Cass. civ., sez. V trib., sentenza 31/07/2018, n. 20245
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Testo completo
l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna, indicata in epigrafe, che ha respinto l'appello erariale e confermato l'annullamento dell'avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta di registro con il quale era stato elevato il valore degli immobili venduti da A., Al., An., L., B.M. e I.A., a favore di Z.M. e Z. s.r.l., con atto a rogito del notaio C., stipulato il 13/6/2005 e registrato il 14/6/2005.
Il giudice di appello ha motivato la decisione ritenendo che, come poteva desumersi dall'atto impositivo, il valore attribuito nel rogito di compravendita unitariamente ai tre immobili compravenduti, due appartamenti ed un locale ad uso negozio, aventi medesimi moltiplicatori (A/4 x 120 e C/1 x 40,60), "non pregiudica il controllo dell'Ufficio che è in grado di operare le inerenti operazioni aritmetiche", e che non poteva effettuare la rettifica di valore, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, "poichè nessuna norma stabilisce che il valore degli immobili debba essere singolarmente indicato".
Resiste con controricorso e memoria la intimata società Z. , ora K. s.r.l., unitamente a Z.M..
Motivi della decisione
Con il primo motivo d'impugnazione la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, e del D.M. 14 maggio 1991, giacchè la CTR non ha considerato che per l'esercizio del potere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria, qualora nell'atto sia indicato un valore non inferiore a quello ottenibile con il procedimento di valutazione cosiddetta automatica, è necessario che il contribuente indichi uno specifico valore o corrispettivo riferito alla singola unità immobiliare dotata di rendita catastale, e che nel caso di specie si tratta di beni diversi per destinazione d'uso, riconducibili a categorie catastali diverse, i quali vanno assoggettati a parametri diversi, secondo quanto previsto dal D.M. 14 dicembre 1986, non essendo altrimenti verificabile in concreto la sussistenza del presupposto della dichiarazione di valore, che per ciascun cespite deve essere non inferiore a quello risultante dai parametri di legge.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR non ha considerato che, per quanto previsto dal D.M. 14 dicembre 1986, diverso è il moltiplicatore per gli immobili riconducibili alla categoria catastale A/4, rispetto a quello previsto per gli immobili riconducibili alla categoria C/1, (vedi D.M. 14 dicembre 1991 - Determinazione dei moltiplicatori da applicare, a partire dal 1992, alle rendite catastali dei fabbricati e dei terreni per stabilire il valore minimo da dichiarare ai fini dell'imposta di registro, dell'imposta sulle successioni e donazioni, e delle connesse imposte ipotecarie e catastali, e dell'imposta comunale sull'incrementòdi valore degli immobili).
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR afferma la illegittimità della rettifica in aumento senza esporre le ragioni della decisione, avendo l'Ufficio evidenziato che i valori accertati corrispondono a quelli indicati nelle tabelle dell'osservatorio immobiliare FIAIP, relativamente al primo semestre 2005, allegate al ricorso originario dagli stessi contribuenti. Va, preliminarmente, disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla intimata atteso il principio secondo cui la notificazione dell'atto di impugnazione, compreso il ricorso per cassazione, a più parti e presso un unico procuratore, eseguita mediante consegna di una sola copia (o di un numero di copie inferiore rispetto alle parti destinatane), non è inesistente ma nulla, per cui il relativo vizio è sanato - con efficacia ex tunc - con la costituzione in giudizio di tutte le parti cui l'atto è destinato o con la rinnovazione della notificazione nei confronti di quelle non costituite da eseguirsi in un termine perentorio assegnato dal giudice a norma dell'art. 291 c.p.c. (Cass. n. 9859/1997, n. 2501/2002, n. 6820/2004).
E', altresì, infondato l'ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso prospettato dalla intimata, in quanto le censure, per come formulate (corredate dal relativo quesito di diritto ancorchè non richiesto, avuto riguardo alla data di pubblicazione della decisione impugnata), assolvono pienamente al requisito dell'autosufficienza, indicando la statuizione della sentenza oggetto di censura, ed evidenziano l'errore in cui sarebbe - in tesi - incorso il giudice di secondo grado nell'escludere la sussistenza dei presupposti del potere di rettifica che la legge attribuisce all'Amministrazione finanziaria.
Le suesposte censure sono fondate, e meritano accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.
