Cass. civ., sez. III, sentenza 26/05/1999, n. 5099
Sentenza
26 maggio 1999
Sentenza
26 maggio 1999
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Massime • 1
La donazione della nuda proprietà di un fondo a colui che già ne gode a titolo personale per precedente contratto tra le medesime parti non estingue per mutuo consenso questa ultimo, non sussistendo incompatibilità' ne' logica, ne' giuridica, tra un contratto di affitto di un fondo agrario e la donazione della nuda proprietà' di esso da parte del medesimo autore allo stesso avente causa in quanto solo colui che si è riservato l' usufrutto su di un bene può concederlo in godimento, mentre il nudo proprietario non ha diritto a goderne ne' a titolo reale ne' a titolo personale. Pertanto il predetto titolare di un diritto di godimento personale può pretendere la consegna di tale fondo finché dura il contratto di affitto, senza incorrere in nessuna prescrizione, essendo espressione del suo diritto al pacifico godimento del bene.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Angelo GIULIANO - Presidente -
Dott. Vittorio DUVA - Consigliere -
Dott. Ugo FAVARA - Consigliere -
Dott. Renato PERCONTE LICATESE - Consigliere -
Dott. Mario FINOCCHIARO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
TI IO, elettivamente domiciliato in Roma, via della Giuliana n. 73, presso l'avv. Massimo Antinucci, che lo difende giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
TI AN, elettivamente domiciliato in Roma, via Livio Andronico n. 24, presso l'avv. Emilio Romagnoli, che la difende unitamente e disgiuntamente all'avv. AO Recchi, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, sezione specializzata agraria n. 2725/95 del 7 ottobre 1994 - 3 febbraio 1995 (R.G. 2758/92).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 febbraio 1999 dal Relatore Cons. Mario Finocchiaro;
Uditi l'avv. M. Antinucci per il ricorrente e l'avv. E. Romagnoli per la controricorrente;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele Palmieri, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinte scritture - entrambe in data 1 gennaio 1974 e registrate il 6 dicembre 1977 - TI IO, titolare di enfiteusi perpetua su una tenuta agricola in Fara Sabina concedeva in affitto alla sorella TI AN e al fratello TI AO, quest'ultimo titolare di diretto dominio sulla medesima tenuta, due distinte porzioni di terreno, estese ciascuna ettari 38. 10. 90. circa per il canone annuo di lire centoventimila. Successivamente, con atto 2 marzo 1979 TI IO, affrancata l'intera tenuta, donava alla sorella AN la nuda proprietà di alcune porzioni di questa per complessivi ettari 41. 48.80 e al fratello OL la nuda proprietà di metà indivisa di altre porzioni per complessivi ettari 84. 05. 84, nonché di due fabbricati con la previsione che i donatari avrebbero conseguito il possesso di tali terreni alla morte del donante.
Nelle more di un giudizio, promosso da TI IO nei confronti della sorella AN per conseguire la revoca della donazione sopra descritta, con atto 29 settembre 1989, TI AN conveniva in giudizio, innanzi al tribunale di Rieti, sezione specializzata agraria, TI IO: premesso che il convenuto, su incarico ed a spese di essa istante, affittuaria dei terreni in questione, aveva provveduto alla loro gestione e si era rifiutato di cessare tale attività, occupando - altresì - contro la volontà di essa attrice, parte dei terreni, l'attrice chiedeva che l'adito tribunale, dichiarata l'esistenza - tra le parti - di un contratto di affitto agrario, condannasse il convenuto al rilascio del fondo, al rendiconto, al versamento della differenza, rispetto a quanto ricavabile dalle terre secondo buona tecnica, al risarcimento dei danni.
Costituitosi in giudizio il convenuto resisteva alle avverse domande eccependo che il contratto di affitto invocato da controparte era simulato, perché stipulato al solo scopo di evitare il costituirsi di un diritto di prelazione da parte dei vicini, in caso di vendita - in favore dei fratelli AO e AN - di porzioni della tenuta agricola e chiedeva - pertanto - in via riconvenzionale, fosse dichiarata la simulazione del contratto di affitto in questione. Svoltasi l'istruttoria del caso il tribunale con sentenza 4 novembre 1991 - 6 aprile 1992 rigettata la domanda principale accoglieva quella riconvenzionale.
