Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/06/2009, n. 15032

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Nelle controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, aventi ad oggetto il legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa in riferimento alle ritenute alla fonte versate direttamente dal primo, volontariamente o coattivamente, l'Amministrazione finanziaria non assume la veste di litisconsorte necessario, tenuto conto dell'autonomia del rapporto tributario rispetto a quello privatistico intercorrente tra le parti e della diversità degli effetti della pronuncia relativa a quest'ultimo rispetto a quella sulla legittimità della pretesa tributaria, le quali, peraltro, non escludono il potere del giudice ordinario di sindacare in via incidentale la legittimità dell'atto impositivo e di disapplicarlo, ovvero di disporre la sospensione del giudizio, ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., in caso di contemporanea pendenza del giudizio tributario.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/06/2009, n. 15032
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15032
Data del deposito : 26 giugno 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. V P - Presidente di Sezione -
Dott. P R - Presidente di Sezione -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. M D C L - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. N A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23685/2007 proposto da:
TRALICCI GA (*TRLGNI5CH61H501E*), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO

20, presso lo studio dell'avvocato M S, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
ALLIANZ S.P.A. (*05032630963*), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE CARSO

63, presso lo studio dell'avvocato F V M, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;
il ricorso risulta notificato anche alla ALLIANZ SUBALPINA S.P.A.;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 15501/2007 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 02/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/04/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

uditi gli avvocati Stefano MENICACCI, Vincenzo Maria FARGIONE;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

NARDI

Vincenzo, che ha concluso, previa dichiarazione di ammissibilità del ricorso, per il dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario;
nel merito, rigetto del ricorso.
FATTO
L'Allianz Subalpina s.p.a. ha proposto opposizione avverso il pignoramento presso terzo proposto dall'avv. Gina Tralicci in forza di sentenza della Corte di appello di Roma, che disponeva la distrazione, in favore dello stesso avvocato Tralicci , delle somme dovute a titolo di onorario.
La società opponente contestava la legittimità in toto della richiesta e, in subordine, nella parte in cui il creditore non tiene conto della riduzione dell'importo eventualmente dovuto in ragione dell'incidenza della ritenuta IRPEF.
Il tribunale adito, respinta l'eccezione preliminare di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ha accolto il ricorso della società, dichiarando la insussistenza del diritto dell'avv. Tralicci a procedere alla esecuzione, con aggravio di spese ex art.96 c.p.c., comma 2. Avverso tale decisione, ricorre l'avv. Tralicci prospettando quattro motivi di cassazione. La società intimata resiste con controricorso.
DIRITTO


1. Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per l'asserita violazione della L. n. 52 del 2006, formulata dalla parte resistente, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione è inammissibile soltanto se "proposto avverso sentenza pubblicata in data anteriore al 1 marzo 2006 all'esito di giudizio di primo grado su opposizione all'esecuzione, trattandosi di sentenza soggetta ad appello, in quanto solo in tale data è entrato in vigore il nuovo testo dell'art. 616 cod. proc. civ., introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, che ha sostituito il precedente regime
dell'appellabilità con quello della non impugnabilità della sentenza" (Cass. 20414/2006;
conf. 5342/2009). Ne deriva che correttamente, nella specie, è stato proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza pubblicata il 28 luglio 2007. Nè questa interpretazione contrasta con i principi della carta costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (v. Cass. 976/2008). Nel merito, il ricorso non può trovare accoglimento.

2. Con i primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la interdipendenza degli argomenti addotti, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 3 e 25 e difetto di giurisdizione del giudice adito (1 motivo) e violazione delle norme sul "litisconsorzio necessario", individuate negli artt. 101 e 102 c.p.c. (2 motivo), vengono prospettati alla Corte i seguenti quesiti:
a) "se l'accertamento della legittimità dell'applicazione della ritenuta d'acconto tra sostituto e sostituito - ancorché incidentale in una procedura espropriativa presso terzi al fine di acclarare il presunto esaustivo adempimento della sorte del precetto mediante il computo del tributo stesso - rientri nella giurisdizione ordinaria ovvero in quella speciale tributaria";

