Cass. civ., sez. V trib., sentenza 31/01/2017, n. 2439

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Massime1

Im tema di imposte sui redditi, l'applicazione della disciplina antielusiva di cui all'art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 ("ratione temporis" applicabile) postula l'osservanza del contraddittorio procedimentale sancito dai commi 4 e 5, ed, in particolare, una richiesta di chiarimenti nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2, pena la nullità dell'avviso di accertamento emesso: sanzione, quest'ultima, reputata non in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. dalla Corte costituzionale, nella sentenza del 7 luglio 2015, n. 132, in considerazione delle peculiarità dell'accertamento e del ruolo decisivo degli elementi forniti dal contribuente in vista della valutazione dell'Amministrazione circa l'esistenza, o meno, di valide ragioni economiche sottese alle operazioni esaminate.

Massima tratta dal CED della Cassazione

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 31/01/2017, n. 2439
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 2439
Data del deposito : 31 gennaio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Svolgimento del processo



1. Con quattro distinti avvisi di accertamento l'Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia, sulla base degli esiti di un processo verbale di constatazione, contestava alla N. S.p.A. l'omessa effettuazione delle ritenute alla fonte in relazione agli utili distribuiti ai soci nell'anno 1997 (tale essendo ritenuta nella sostanza la ripartizione parziale, per Lire 1.500.000.000, del "fondo sovrapprezzo azioni" effettuata in assenza della condizione prevista dall'art. 2431 c.c.) e rettificava la dichiarazione Irpeg presentata dalla medesima società in relazione agli anni 1998, 1999 e 2000, contestando la deducibilità degli interessi passivi corrisposti dalla società ai due soci a fronte del finanziamento da questi subito dopo concesso, per pari importo, stante l'antieconomicità dell'operazione.

Avverso i suddetti avvisi la società proponeva distinti ricorsi che, previa riunione, venivano respinti sia in primo che in secondo grado.



2. La C.T.R. dell'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, nel confermare la sentenza di primo grado, affermava anzitutto che l'operazione era in contrasto, sul piano civilistico, con la disposizione dell'art. 2431 c.c. e che, conseguentemente, gli utili distribuiti ai soci non potevano non essere assoggettati a tassazione e, quindi, a ritenuta d'acconto.

Riteneva, inoltre, quanto al recupero dei costi per interessi passivi, che il comportamento della società fosse "assolutamente contrario ai canoni dell'economia" e che pertanto si fosse in presenza "di una distorsione del sistema dei costi detraibili" e di "una violazione delle norme tributarie" che ne giustificava "l'esclusione dalla determinazione del reddito d'impresa, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti", D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39.



3. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la contribuente affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrati da successiva memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

L'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Con ordinanza resa all'udienza del 7/10/2014 questa Corte, in relazione al motivo con il quale si denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, commi 4 e 5, per la violazione del contraddittorio endoprocedimentale ivi previsto, ha disposto il rinvio a nuovo ruolo in attesa della pronunzia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale della norma predetta, prospettata con riferimento al medesimo tema.

La ricorrente ha depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione



4. Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce, con riferimento al primo avviso di accertamento relativo alla dichiarazione delle somme soggette a ritenuta alla fonte, Mod. 770/1997, il vizio di carenza di motivazione della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. omesso di pronunziarsi sui seguenti punti decisivi della controversia, già introdotti come motivi di impugnazione dell'accertamento fin dal primo grado e poi iterati come motivi di gravame:

- nullità dell'accertamento predetto per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis;

- inesistenza della violazione dell'art. 2431 c.c. e della conseguente impossibilità di distribuzione della riserva sovrapprezzo azioni;

- impossibilità di applicare l'art. 47, comma 1, T.U.I.R.;

- in subordine, eventuale valenza di tali violazioni con riferimento alla sola differenza di Lire 117.000.000, invece che all'importo di Lire 1.500.000.000.



5. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta - ancora con riferimento al medesimo primo accertamento - violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la C.T.R. dichiarato la nullità dell'atto in conseguenza della violazione del procedimento previsto dai commi 4 e 5 della menzionata disposizione, non essendo stato esso preceduto dalla prescritta richiesta di chiarimenti al contribuente.

Formula il seguente quesito di diritto: "la sentenza è censurabile, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per implicita, inequivoca violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, per non aver dichiarato la nullità dell'accertamento iniziale Mod. 770/1997, espressamente comminata al comma 4, sebbene: nell'accertamento fosse stato ipotizzato un censurabile comportamento elusivo;
fosse stato eccepito dalla società e ammesso dall'ufficio il mancato adempimento della procedura tassativamente prevista ai commi quarto e quinto?".



6. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente deduce - sempre con riferimento al primo accertamento - la falsa applicazione dell'art. 2431 c.c. e dell'art. 47, comma 1, T.U.I.R., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto violata la prima norma, per di più con riferimento all'intero importo accertato e, quanto alla seconda disposizione, per non aver preso atto della rilevata sua inapplicabilità ratione temporis.

Formula il seguente quesito di diritto: "La sentenza è censurabile per falsa applicazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

- dell'art. 2431 c.c., per averne ritenuta la violazione - e, per di più, per l'intero importo accertato - nonostante la documentata dimostrazione contraria della società;

- dell'art. 47, comma 1 T.U.I.R. (nel testo novellato con il D.Lgs. n. 344 del 2003) per non aver preso atto della sua rilevata inapplicabilità ratione temporis".



7. Il quarto e il quinto motivo sono, invece, espressamente riferiti (alla controversia relativa) ai restanti tre avvisi di accertamento, riguardanti le dichiarazioni dei redditi ai fini Irpeg, Mod. 760, per gli anni 1998, 1999 e 2000.



7.1. Con il primo di essi (quarto motivo) la ricorrente denuncia "omessa motivazione su aspetti determinanti delle controversie", ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

E' formulato il seguente quesito: "la sentenza è censurabile per carenza della motivazione per avere omesso di pronunziarsi sui seguenti punti decisivi della controversia, ritualmente introdotti come motivi di impugnazione dei tre accertamenti mod. 7/760 per gli anni 1998, 1999 e 2000 fin dal primo grado e poi riportati in appello anche come motivi di gravame della sentenza della C.T.P.:

a) invalidante contraddizione rispetto ai due accertamenti notificati ai soci per il 1997;

b)doppia imposizione derivante dalla negazione della deducibilità dei costi per interessi nei confronti della società e dalla opposta pretesa di tassazione degli utili a carico dei soci;

c) convenienza del prestito dei soci rispetto ad un prestito bancario;

d) coerenza e congruità degli interessi rispetto agli oneri finanziari bancari già gravanti sulla società;

e) impossibilità di giustificare il recupero dei costi, in assenza dell'indicazione delle norme che sarebbero state violate".

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