio 11, con condanna all’eliminazione delle tubature esistenti. Nella costituzione del citato convenuto -il quale, oltre ad instare per il rigetto delle pretese attoree, spiegava domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del diritto di servitù di acquedotto o, in subordine, per la costituzione di tale tipo servitù in via coattiva – l’adito Tribunale, con sentenza n. 2528/2015, rigettava le domande riconvenzionali e accoglieva quella attorea, condannando il convenuto a cessare ogni turbativa e molestia, nonché ad eliminare ogni tubazione esistente sul fondo degli stessi attori, condannato il convenuto alle spese processuali. 2. Decidendo sul gravame interposto dal soccombente convenuto e nella costituzione degli appellati coniugi, la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 872/2018 (depositata il 16 aprile 2018), accoglieva l’appello e, per l’effetto, respingeva le domande degli originari attori B-Pagano e dichiarava accertata l’esistenza – per intervenuto acquisto a titolo di usucapione - della suddetta servitù di acqu edotto a favore del fondo di proprietà del C, condannando gli appellati in solido alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte etnea rilevava che la tesi degli appellati - secondo cui l’a cqua scorreva da sempre a cielo aperto e che il C ottenne il permesso di collocare un tubo solo nell’anno 2007 a titolo di mera cortesia - non aveva trovato alcun valido riscontro, poiché dal complesso degli acquisiti elementi istruttori era, invece, emersa la prova dell’esistenza e dell’utilizzo della controversa tubazione, in modo ininterrotto prima da parte del padre del C S e poi ad opera dello stesso, sin dagli anni settanta (quando – alla stregua degli esiti delle più attendibi li deposizioni dei testi C, R e L - il padre di parte appellante aveva installato nella sorgiva insistente sul fondo degli appellati due tubazioni zincate a vista, una delle quali arrivava fino ad un abbeveratoio e l’altra fino alla cisterna anch’essa ubicata nel terreno del sig. C, passando attraverso il fondo degli appellati) e fino alla proposizione del ricorso possessorio n. 977/2010. Tale fatto –ha aggiunto la Corte di appello - non era stato smentito da quanto accertato nel successivo procedimento esecutivo n. 1189/2011 dal c.t.u., il quale aveva ribadito le cause della prima ingente diminuzione del flusso d’acqua e constatato che gli appellanti non avevano manomesso la tubatura fatta ripristinare dal c.t.u. medesimo nell’ambito del procedimento esecutivo menzionato. Dunque, doveva ritenersi maturato il ventennio per l’acquisto della servitù di acquedotto a titolo di usucapione in capo all’appellante C S. 3. Avverso la citata sentenza di appello, hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di nove motivi, D P e M, G, S e R B (quali eredi di A B), resistito con controricorso S C. Il P.G., in persona del Sostituto procuratore generale A C, ha rassegnato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. Le difese di entrambe le parti hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano –ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e il “travisamento della prova rilevante”, ravvisando inconciliabilità fra le affermazioni contenute in sentenza (pag. 5, secondo capoverso, quarto rigo) sull’esistenza di due tubazioni zincate a vista insistenti sul fondo degli appellati e le deposizioni dei testi C, R, C e B, i quali avevano riferito (a differenza del solo teste L) della presenza di un solo tubo che collegava la sorgiva all’abbeveratoio e la confessione dello stesso C che dichiarava l’esistenza di due tubazioni. 2. Con la seconda censura, i ricorrenti deducono – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – il travisamento di un’altra prova r ilevante, ossia del fatto che non c’era nessuna prova né ammissione sulla circostanza che l’abbeveratoio si trovava sul fondo di proprietà del C, mentre si sarebbe dovuto considerare certo che si trovava su strada pubblica dal lato opposto rispettoalla proprietà del C stesso. 3. Con la terza doglianza, i ricorrenti lamentano – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. –la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. sul principio della disponibilità delle prove e del giusto processo, avendo la Corte d’appello ritenuto provate e certe le circostanze di fatto che non erano state riscontrate e che erano anche contraddette dalle rese testimonianze e dalla confessione del C.
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