b) "se il debitore precettato che opponga alla sorte precettata il presunto pagamento di una somma a titolo di ritenuta fiscale di acconto abbia l'onere processuale di evocare in giudizio il ministero dell'Economia quale litisconsorte necessario".
Nelle controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, la materia del contendere non è costituita dalla sussistenza e/o dal contenuto dell'obbligo di effettuare la ritenuta (an e quantum), che sono questioni che attengono al rapporto tributario tra sostituto ed erario (e che certamente rientrano nella competenza del giudice tributario). Le questioni relative all'indebito pagamento dei tributi (rectius: versamento della ritenuta) o all'omesso pagamento, seguono la regola generale della devoluzione al giudice tributario attraverso l'impugnazione dell'atto (espresso o presunto) che segue la richiesta del rimborso o dell'atto impositivo con il quale viene fatta valere la pretesa tributaria rimasta insoddisfatta. Ciò che è oggetto di lite nel rapporto tra sostituto e sostituito, è il legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa, che il sostituto esercita nei confronti del sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, quindi di competenza del giudice ordinario. Il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l'esercizio del potere impositivo nell'ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà-soggezione. Se manca un soggetto investito di potestas impositiva manca anche il rapporto tributario, così come se manca un provvedimento che sia espressione di tale potere non si configura la speciale lite tributaria che, per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva. Le controversie tra sostituto e sostituito, invece, nascono o dal fatto che il sostituito contesta il diritto di rivalsa esercitato dal sostituto - per mancanza del presupposto di fatto (omesso versamento diretto della ritenuta) o per mancanza del presupposto giuridico (il sostituto non doveva versare la ritenuta) - ovvero dal fatto che il fisco pretenda, dal sostituto o dal sostituito, mediante notifica di un atto impositivo, un maggior versamento rispetto a quella effettuato ed il destinatario di tale pretesa intenda rivalersi sull'altro soggetto. In tutti questi casi, la lite nasce perché le parti private, nei loro rapporti diretti (privati), ritengono che siano state erroneamente interpretate e/o applicate le norme che regolano quei rapporti, e non rileva che successivamente il fisco eserciti una azione ex autoritate, in relazione alla quale le parti possono difendersi direttamente (nei confronti dell'ente impositore) dinanzi al giudice speciale tributario. I rapporti tra le due giurisdizioni, civile e tributaria, in caso di contemporanea pendenza dei due processi, vanno disciplinati, ricorrendone i presupposti, in base all'art. 295 c.p.c.. In linea di principio, la riscossione volontaria delle imposte mediante versamenti diretti può essere effettuata dal contribuente o dal sostituto che opera la ritenuta alla fonte. Entrambi sono destinatari di specifici ed autonomi obblighi tributari (per la cui violazione sono previste sanzioni "pubbliche"), i cui effetti soltanto indirettamente si riflettono sui rapporti interpersonali. L'Erario si rivolge al sostituto, gravandolo di particolari obblighi (di dichiarazione e di versamento diretto della ritenuta) per agevolare e garantire la riscossione, che viene anticipata al momento in cui viene corrisposta al contribuente una somma che partecipa del presupposto impositivo. Finisce qui il versante pubblico del rapporto (sostituto-fisco) ed inizia quello privatistico, nel cui ambito si sviluppano le controversie di dare ed avere tra sostituito e sostituito, in relazione all'esercizio del diritto di rivalsa da parte del sostituto, cui corrisponde una obbligazione ex lege a carico del sostituito. Nè rileva che il sostituto abbia eventualmente effettuato