Per quanto è dato ricavare dagli scritti difensivi, l'atto di compravendita registrato il 14/6/2005, riguardante un fabbricato costituito da tre distinte unità immobiliari ed intercorso tra A., Al., An., L., B.M. e I.A., unica parte venditrice, e Z.M. e Z. s.r.l., unica parte acquirente, è senz'altro riconducibile alla vendita cumulativa (art. 1540 c.c.), avendo questi ultimi contraenti inteso acquistare i beni in comunione ( Z., per la quota di proprietà del 90%, la società Z. , per la residua quota del 10%), dietro corresponsione di un prezzo unitario, da ripartire poi all'interno della parte venditrice plurisoggettiva. Il giudice di appello ha accertato, tra l'altro, che tutti gli immobili compravenduti possedevano i requisiti richiesti dalla norma invocata, essendo iscritti in catasto con rendita attribuita prima dell'atto registrato, mentre non è contestata la circostanza che siano stati riportati, nell'atto medesimo, gli estremi catastali necessari ad effettuare le necessarie operazioni di calcolo puramente matematico devolute all'Ufficio, sicchè ha concluso nel senso che fosse del tutto ininfluente l'indicazione di un unico corrispettivo, e non corrispettivi distinti per ciascuna unità immobiliare trasferita, considerato che la base imponibile è data, per tutti i cespiti, dal valore catastale e dal corrispondente moltiplicatore (nella impugnata sentenza "A/4 x 120 e C/1 x 40,60"). Secondo le deduzioni di parte ricorrente la CTR avrebbe erroneamente escluso, mal motivando sul punto, la sussistenza del presupposto del potere di rettifica che la norma attribuisce all'Ufficio, in considerazione dei valori catastali rivalutati nell'atto registrato attribuiti ai beni in compravendita (valore dichiarato euro 58.000,00, valore determinato D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 52, comma 4, Euro 57.471,52, valore rettificato D.P.R. n. 131 del 1986, ex artt. 51 e 52, Euro 346.000,00), non essendo sufficiente che il contribuente dichiari di avvalersi della valutazione automatica di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, in quanto l'Ufficio deve procedere ad una verifica circa l'effettiva rispondenza del valore dichiarato a quello automaticamente determinabile in base all'applicazione dei coefficienti catastali ed ai loro moltiplicatori, verifica impossibile in presenza, come nella fattispecie in esame, di una dichiarazione cumulativa dei valori, senza precisazione nell'atto del prezzo/valore attribuito a ciascuno dei tre cespiti immobiliari alienati, con diversa destinazione d'uso, riconducibili a diverse categorie catastali, con diverso moltiplicatore applicabile. Il sistema della valutazione automatica del valore degli immobili pone all'Ufficio un limite al potere di accertamento per valori diversi, ma ciò non esclude affatto la doverosità di un riscontro della presenza, nei beni oggetto dell'atto, dei requisiti che rendano possibile una sicura corrispondenza del valore dichiarato a quello automaticamente determinabile in base ai coefficienti moltiplicatori delle rendite, sia singolarmente che nel totale.
Incombe, infatti, sul contribuente che, essendosi avvalso della vantazione automatica, intenda poi contestare la legittimità dei controlli dell'Ufficio, l'onere di dimostrare, per ciascun bene, di aver dichiarato nell'atto un valore non superiore a quello risultante dalla applicazione dei parametri di legge.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare, che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, non può trovare applicazione quando nell'atto da registrare, riguardante più immobili, il contribuente abbia dichiarato un valore complessivo per tutti i beni, alcuni dei quali non muniti di rendita (tra le tante, Cass. n. 1309/2015, n. 5543/2013, n. 22207/2011), e, sia pure in tema di imposta sulle donazioni, che "il contribuente che presenti una dichiarazione cumulativa, avente ad oggetto una pluralità di cespiti, e intenda avvalersi della disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, riguardante l'accertamento della stima dei beni con criterio automatico, ha l'onere di indicare analiticamente il valore dei singoli cespiti, in modo da consentire all'Amministrazione finanziaria di controllare la corrispondenza dei singoli valori indicati ai parametri di valutazione automatica. In difetto di tale adempimento, in presenza dell'indicazione - da parte del contribuente - di un unico valore globale, l'Amministrazione ha il potere di rettifica, attraverso il ricorso al criterio del valore di mercato" (Cass. n. 7417/2003, n. 14409/2013).
Il ricorso è fondato anche in relazione alla determinazione dei valori attribuiti con l'avviso impugnato, in quanto nella sentenza di appello si afferma - apoditticamente - che "illegittima (...) appare la rettifica in aumento operata dall'Ufficio anche in considerazione che si tratta di immobile posto in posizione centrale in Rimini, di buona consistenza e di alto valore in comune commercio", ma non si rinviene alcun riferimento a dati concreti o ad acquisizioni probatorie, e nemmeno indirettamente ai criteri di determinazione della base imponibile di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52;troppo poco perchè la frase possa considerarsi "motivazione". Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice "a quo", che provvedere anche per le spese.