Cass. civ., sez. II, sentenza 31/05/2019, n. 15026
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LO-4_ jS0 2.6 SENTENZA sul ricorso 3256-2016 proposto da: L R R, R E, R A, R E, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BUCCARI 3, presso lo studio dell'avvocato E R, anche quale difensore di se stesso che rappresenta e difende gli altri ricorrenti giusta procura in calce al ricorso;- ricorrenti -contro PICCOLA OPERA DIVINA PROVVIDENZA DON ORIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 39, presso lo studio dell'avvocato G F, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato C P giusta procura a margine del controricorso;//o - ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 3901/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 25/06/2015;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2019 dal Consigliere Dott. M C;Udito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. A P che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato;udito l'Avvocato E R per i ricorrenti e l'Avvocato Antonio D'Alessio per delega dell'Avvocato C P per la controricorrente;FATTI DI CAUSA R E e R M con citazione del 7 aprile 2006 convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Piccola Opera della Divina Provvidenza di D O chiedendo, nell'asserita qualità di parenti di sesto grado del de cuius, R G, la risoluzione della disposizione testamentaria gravante sull'istituzione di erede in favore della convenuta, la quale prevedeva la creazione, presso l'abitazione del de cuius, a cura della stessa convenuta, di una casa di riposo per vecchi professionisti, di preferenza ingegneri, con intestazione della medesima ai genitori del testatore. Assumevano che l'erede beneficiata non si era attivata per l'adempimento dell'onere, nonostante fosse decorso un considerevole tempo dall'apertura della successione (risalente al 1967), così che andava disposta la risoluzione della previsione modale, ovvero ne andava dichiarata la nullità. Nella resistenza della convenuta, interrottosi il giudizio per il decesso dell'attore R M, e subentrati i suoi eredi, Rosalba Leone, Emilia R e Alessandro R, il Tribunale Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -2- con la sentenza n. 17729 del 14 maggio 2009 ha rigettato la domanda, rilevando che gli istanti non avevano dimostrato l'inesistenza di altri successibili di grado poziore al loro, assumendo altresì che l'azione di risoluzione era prescritta. Avverso tale sentenza hanno proposto appello gli attori e, sempre nella resistenza della Piccola Opera della Divina Provvidenza di D O, la Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 3901 del 25 giugno 2015, ha rigettato l'appello, condannando gli appellanti anche al rimborso delle spese del giudizio di secondo grado. Dopo avere dato atto della novità, e conseguente inammissibilità della domanda di risarcimento del danno derivante dal depauperamento del patrimonio ereditario per effetto di alienazioni poste in essere dalla convenuta nel corso degli anni, rilevava che legittimati a richiedere la risoluzione nonché la nullità della disposizione testamentaria modale sono solo coloro destinati a subentrare nella posizione giuridica dell'onerato inadempiente. Gli appellanti non avevano fornito la prova di essere i parenti legittimi del testatore di grado più stretto, non avendo dimostrato l'assenza di parenti di grado poziore, il che escludeva che fossero legittimati ad agire. Analogo difetto di legittimazione era riscontrato anche per la domanda di adempimento dell'onere testamentario, atteso che la stessa compete non agli eredi in quanto tali, ma ai prossimi congiunti, stante l'esigenza con tale azione di soddisfare un interesse morale dello stesso testatore che in realtà si trasferisce ai prossimi congiunti. Ne derivava che, poiché vi era la prova dell'esistenza di parenti legittimi del defunto di grado più prossimo rispetto a quello Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -3- (sesto) vantato dagli appellanti, questi ultimi erano privi di legittimazione ad agire. Era del pari disatteso il secondo motivo di appello concernente la liquidazione delle spese di lite, come operata dal Tribunale, in quanto il mezzo di impugnazione non specificava le ragioni in base alle quali la liquidazione sarebbe dovuta avvenire sulla scorta di uno scaglione diverso da quello riferibile al valore della domanda attorea, che era stato individuato in citazione nell'importo dei beni immobili caduti in successione (comprensivi di quelli già alienati per oltre diciotto milioni di euro, e di quelli residui, di valore pari ad oltre ventuno milioni di euro, senza considerare la redditività degli immobili stessi). Nemmeno fondata era la contestazione circa l'insussistenza