il versamento nelle casse pubbliche, invece che spontaneamente, in forza di un apposito atto impositivo i cui effetti, comunque, riguardano soltanto il sostituto destinatario. Al punto che, ove mai il sostituto abbia erroneamente pagato somme non dovute (per la mancata impugnazione dell'atto impositivo o perché si sia mal difeso), non potrà rivalersene sul sostituito, il quale ben potrà difendere i propri diritti dinanzi al giudice ordinario, eccependo che il sostituto non può riversare sul sostituito i propri errori, anche se, per ipotesi, siano indotti da un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione, provvedimento che il giudice ordinario può sempre disattendere, se ne riconosce la illegittimità.
Se, invece, il sostituto adempie correttamente al proprio obbligo di ritenuta e versamento, due sono i casi: o se ne accolla l'onere finanziario (ipotesi oggi prevista in linea di principio dall'art. della L. n. 212 del 2000, cd. statuto del contribuente), rinunciando a trasferirlo sul sostituito, il quale quindi di nulla potrà dolersi (in tal caso, però, se la rivalsa è obbligatoria, il sostituto si espone all'applicazione di sanzioni da parte dell'ente impositore e l'eventuale contenzioso che ne segue appartiene certamente alla giurisdizione speciale), ovvero esercita il diritto di rivalsa in relazione al quale il soggetto economicamente inciso (sostituito) può contestare (nell'ambito di un rapporto paritario) che la ritenuta non andava effettuata e/o non andava effettuata in una certa misura e/o che la stessa non è stata poi integralmente versata, citando in giudizio il suo contraddittore dinanzi al giudice ordinario. Lo stesso dicasi se il sostituto erroneamente ometta di esercitare tempestivamente il diritto/dovere di rivalsa e il sostituito si opponga alla tardiva richiesta di rimborso. In tutti i casi i rapporti tributari, intesi in senso proprio come rapporti di tipo pubblicistico con il fisco (obbligo di effettuare la ritenuta che grava sul sostituto ed obbligo di pagare i tributi che grava sul contribuente sostituito) restano fuori dell'oggetto diretto della controversia, che rientra quindi nella giurisdizione del giudice ordinario, come qualsiasi causa avente ad oggetto l'adempimento di obbligazioni tra privati (con l'unica "particolarità" che la legittimità dell'an e del quantum del petitum va valutata in relazione alla corretta interpretazione ed applicazione di una norma giuridica di contenuto fiscale, i cui effetti comunque rimangono in ambito interprivatistico e non incidono sulle entrate dell'amministrazione finanziaria, la quale può tutelare la integrità del gettito fiscale esercitando il propri poteri impositivi direttamente nei confronti dei soggetti inadempienti). L'interesse che muove l'azione del creditore (sostituito-inciso o sostituto che agisce in rivalsa), nelle controversie sostituto- sostituito, ha ad oggetto un interesse di tipo privato connesso al legittimo esercizio del diritto di rivalsa (contrastato dal sostituito e invocato dal sostituto), in relazione all'adempimento di una obbligazione pecuniaria.
Ritiene, dunque, il Collegio che soltanto le controversie che abbiano ad oggetto direttamente i rapporti tributari (caratterizzati, per definizione, dalla presenza di un soggetto dotato di potestà impositiva in senso lato e dall'esercizio di tale potere attraverso l'emissione di un atto di imposizione) rientrano nella competenza del giudice speciale, come si evince chiaramente dal sistema delle disposizioni legislative che definiscono i limiti della giurisdizione del giudice tributario, non soltanto in base all'oggetto (D.Lgs. n.546 del 1992, art. 2, in forza del quale la controversia deve avere
appunto natura tributaria), ma anche in base:
a) alla tipologia, dei soggetti tra i quali insorge la lite, che non possono che essere gli stessi del rapporto tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10);

