Cass. civ., SS.UU., sentenza 24/11/2010, n. 23778
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In tema di rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, operato da quest'ultimo, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell'ottica dell'illecito disciplinare. Ne consegue che il giudice disciplinare non è vincolato dalla valutazioni contenute nella sentenza penale relative alla commisurazione della pena, alla concessione delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale, trattandosi di determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare.
In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, ove sia riconosciuta la responsabilità dell'incolpato, la scelta della sanzione da applicare va effettuata, da parte della Sezione disciplinare del CSM, non già in astratto, ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, ed implica un vero e proprio giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione che deve essere erogata; a tal fine devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l'intensità dell'elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l'hanno ispirato e, infine, la personalità dell'incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari. Tale valutazione deve essere particolarmente approfondita qualora la scelta si rivolga alla più grave delle sanzioni previste dall'art. 19 del R.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511 (la destituzione), sul presupposto che l'illecito contestato al magistrato sia di tale entità che ogni altra sanzione risulti insufficiente alla tutela di quei valori che la legge intende perseguire - con riferimento a qualsiasi comportamento posto in essere "in ufficio o fuori" (art. 18 R.Lgs. cit.) - e che sono costituiti dalla fiducia e dalla considerazione di cui il magistrato deve godere nonché dal prestigio dell'Ordine giudiziario.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto - Primo Presidente f.f. -
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente di sezione -
Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere -
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.V. , elettivamente domiciliato in ROMA, 2010 LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio dell'avvocato ARIETA GIOVANNI, rappresentato e difeso dall'avvocato TRISORIO LIUZZI GIUSEPPE, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 4/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 18/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;
uditi gli avvocati Giuseppe TRISORIO LIUZZI, Marinella DI CAVE dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Il magistrato dr. V..G. , con ricorso del 23 aprile 2010, ha impugnato per cassazione - deducendo due motivi di censura - nei confronti del Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 4/2010 dell'8 - 18 gennaio 2010, con la quale la Sezione disciplinare, pronunciando sull'azione disciplinare promossa dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione nei confronti del dr. G. , incolpato della violazione di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 sulle conclusioni del Procuratore generale - il quale aveva chiesto la condanna dell'incolpato alla sanzione disciplinare della perdita di anzianità di sei mesi - e del difensore dell'incolpato - il quale aveva chiesto l'irrogazione della sanzione disciplinare della censura -, ha inflitto al dr. G. la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di due anni, riconoscendolo responsabile della incolpazione ascrittagli.
Tale incolpazione era stata formulata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione che - con nota del 27 novembre 2002 - aveva promosso l'azione disciplinare, incolpando il dr. G. "della violazione del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 per avere, abusando del proprio ruolo di relatore e Presidente del Collegio del Tribunale del riesame di XXXXX - che all'udienza del 28 giugno 2002 si era riservata la decisione su numerosi ricorsi in materia di misura cautelare personale - depositato - a scioglimento della riserva -, il successivo giorno 29, dispositivo di ordinanza con cui veniva disposta la revoca della "misura coercitiva" a carico di S.I. - contrariamente a quanto deliberato in camera di consiglio -, nonché dispositivi di ordinanze concernenti altri ricorrenti (M. , N. e Ma. ), la cui posizione ancora non era stata decisa dai componenti del Collegio. Con i precisati falsi ideologici il dott. G. ha tenuto condotta gravemente riprovevole, illegittima e lesiva del prestigio dell'Ordine Giudiziario".
1.1. - Il Ministro della giustizia, benché ritualmente intimato, non si è costituito ne' ha svolto attività difensiva.
