Cass. civ., sez. III, sentenza 04/03/2022, n. 07184
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e successivamente alla cessazione del rapporto sociale, in ragione del fatto che le obbligazioni garantite dal pegno erano sorte in data anteriore a quella in cui il C aveva cessato di essere socio accomandatario, non rilevando che il socio fosse stato liberato per le obbligazioni pregresse, in quanto la perdita della qualità di socio non incide sulla responsabilità illimitata per i debiti contratti allorquando il socio era illimitatamente responsabile. 5. Il Collegio, chiamato a pronunciarsi il 22 settembre 2021 in adunanza camerale fissata ex art. 380 bis 1 c.p.c. , ritenendo che la questione avesse rilievo nomofilattico e che, pertanto, meritasse la trattazione in pubblica udienza, rinviava la causa a nuovo ruolo;dopodiché la causa veniva aggiornata alla odierna udienza pubblica, ove il PM concludeva per l'accoglimento del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2290, 2291, 2313, 2315, 2318, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 c.c. per avere l'impugnata sentenza, muovendo dall'assunto che i debiti delle società di persone devono essere qualificati come debiti propri dei soci illimitatamente responsabili, escluso che un socio illimitatamente responsabile, le cui garanzie personali o reali per debiti della società vengano escusse, possa esercitare il diritto di regresso verso quest'ultima». L'assunto è che la Corte d'Appello abbia erroneamente recepito un risalente e superato orientamento giurisprudenziale per cui il socio-garante, una volta escussa la garanzia e integralmente soddisfatto il terzo creditore, non avrebbe diritto di regresso nei confronti della società (debitrice principale), in quanto le obbligazioni delle società di persona sono da qualificarsi "debito proprio" del socio illimitatamente responsabile ( Cass. 12310/99). Deduce il ricorrente che sia la più recente dottrina che la giurisprudenza di legittimità hanno oramai superato tale risalente indirizzo e riconosciuto la piena ed assoluta autonomia patrimoniale delle società di persone rispetto ai propri soci e, di riflesso, la loro autonoma soggettività giuridica, con conseguente separatezza tra le situazioni giuridiche riferibili all'ente o ai singoli soci. Richiama, in particolare una pronuncia in cui la Suprema Corte ha espressamente sancito la validità ed efficacia delle garanzie accordate dal socio illimitatamente responsabile nell'interesse della società partecipata e a favore di terzi creditori di quest'ultima, talché non potrebbe revocarsi più in dubbio che il diritto di regresso e di surroga debba accordarsi al socio garante per ripetere quanto pagato in virtù di una garanzia rimasta in vita dopo la cessazione del rapporto sociale (Cass. sez. 1, sentenza, n. 7139 del 22 marzo 2018), e che riguardo al pegno si debba applicare in via analogica quanto disposto dall'art. 2871 c.c. in tema cii regresso del terzo ipotecario contro il debitore. Il ricorrente richiama altresì la statuizione di Cass.3 settembre 2007 n. 18522 ove si è riconosciuto il diritto di regresso al terzo datore di pegno che abbia soddisfatto il creditore, nei confronti del fideiussore, sempre in applicazione analogica dell'art. 2871 c.c., non avente carattere eccezionale. 2. Con il secondo motivo denuncia «in via gradata, violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2263, 2269, 2289, 2290, 2291, 2313, 2315, 2318, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 c.c. per avere l'impugnata sentenza affermato che i debiti delle società di persone devono essere qualificati come debiti propri dei soci illimitatamente responsabili — con la conseguente applicazione della regola di diritto relativamente alle garanzie dagli stessi prestate, alla quale rimanda la censura sollevata con il precedente motivo di impugnazione — anche quando l'escussione della garanzia avviene dopo che il socio ha cessato sia di essere socio della società stessa sia, ancor prima, di essere socio illimitatamente responsabile e questo, in entrambi i casi, per atti inter vivos, posti in essere con il consenso dell'intera compagine sociale e senza riserva alcuna». Sotto questo profilo, il ricorrente deduce l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto rilevanti le argomentazioni inerenti all'avvenuta cessione delle quote a seguito della quale il socio ricorrente dapprima avrebbe perso la qualità di socio accomandatario (2/7/1997) e, poi, la qualità di socio accomandante (10/9/1997), prima dell'escussione del pegno, assumendo invece che « la perdita della qualità di socio non incide sulla responsabilità illimitata per debiti contratti dalla società allorquando l'appellante era socio accomandatario». Il ricorrente adduce che lo scioglimento del rapporto societario era avvenuto mediante cessione della quota «accettata da tutti i soci senza alcuna riserva e con l'assenso dell'intera compagine sociale», talché così come il socio receduto non avrebbe più titolo per partecipare alla distribuzione degli