b) alla esistenza o inesistenza di un atto che sia espressione della potestà impositiva (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19). Quindi, non tutte le liti che abbiano ad oggetto l'interpretazione e/o l'applicazione di una norma tributaria possono essere portate dinanzi al giudice tributario: è necessario che il contribuente, o comunque il destinatario di un obbligo tributario, chiami in causa uno dei soggetti elencati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, cioè l'altro soggetto del rapporto tributario (ente impositore o concessionario) in relazione ad un atto che sia espressione dell'esercizio del potere impositivo, riferibile al modello di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. La controversia tributaria attiene alla patologia del rapporto tributario e quindi, strutturalmente, nasce e si evolve all'interno di tale tipo di rapporto. La speciale giurisdizione tributaria è nata per consentire al contribuente (o comunque a colui che sia gravato di obblighi tributar, anche soltanto di tipo formale) di rivolgersi ad un giudice per contrastare le "pretese-potestative del fisco" e non per risolvere controversie tra privati, relative al mero esercizio di un diritto, anche se si tratti di un diritto fondato su una disposizione di carattere fiscale. Naturalmente, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario anche quando la controversia non riguardi l'interpretazione della norma fiscale, ma il suo adempimento da parte di chi esercita la rivalsa (sostituto che agisce in rivalsa senza avere effettuato il versamento della ritenuta). Non importa se si tratti di adempimento spontaneo o coatto, quando l'interpretazione di una norma fiscale sia oggetto di lite tra privati, può e deve essere interpretata dal giudice ordinario, anche se, in ipotesi, la norma sia stata malamente interpretata ed applicata a monte in forza di un atto impositivo, da cui derivi la pretesa di colui che agisce in sede civile (ad es. sostituto che agisce in rivalsa, avendo effettuato correttamente la ritenuta ed il versamento, costretto successivamente ad una integrazione di versamento in forza di provvedimento dell'autorità fiscale). L'atto impositivo deve essere impugnato, da parte del diretto destinatario, dinanzi al giudice tributario, mentre, come già accennato può essere disatteso nei rapporti tra privati, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 4, all. E. Ne deriva che il sostituto che abbia effettuato il versamento coattivo in forza di un provvedimento illegittimo non ha titolo, soltanto per questo, per rivalersi sul sostituito, e la relativa controversia rientra sempre nella giurisdizione del giudice ordinario. Infatti, in caso di contemporanea pendenza del processo tra sostituto e sostituito (dinanzi al giudice ordinario) e tra questi ed il fisco (dinanzi al giudice tributario), in relazione ad un provvedimento che possa rilevare nei rapporti tra privati, la questione relativa alla legittimità dell'atto impositivo può essere decisa incidenter tantum dinanzi al giudice ordinario, a meno che questo non ritenga di dover disporre la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.. In entrambi i casi resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario nella controversia sostituto-sostituito.
Osserva il Collegio che appare dirimente, ai fini della risoluzione del problema della giurisdizione, la considerazione che se la controversia tra sostituto e sostituito venisse erroneamente devoluta al giudice tributario, questo non potrebbe che prendere atto della inammissibilità dell'azione per carenza dell'atto impugnabile, con buona pace del diritto alla tutela giudiziaria, negata sia dal giudice ordinario che da quello tributario. Nè ai può ritenere che i ripetuti interventi di "ampliamento" della giurisdizione tributario (alcuni già caduti sotto la scure del giudice delle leggi) abbiano travolto il basilare presupposto dell'atto impugnabile. Come è noto, la L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, comma 2, ha sostituito il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, che conteneva l'elenco dei tributi in relazione ai quali era definita la giurisdizione del giudice speciale, ed ha attribuito alle commissioni tributarie la competenza generale su "tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie", con esclusione delle sole controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria. All'indomani di questa riforma, si è posto il problema se il nuovo testo dell'art. 2, implicasse l'abrogazione implicita o, comunque, il superamento degli altri parametri in base ai quali va determinata la giurisdizione speciale. In particolare, ci si è chiesto se l'attribuzione alle commissioni tributarie della giurisdizione su tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere, consenta di adire il giudice speciale anche in assenza di un provvedimento impositivo.