Gravata tale pronuncia dalla soccombente TI AN, la Corte di appello di Roma, sezione specializzata agraria, con sentenza 7 ottobre 1994 - 3 febbraio 1995, in totale riforma della decisione dei primi giudici dichiarava l'efficacia del contratto di affitto oggetto di controversia, condannando TI IO al rilascio in favore della conduttrice TI AN. Osservavano i giudici di secondo grado - in termini opposti rispetto a quanto ritenuto dal tribunale - che gli atti provenienti dall'attrice non rendevano affatto verosimile la simulazione del contratto di affitto, specie tenuto presente che la condotta delle parti - e, in particolare, la circostanza che la cura e la coltivazione da parte di TI IO, per conto e nell'interesse della sorella affittuaria, del fondo oggetto di controversia - aveva il proprio fondamento e la sua razionale giustificazione nei sentimenti di naturale solidarietà che regnavano tra le parti senza ombra di dubbio sino al 1989 (come documentato, altresì, dalla circostanza che TI IO aveva donato alla sorella la nuda proprietà di parte del proprio fondo), epoca nella quale tali rapporti si incrinarono per fatti totalmente estranei a quelli relativi alla conduzione dei terreni stessi.
Quanto, ancora, alle prove testimoniali ammesse dal tribunale e le cui risultanze erano state invocate dai primi giudici a suffragio della conclusione adottata, le stesse erano inammissibili, atteso, da un lato, che malamente era invocato l'art. 1417 c.c., dettato con riguardo alla simulazione relativa dei contratti e non applicabile qualora si deduca, come nella specie, la simulazione assoluta del contratto, dall'altro, che non sussistevano le condizioni di cui all'art. 2724 n. 1 c.c. Il risultati di tale inammissibile prova, comunque, osservavano ancora i giudici di secondo grado, non consentivano affatto di pervenire - attraverso i fatti riferiti dai testi - a conclusioni diverse da quelle esposte.
Per la cassazione di tale pronuncia ha proposto ricorso, affidato a 4 motivi TI IO: resiste con controricorso, illustrato da memoria, TI AN.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando "violazione degli artt. 1325 n. 2, 1343, 1418, comma 2, violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c." lamenta che la corte di appello pur avendo indicato tra le eccezioni da lui formulate in grado di appello - e, in prime cure nelle note a verbale dell'udienza del 5 novembre 1990 - anche quella di nullità del contratto di affitto inter partes per carenza di causa, non avrebbe poi preso in esame tale difesa, evidenziando che non essendo necessari - al riguardo - nuovi accertamenti di fatto, questa Corte può, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., ovviare alla omessa pronuncia su tale deduzione da parte del giudice del merito e dichiarare, di conseguenza, la nullità del contratto di affitto 1 gennaio 1974 per mancanza di causa, con cassazione senza rinvio della sentenza gravata.
2. La deduzione è infondata.
Premesso che la controversia de qua, svoltasi in sede di merito innanzi alla sezione specializzata agraria, è stata trattata - giusta la puntuale previsione di cui agli artt. 47, comma 1, della l. 3 maggio 1982, n. 203 e 9, comma 1, l. 14 febbraio 1990, n. 29 - secondo il rito di cui agli artt. 409 e seguenti c.p.c., si osserva che giusta la testuale previsione di cui all'art. 416, comma 2, c.p.c. nelle controversie soggette al rito in questione "la costituzione del convenuto si effettua mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza le eventuali domande in via riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili di ufficio".
Poiché - per
contro
- è pacifico, per stessa ammissione dell'attuale ricorrente, che nella specie la eccezione di nullità per mancanza di causa del contratto oggetto di controversia è stata introdotta in causa da esso concludente - convenuto in primo grado - non nella memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c. ma nelle "note a verbale di udienza del 5 novembre 1990" è - pertanto - tardivamente, è palese che esattamente i giudici di appello non hanno preso in esame tale deduzione, ancorché ribadita da TI IO in grado di appello.
Ciò tenuto presente, da un lato, che nelle controversie soggette al rito del lavoro non sono ammissibili in grado di appello nuove eccezioni non rilevabili di ufficio, non proposte in primo grado [cfr. art. 437, comma 2, prima parte, c.p.c.], dall'altro, che non sussiste omessa pronuncia su un capo di domanda (o su una eccezione) allorché questa è stata inammissibilmente introdotta in causa e non sussisteva, pertanto, nessun dovere per il giudice adito di pronunciarsi sulla stessa (tra le tantissime in tale senso, Cass. 4 novembre 1995 n. 11517).
3. Con il