utili o alla divisione del patrimonio, analogamente non potrebbe essere chiamato dalla società o dai cessionari a rispondere dei debiti sociali, ma solo dai creditori sociali ex art. 2269 e 2290 c.c. . Ne conseguirebbe che, non avendo egli garantito gli acquirenti delle quote subentrati nella sua posizione di socio accomandatario prima, e accomandante poi, dell'inesistenza dei debiti sociali, non potrebbe essere ritenuto obbligato a tenere indenni né la società né i suoi soci, compresi i cessionari della quota , per le obbligazioni sociali, anche se sorte prima della cessione o della cessazione del suo status di socio illimitatamente responsabile, in ciò richiamando il generale principio di cui all'art. 2290 c.c. riferito alla società in nome collettivo ( Cass. civ. sez III, 13.12.2010, n. 25123 ;Cass. sez. III, 12.1.2011. n. 525 ). Per tale ulteriore ragione, avrebbe dovuto essergli riconosciuto il diritto di regresso verso la società, una volta escussa la garanzia prestata dal creditore sociale. 3. Il primo motivo pone la questione se il socio illimitatamente responsabile di una società di persone, quale datore di garanzia reale (pegno) per la copertura dei debiti sociali, abbia l'azione di regresso verso la società. 3.1. Il motivo è fondato, determinando l'assorbimento del secondo motivo posto in via gradata. 3.2. In via preliminare è opportuno formulare un rilievo: la sentenza ha ritenuto che non sia configurabile l'azione di regresso del socio illimitatamente responsabile di società di persone verso la società ed in tal modo ha enunciato una ratio decidendi che risulterebbe pertinente, salvo controllarne l'esattezza, solo per il regresso verso la società e non anche per quello esercitato verso il socio. Parte ricorrente non se ne è lamentata e, dunque, si deve sindacare la motivazione con riferimento all'azione esercitata sia verso la società sia verso il ( socio, prescindendo dal profilo di pertinenza appena rilevato. 3.3. Tanto premesso, si deve innanzitutto rilevare che la sentenza impugnata, nel negare l'azione di regresso al socio datore di pegno, una volta escusso dal creditore, ha abbracciato un'affermazione fatta dalla lontana Cass. n. 12310 del 1999 nel senso della negazione della stessa configurabilità in iure dell'azione di regresso del socio che ha pagato contro la società in un caso nel quale l'oggetto della decisione concerneva non già una fattispecie in cui tale esercizio era avvenuto, bensì una fattispecie nella quale si discuteva della pretesa del socio di sottrarsi a un'azione esecutiva contro di lui esercitata in forza della responsabilità illimitata adducendosi che il creditore «non agendo tempestivamente nei confronti della debitrice né coltivando con la necessaria diligenza l'azione esperita contro la società che aveva rilevato l'azienda della debitrice, nella quale era ricompreso il bene ipotecato - aveva vanificato il beneficio, a lui concesso dall' art. 2304 c.c., di essere escusso solo in via sussidiaria, venendo meno al dovere di correttezza posto in via generale a carico del creditore, non meno che del debitore (art. 1175 c.c.).». 4. La citata sentenza venne così massimata dall'allora Ufficio del Ruolo e del Massimario: «La posizione del socio illimitatamente responsabile di una società personale non è assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure "ex lege", poiché mentre quest'ultimo garantisce un debito altrui e per tale ragione, una volta effettuato il pagamento, ha azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e si surroga nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950 cod. civ.), il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, in quanto derivanti dall'esercizio dell'attività comune (al cui svolgimento, data l'assenza di un'organizzazione corporativa, partecipa direttamente: artt. 2257 e 2258 cod. civ.), ed è anzi tenuto, ove i fondi sociali risultino insufficienti, a provvedere anche mediante contribuzioni aggiuntive a quelle effettuate all'atto dei conferimenti (art. 2280 cod. civ.), onde l'impossibilità di ammettere (ex art. 1954 cod. civ.) un'azione di regresso contro la società del socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale e l'inapplicabilità degli artt. 1953, 1955 e 1957 cod. civ., che hanno la loro giustificazione nell'esigenza di salvaguardare la possibilità del regresso del fideiussore. Tali conclusioni non trovano ostacolo nel fatto che anche le società personali costituiscano centri di imputazione di situazioni giuridiche distinti dalle persone dei soci, posto che siffatta soggettività ha carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad esse imputati destinati a tradursi in situazioni individuali in capo ai singoli membri.». 5. La lettura della sentenza evidenzia che le affermazioni con cui risulta articolato il ricordato principio di diritto, ivi compresa quella sulla non configurabilità dell'azione di regresso, trovano effettivamente riscontro nel tessuto motivazionale della decisione.
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