2. - In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Sezione disciplinare del C.S.M.:
A) quanto alla disciplina applicabile alla fattispecie, ha affermato che "le norme applicabili rimangono ... quella di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 e della atipicità dell'illecito e tutte
le altre previste dalla disciplina previgente, indipendentemente dal fatto che esse siano o meno più favorevoli all'incolpato";
ciò, sia perché gli addebiti contestati al magistrato attengono a fatti commessi nella vigenza di dette norme, relativamente ai quali l'azione disciplinare è stata promossa con la predetta nota del 27 novembre 2002, sia perché il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 23 bis - aggiunto dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1, comma 3,
lett. q), - dispone che "Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano ai procedimenti disciplinari promossi a decorrere dalla data della sua entrata in vigore", cioè dal 19 luglio 2006;
B) in punto di fatto, ha rilevato che per i medesimi episodi di cui al su riportato capo di incolpazione il dr. G. è stato
assoggettato a processo penale per il delitto previsto dall'art. 479 cod. pen. (Falsità ideologica commessa, dal pubblico ufficiale in
atti pubblici) ed è stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena principale di un anno e due mesi di reclusione ed alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata, con sospensione condizionale delle pene e non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, condanna divenuta irrevocabile in data 23 settembre 2009;
C) in punto di diritto, ha affermato che:
1) nella specie, a tale condanna penale irrevocabile consegue l'applicabilità del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 29, comma 1, nella parte in cui prevede che "Il magistrato condannato alla reclusione per delitto non colposo, diverso da quelli previsti dagli artt. 581, 582 cpv, 594 e 612 c.p., è destituito di diritto ...";
2) il rigore di questa norma "deve però intendersi fortemente ridotto" in forza sia dell'entrata in vigore della L. 7 febbraio 1990, n. 19, sia delle sentenze della Corte costituzionale nn. 971
del 1988 e 197 del 1993, con la conseguenza che la stessa norma deve essere interpretata in senso costituzionalmente orientato, cioè "nel senso che non vi è necessario automatismo tra la sentenza di condanna in sede penale e la sanzione disciplinare della destituzione", con l'ulteriore conseguenza che "Deve .... essere accertato in concreto se il dott. G. , a seguito dei fatti di cui alla condanna penale, possa ancora esercitare la giurisdizione";
D) sempre in punto di diritto, ha affermato che i non più contestabili fatti accertati in sede penale - "falso ideologico in concorso formale consistito nella stesura del dispositivo di udienza contenente statuizioni non corrispondenti alla decisione camerale" - "hanno una indubbia valenza fortemente negativa per il profilo deontologico, consistendo - per questo aspetto appunto - in una profonda violazione dei propri fondamentali doveri di magistrato (correttezza, imparzialità), sanciti dal R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18 proprio in quanto, come è stato condivisibilmente espresso
anche in sede penale, espressione di una negazione delle basilari regole di giudizio che sono la garanzia della giurisdizione e l'essenza stessa dell'esercizio della relativa funzione", sicché i fatti stessi integrano la fattispecie disciplinare atipica di cui allo stesso R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18 nei suoi elementi soggettivo ed oggettivo;
inoltre, la condotta del dr. G. - "per la grande risonanza mediatica, soprattutto nella XXXXXX, ove hanno destato scalpore e sconcerto le scarcerazioni di indagati per fatti di mafia" - "ha determinato una forte compromissione del prestigio dell'Ordine giudiziario e sfiducia nei suoi confronti da parte degli operatori del diritto e dell'opinione pubblica";
E) quanto alla scelta ed alla graduazione della sanzione disciplinare da irrogare in concreto, ha osservato che:
1) in applicazione dei principi di diritto enunciati dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 15399 del 2003, "Resta da vedere se questi fatti, unitamente ad altri elementi di rilievo, quali ad esempio l'intensità del dolo ed i motivi che ne hanno determinato la condotta disciplinarmente rilevante, eventuali altri "incidenti" penali, disciplinari o professionali del dott. G. , il comportamento processuale dell'odierno incolpato, l'esercizio in concreto delle funzioni giurisdizionali svolte dopo i fatti oggi al vaglio disciplinare, possano essere indicativi di una sicura incompatibilità del medesimo con un sereno ed imparziale esercizio della giurisdizione";
2) per quel che concerne il "movente" della condotta del magistrato incolpato - sulla base della premessa che, "Se fattore determinante, ai fini dell'esclusione della irrogazione della sanzione della