Storicamente, il processo tributario nasce come processo di tipo impugnatorio, in relazione al quale l'esistenza e la natura dell'atto impugnabile costituisce un vero e proprio presupposto della giurisdizione. L'eventuale eliminazione di tale limite non sarebbe senza conseguenze sul piano della legittimità costituzionale, perché trasformerebbe indebitamente il giudice speciale, con giurisdizione limitata alla legittimità degli atti impositivi, in giudice dei tributi a competenza generalizzata per materia (arg., ex Corte Cost. sent. n. 204/2004). Ritiene dunque il collegio che non possa essere superata la struttura impugnatoria del processo tributario, e che, quindi, se manca uno degli atti espressamente elencati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art.19, o comunque un atto che sia espressione dell'esercizio del potere
impositivo esercitato nei confronti di singoli contribuenti, come accade appunto nelle liti tra sostituto e sostituito, riacquista espansione la giurisdizione del giudice ordinario. Questa conclusione, a forte connotazione costituzionale, trova conforto nell'osservazione della evoluzione legislativa, la quale mostra chiaramente che il legislatore, ampliando l'oggetto della giurisdizione in relazione alla materia, non ha inteso eliminare il presupposto di accesso alla giurisdizione speciale. Infatti, i successivi interventi di ampliamento della giurisdizione tributaria sono stati realizzati incidendo proprio sul D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Nè può essere senza significato il fatto che l'ampliamento
della giurisdizione, attraverso la modifica del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, non sia stato accompagnato da un contestuale (o
successivo) intervento di coordinamento sul D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19;
tanto più che, poi, il legislatore, ha avuto occasione di
ampliare l'elenco degli atti previsti dalla citata disposizione (v. il D.L. n. 223 del 2006, comma 26 quinquies, conv. con modif. in L. n. 246 del 2006, che ha aggiunto all'elenco contenuto nel D.Lgs. n.546 del 1992, art. 19, comma 1, le lett. e-bis) ed e-ter)), ma non è
andato oltre il semplice ritocco di integrazione casistica, benché la giurisprudenza avesse già segnalato la mancanza di coordinamento tra l'evoluzione continua dell'art. 2 e la stasi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 (v. Cass. SS.UU. 16776/2005): ubi lex voluit dixit,
ubi noluit tacuit. In altri termini, la storia recente dell'evoluzione legislativa degli articoli in esame mostra chiaramente che il legislatore quando ha voluto modificare l'art. 19 lo ha fatto expressis verbis, quindi, è difficile ipotizzare che attraverso la precedente modifica dell'art. 2 il legislatore abbia inteso travolgere gli argini fissati dallo stesso art. 19, tanto più che poi ha avuto occasione di rimaneggiare la norma. Quindi l'operazione ermeneutica di ritenere abrogato implicitamente il limite della giurisdizione speciale collegato alla impugnazione di un atto impositivo non ha alcun legittimo fondamento nel sistema e nella specifica normativa.
In definitiva, l'approccio ermeneutico corretto, in tema di riparto della giurisdizione, non può prescindere dal principio della centralità e del primato della giurisdizione ordinaria (art. 102 Cost.), che è incompatibile con la istituzione di giudici
dell'amministrazione in genere, e quindi anche dell'amministrazione finanziaria, mediante attribuzione di "blocchi di materie" senza distinguere tra attività che siano espressione dell'esercizio di un potere che la legge attribuisce per la cura dell'interesse pubblico e quelle che, invece, non siano espressione di tale potere, (v. Corte Cost. 204/2004 e 191/2006). Nelle controversie tra sostituto e sostituito, dunque, manca l'atto impositivo, manca una domanda giudiziaria rivolta nei confronti di un ente dotato di sovranità fiscale, manca, infine, la contestazione di un atto che sia espressione di tale potestas: mancano, in definitiva, i presupposti di accesso alla giurisdizione delle commissioni tributarie.
La distinzione tra obblighi tributari ed obblighi che riguardano i rapporti tra sostituto e sostituito è stata evidenziata dalla giurisprudenza di questa Corte che, pur confermando l'indirizzo ad oggi prevalente (ma non condiviso dal collegio), secondo il quale le controversie tra sostituito e sostituto d'imposta (e cioè tra lavoratore e datore di lavoro) sono devolute alla cognizione delle commissioni tributarie, ha stabilito che tale regola "trova un limite nell'ipotesi in cui dette controversie non ineriscano alla legittimità delle ritenute d'acconto operate dal datore di lavoro (non abbiano, cioè, ad oggetto l'obbligo del datore di lavoro di effettuare le ritenute fiscali su retribuzioni od altri emolumenti), ma attengano esclusivamente all'interpretazione della volontà delle parti contraenti, con precipuo riferimento alla circostanza se le somme pattuite in favore del lavoratore debbano essere erogate al lordo oppure al netto delle ritenute fiscali, dovendosi in tal caso ritenere sussistente la giurisdizione del giudice ordinario" (Cass. 11025/2003;
