Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 17/08/2020, n. 17199

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 17/08/2020, n. 17199
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17199
Data del deposito : 17 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso 15006-2017 proposto da: ALITALIA - SOCIETA' AEREA ITALIANA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE TRE MADONNE

8 presso lo studio 2020 degli Avvocati M M, M 4 M e D D F, che la rappresentano e difendono;

- ricorrente -

nonchè da: RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. COMPAGNIA AEREA ITALIANA S.P.A. (già ALITALIA - Compagnia Aerea Italiana S.p.A), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE n. 161, presso lo studio NCTM, rappresentata e difesa dagli avvocati M M e M M;
ricorrente successivo

contro

T D, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS n. 4, presso lo studio dell'avvocato C P, rappresentata e difesa dagli avvocati M C e V C;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2239/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2017 R.G.N. 2867/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2020 dal Consigliere Dott. F A;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C che ha concluso per il rigetto del ricorso Alitalia CAI, per il rigetto dei primi due motivi del ricorso Alitalia SAI e per la rimessione alle SS.UU. per il terzo motivo dello stesso ricorso;
udito l'Avvocato M M;
udito l'Avvocato MARIA PALOMBA per delega dell'Avvocato M C. R.G. n. 15006/2017

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 19 aprile 2017, ha confermato la pronuncia di primo grado che, nell'ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, aveva ritenuto l'illegittimità del licenziamento intimato con decorrenza dal 111.2014 a Denise Trotta da parte della Compagnia Aerea Italiana Spa, all'esito di una procedura di licenziamento collettivo avviata il 3 ottobre 2014;
in accoglimento poi del reclamo proposto dalla lavoratrice ha condannato Alitalia-Società Aerea Italiana Spa, in qualità di cessionaria del compendio aziendale, a reintegrare la Trotta nel posto di lavoro, condannando altresì entrambe le società, in solido, al pagamento di una indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità, oltre contributi, accessori e spese.

2. La Corte di Appello ha respinto il reclamo proposto da CAI Spa, in estrema sintesi e per quanto qui ancora interessa, ritenendo di confermare la "illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta con conseguente applicazione delle tutele di cui all'art. 18 comma 4 I. n. 300/70 come modificato dalla legge n. 92/2012". Ha poi respinto la richiesta di CAI "di essere autorizzata a risolvere il rapporto di lavoro di altro lavoratore, ai sensi dell'art. 17 I. n. 223 del 1991" così argomentando: "in primo luogo perché la pronuncia richiesta esula dalla valutazione della legittimità del licenziamento" ed in secondo luogo perché tale possibilità presuppone una nuova applicazione dei criteri di scelta da parte dei datore di lavoro e quindi l'esistenza di un esubero (comunque assente nel caso in oggetto nel profilo che interessa)". La Corte ha anche confermato come la controversia non esulasse dall'ambito di applicazione del rito di impugnativa dei licenziamenti previsto dalla legge n. 92 del 2012. Pertanto, annullato il licenziamento impugnato con effetti rispristinatori del rapporto nei confronti della cedente CAI, secondo la Corte di Appello, in difformità dal giudice di prime cure, il rapporto di lavoro andava ricostituito con l'impresa cessionaria SAI, non essendo opponibile da parte di quest'ultima l'esclusione prevista dall'accordo di cessione di azienda per i lavoratori non facenti parte dell'elenco dei lavoratori trasferiti, pur in presenza di uno stato di crisi aziendale. In particolare, la Corte ha ritenuto di dover interpretare in senso conforme al diritto dell'Unione il comma 4 bis dell'art. 47 della legge n. 428 del 1990, così come successivamente modificato, nel senso che l'accordo sindacale ivi previsto non può prevedere limitazioni al diritto dei lavoratori di passare all'impresa cessionaria, ma R.G. n. 15006/2017 semplicemente modifiche delle condizioni di lavoro al fine del mantenimento dei livelli occupazionali.

5. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi sia C.A.I. Spa, con due motivi, che Alitalia S.A.I. Spa, con tre motivi;
ha resistito con controricorso la lavoratrice. Entrambe le società hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso C.A.I. si denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 5, co. 3, I. n. 223 del 1991, con riferimento all'art. 18, commi 4 e 7, della legge n. 300 del 1970, in combinato disposto con gli articoli 414 e 416 c.p.c.". Si contesta la tutela reintegratoria disposta dai giudici del merito, sostenendo che incomberebbe sul lavoratore che invochi una violazione dei criteri di scelta l'onere di indicare il risultato vantaggioso conseguibile all'esito del corretto procedimento di selezione, precisando il nominativo delle persone che avrebbero dovuto essere licenziate, specificando in virtù di quale criterio falsamente applicato ciò sarebbe dovuto avvenire e provando che effettivamente, in applicazione di tali criteri, certamente non sarebbe stato licenziato. Si lamenta che "benché nulla la sig.ra Trotta abbia allegato in tal senso il Collegio ha comunque disposto la reintegrazione delle medesima nel posto di lavoro".