conf. 865/2003). La distinzione appare di dubbia
legittimità, se si tiene conto che il sostituto d'imposta è obbligato, in linea di principio, ad effettuare la ritenuta. La massima valorizza il profilo privatistico dei rapporti tra sostituto e sostituito, ma poi lo limita in forza di un elemento irrilevante (fonte dell'obbligazione), come se le controversie che abbiano ad oggetto una obbligazione ex lege non avessero natura privatistica al pari delle controversie che abbiano ad oggetto obbligazioni ex contracto.
Comunque, in linea di principio, non rileva, ai fini della determinazione del giudice competente, il fatto che il diritto di rivalsa sia o non sia obbligatorio. Anche in tema di IVA il diritto di rivalsa sul consumatore finale, da parte dei soggetti passivi di imposta è obbligatorio e nonostante ciò, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che "spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell'imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle maggiori somme addebitategli in via di rivalsa per effetto dell'applicazione di un'aliquota asseritamente superiore a quella prevista dalla legge: poiché, infatti, soggetto passivo dell'imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine all'ammontare dell'imposta applicata in misura contestata" (Cass. 2775/2007;
conf. 2686/2007, 6632/2003, 1995/2003, 10693/2002). Inoltre, nelle controversie tra sostituto e sostituito, manca un provvedimento di diniego che derivi da un soggetto partecipe del potere impositivo (il sostituto è soltanto obbligato ad effettuare la ritenuta e l'esercizio del diritto di rivalsa non è espressione di un potere impositivo, ma di un semplice diritto-dovere) ed una domanda rivolta direttamente all'ente impositore (il quale, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza fin qui dominante, non è litisconsorte necessario, in ragione della evidenziata autonomia dei rapporti tra contribuenti rispetto a quelli nei confronti del fisco). In altri termini, il sostituto di imposta che esercita il diritto di rivalsa nei confronti del sostituito non per questo si trasforma nel soggetto attivo di un rapporto tributario. Nel quadro dei rapporti tributari resta un soggetto passivo, destinatario di specifici obblighi tributari (della dichiarazione IRPEF come sostituto e della ritenuta alla fonte) nei confronti del fisco.
Va comunque segnalato che (pur nel panorama della più recente e consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale le controversie tra sostituto e sostituito appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie) ai fini della ripartizione della competenza per materia nell'ambito della giurisdizione ordinaria, questo giudice di legittimità ha stabilito invece che per aversi una controversia tributaria, come tale rimessa alla competenza delle commissioni tributarie o, in difetto, a quella per materia del tribunale ex art. 9 c.p.c., comma 2, non è sufficiente che l'attore inetta in discussione con la propria domanda l'esistenza delle condizioni da cui la legge fa dipendere il suo assoggettamento ad una determinata pretesa fiscale, ma occorre anche che detta domanda sia rivolta nei confronti dell'ente impositore che quella pretesa ha avanzato. Pertanto, non può parlarsi di controversia tributaria, ai fini della competenza, quando l'attore si limiti a formulare noi confronti di un soggetto terzo una domanda volta a riversare su quest'ultimo le conseguenze economiche del suo assoggettamento alla pretesa dell'amministrazione finanziaria, senza però convenire in giudizio l'amministrazione medesima, costituendo oggetto del giudizio, in una causa siffatta, non già il rapporto tributario, bensì unicamente il diverso rapporto in base al quale il soggetto passivo della pretesa tributaria pretende di rivalersi nei riguardi del terzo (Cass. 8678/2005;
conf. 1094/1997). L'adesione al diverso criterio di ripartizione della giurisdizione delle controversie tributarie, secondo la diversa impostazione accolta oggi dal collegio, mette quindi fine anche ad una discrasia di pronunce. Naturalmente, è diverso il caso in cui la lite fiscale sia instaurata dal sostituto o dal sostituito nei confronti dell'amministrazione finanziaria che abbia opposto il rifiuto, espresso o tacito, ad una richiesta di rimborso di ritenute versate precedentemente (ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38), lite che rientra certamente nella giurisdizione del giudice tributario:
sono in gioco in tal caso gli obblighi tributari del soggetto passivo di imposta sulla base di un provvedimento dell'autorità fiscale che viene tratta a giudizio.
Lo stesso vale, a maggior ragione, nel caso in cui venga contestata al sostituto, con un atto di accertamento, l'omessa ritenuta.

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