1.1 La censura non merita accoglimento. La sentenza impugnata ha argomentato che nel licenziamento collettivo della Trotta era stato applicato il criterio relativo alla ipotesi "di soppressione del posto di lavoro senza concorso di lavoratori" presso l'azienda dove era stata distaccata, mentre doveva "essere presa in considerazione la posizione rivestita nel soggetto che procede al licenziamento collettivo, perché questo ha la finalità di eliminare le eccedenze che si verifichino all'interno della sua organizzazione, irrilevanti le situazioni di soggetti terzi". Ha aggiunto che nessun onere gravava sulla Trotta di indicare il lavoratore sul quale avrebbe dovuto cadere la scelta, atteso che "ne caso di specie ... non vi sono esuberi nelle posizioni nelle quali la Trotta avrebbe dovuto essere considerata e mancano conseguentemente le indicazioni societarie sui dati dei lavoratori interessati dagli esuberi per l'ipotesi di concorrenza". Invero la c.d. prova di resistenza ha senso quando si discute della corretta applicazione di un criterio di scelta laddove il datore di lavoro abbia predisposto una graduatoria di lavoratori licenziati indicando posizioni comparabili, per cui la corretta R.G. n. 15006/2017 applicazione del criterio controverso condurrebbe il lavoratore individuato come da licenziare ad essere collocato fuori dell'ambito numerico delle eccedenze. Invece il motivo in esame non si confronta con le ragioni effettive poste a fondamento della decisione impugnata, per cui non risulta pertinente rispetto al decisum.

2. Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 17 L.223/1991, con riferimento all'art.360 n.3 c.p.c.". Si sostiene che "la norma in esame introduce una peculiare fattispecie di licenziamento, che trova la propria giustificazione nella condanna alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro occupato prima del licenziamento collettivo. Da ciò deriva che la pronuncia richiesta dalla resistente non 'esula dalla valutazione della legittimità del licenziamento' in quanto, diversamente ritenendo, la disposizione di cui all'art.17 cit. verrebbe privata del proprio contenuto". Infine, si opina che la violazione da parte della Corte di merito della norma in esame "sia il risultato dell'erronea condanna alla reintegrazione di parte resistente".

2.1. La censura è priva di fondamento. Secondo l'art. 17 I. n. 223 del 1991: "Qualora i lavoratori il cui rapporto sia risolto ai sensi degli articoli 4, comma 9, e 24 vengano reintegrati a norma dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, l'impresa, sempre nel rispetto dei criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, può procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro di un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori reintegrati senza dover esperire una nuova procedura, dandone previa comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali". Si tratta di disposizione posta a favore del datore di lavoro, al quale viene concessa la possibilità di proseguire nella procedura svolta per evitare che i tempi di un eventuale nuovo iter possano apportare pregiudizio economico all'azienda (Cass. n. 22357 del 2015) con una inutile reiterazione di fasi già compiute e solo prescrivendo che dell'esercizio di tale facoltà debba essere data comunicazione alle associazioni sindacali (Cass. n. 14717 del 2002). Tale possibilità è percorribile "solo quando sia stato correttamente esperito il prescritto iter procedimentale" perché solo in tale caso può essere "invocata la persistenza degli effetti della deliberazione di ridimensionamento del personale, con la conseguenza che, nei limiti della riduzione stabilita, la reintegrazione di determinati lavoratori (il cui licenziamento si stato disposto illegittimamente, per motivi non procedurali, ma consistenti nella violazione R.G. n. 15006/2017 dei criteri di scelta) può giustificare l'allontanamento di altrettanti lavoratori mantenuti nel loro posto per effetto di siffatta violazione;
laddove l'inosservanza della procedura comporta reintegrazione dei licenziati fino a quando non sia rinnovata la procedura stessa" (Cass. SS.UU. n. 12194 del 2002, in motivazione). Tale ricostruzione sistematica è stata confermata anche in seguito alle modifiche del regime di tutele apprestato dalla I. n. 92 del 2012 in ipotesi di licenziamento collettivo illegittimo, per cui "solo nel caso di violazione dei criteri di scelta, alla reintegrazione dei lavoratori potrà seguire la scelta dell'impresa di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro di un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori reintegrati senza dovere esperire una nuova procedura, così come previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 17" (Cass. n. 12095 del 2016;
negli stessi termini Cass. n. 2587 del 2018 e Cass. n. 21963 del 2018). Risulta dunque manifesto che si tratta di facoltà concessa all'impresa di risolvere rapporti di lavoro, ricorrendo i presupposti previsti dall'art. 17 citato, peraltro previa comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali, per cui compete alla volontà ed alla responsabilità dell'imprenditore che ne ha il potere, rendendo palesemente inammissibile una domanda in forma di "autorizzazione" a licenziare altro lavoratore che si pretende debba essere emessa dal giudice.
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