della soccombenza, in quanto alcune delle domande attoree erano state reputate assorbite. In relazione ai motivi che investivano l'apprezzamento dell'esistenza di parenti di grado più vicino a quello vantato dagli appellanti, la decisione d'appello rilevava che era onere degli stessi attori fornire la prova dell'inesistenza di parenti di grado viciniore, osservando altresì che in realtà l'esistenza di parenti aventi tale grado risultava da una precedente azione esercitata in giudizio nei confronti della convenuta, come emergeva anche dalla rinuncia alla stessa di cui all'atto del 13 dicembre 1981, alla quale aveva fatto richiamo il Tribunale. Infine, era fondato anche il quinto motivo di appello che vedeva sulla prescrizione, dovendosi reputare che nella specie la stessa andava fatta decorrere dalla data di apertura della successione (19 febbraio 1967) ovvero dalla data di accettazione dell'eredità da parte della convenuta (1969), occorrendo comunque considerare che l'azione intentata dagli altri eredi e conclusa con la rinuncia del 1981 avrebbe dovuto Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -4- indurre gli appellanti a considerare la volontà dell'ente beneficiario di non dare corso alle disposizioni testamentarie (e ciò anche a tacere del fatto che la documentazione prodotta dimostrava le attività poste in essere dalla Opera Pia al fine di dare attuazione all'onere testamentario). Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso R E, Leone Rosalba, R Emilia e R Alessandro, sulla base di quattordici motivi. Resiste con controricorso la Piccola Opera della Divina Provvidenza di D O, che a sua volta propone ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo. I ricorrenti principali hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. in prossimità dell'udienza. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza nella parte relativa alla disamina dell'eccezione di prescrizione, essendosi disatteso in maniera implicita il motivo di appello con il quale si denunciava la nullità dell'eccezione di prescrizione stante la mancata indicazione da parte della convenuta della data di decorrenza, e ciò ai sensi degli artt. 112, 132 n. 4, 156 co. 2 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 24 e 111 Cost.Si deduce che secondo i principi affermati da questa Corte, è onere della parte che eccepisce la prescrizione indicare il momento di decorrenza della stessa, laddove nel caso in esame nella comparsa di risposta in primo grado tale indicazione era stata del tutto omessa, essendo stata oggetto di integrazione solo nella comparsa di risposta in appello, e peraltro in maniera del tutto generica. Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -5- Il secondo motivo deduce, sempre in relazione all'accoglimento dell'eccezione di prescrizione, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2935 c.c., in quanto la Corte d'Appello avrebbe riscontrato la prescrizione facendo riferimento a ben tre distinte date di decorrenza della stessa (data di apertura della successione, data di accettazione dell'eredità da parte della convenuta, data della rinuncia alla precedente azione intentata da altri parenti del R). Il terzo motivo di ricorso lamenta la nullità dello stesso capo di sentenza per la violazione degli artt. 132 e 156 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 24 e 111 Cost. per la motivazione apparente e comunque perplessa, quanto all'individuazione della data di decorrenza della prescrizione. Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2938 c.c., nonché degli artt. 112 e 183 c.p.c. in quanto la Corte d'Appello avrebbe individuato il dies a quo della prescrizione in momenti non indicati dalla parte eccipiente, che si era limitata a far riferimento alla data di apertura della successione ed alla successiva data di autorizzazione dell'erede testamentaria all'accettazione dell'eredità. Il quinto motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 648, 1218 e 1453 e ss. c.c., 2697 e 2935 c.c., in quanto la Corte d'appello ha fatto decorrere la prescrizione da un momento in cui il diritto azionato non poteva essere fatto valere. Infatti, al momento dell'apertura della successione, in mancanza di accettazione, non poteva reclamarsi da parte della convenuta l'adempimento dell'onere apposto alla sua istituzione, mentre in relazione alla diversa data di accettazione dell'eredità, occorreva tenere conto della Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -6- complessità delle attività necessarie a dare attuazione alla volontà del de cuius, attesa anche l'assenza di un termine assegnato dal de cuius per l'adempimento dell'onere. Infine, quanto alla data della conclusione della precedente controversia, doveva escludersi che sussistesse la certezza dell'inadempimento definitivo della controparte, tale da imporre già a quel momento di dover agire per la risoluzione. Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 565 e 572 c.c. e 113 co. 1 c.p.c. per avere la Corte d'Appello sostenuto che fosse onere degli appellanti provare l'inesistenza di parenti di grado viciniore. In parte qua la decisione gravata ha confermato quanto statuito dal Tribunale trascurando che le norme in materia di successione legittima attribuiscono la vocazione ereditaria a tutti i parenti, sebbene con la graduazione prevista dalla stessa legge. L'esistenza di parenti di grado più prossimo a quello vantato dagli attori costituisce una condizione ostativa dell'accoglimento della domanda, il cui onere probatorio incombeva sulla convenuta, non potendosi quindi esigere che i ricorrenti dovessero altresì farsi carico di dimostrare l'inesistenza di tali parenti di grado poziore. Il settimo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 167 co. 1, 101, 112 e 116 co. 2 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., per avere la Corte considerato come una contestazione di un fatto (l'inesistenza di altri parenti) quella invece di un diritto, in quanto la convenuta nella comparsa di risposta non aveva contestato l'assenza di parenti di grado poziore, ma si era limitata a dedurre che gli attori fossero privi di legittimazione, con la conseguenza che la circostanza della Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -7- assenza di altri parenti era ormai al di fuori del thema probandum. L'ottavo motivo denuncia la nullità parziale della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 n. 4, 156 co. 2 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 24 e 111 Cost. per motivazione apparente in ordine al contenuto della contestazione sollevata dalla convenuta, in quanto non ha adeguatamente illustrato in quale parte della sua tesi difensiva la convenuta avesse contestato il fatto che non vi fossero parenti di grado più vicino a quello vantato dai ricorrenti. Il nono motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., 101 e 214 c.p.c., 24 e 111 Cost., laddove la Corte d'Appello ha attribuito valenza probatoria ad uno scritto proveniente da soggetti estranei al giudizio senza altri elementi di convincimento. La sentenza gravata ha, infatti, reputato che fosse stata offerta la prova dell'esistenza di parenti di grado poziore sulla scorta della rinunzia agli atti del precedente giudizio recante la data del 13 dicembre 1981 (rectius 15 dicembre 1981), la quale però contiene unicamente delle dichiarazioni rese da soggetti estranei al presente giudizio, sicché non poteva fondare di per sé sola il convincimento del giudice circa la prova dell'effettiva veridicità di quanto dichiarato. Il decimo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 449, 451 e 452 c.c. in quanto la Corte d'Appello ha utilizzato come prova di convincimento circa l'esistenza del rapporto di parentela un atto diverso dagli atti di stato civile. L'undicesimo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 456, 457 co. 2, 459, 476, 565 e 572 c.c. in quanto la Corte d'Appello ha attribuito la qualità di eredi legittimi a Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -8- soggetti che non potevano rivestirla attesa la natura testamentaria della successione. Poiché il testamento redatto dal de cuius aveva attribuito alla Opera Pia la qualità di erede universale, non poteva essere invocata dai parenti, ancorchè di grado più vicino a quello vantato da parte degli attori, una chiamata alla successione, essendo quindi del tutto irrilevante la loro eventuale accettazione tacita. Il dodicesimo motivo denuncia la nullità parziale della sentenza per la violazione dell'art. 112 c.p.c., 24 e 111 Cost. per l'omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale si sosteneva che la valutazione circa l'esistenza di parenti di grado viciniore andasse effettuata non già alla data di apertura della successione, ma alla diversa data di proposizione della domanda. Il tredicesimo motivo denuncia la nullità parziale della sentenza per motivazione apparente nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 76, 77, 572 e 2697 c.c. e 115 co. 1 c.p.c., per avere la Corte d'Appello affermato l'esistenza di parenti di grado più prossimo a quello dei ricorrenti, senza conoscere né accertare quale fosse effettivamente tale grado e sulla base di un documento che non contiene alcuna indicazione al riguardo, come appunto la dichiarazione di rinuncia del 1981. Il quattordicesimo motivo denuncia infine la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del DM n. 55/2014, dell'art. 13 co. 6 della legge n. 247/2012 e dell'art. 2233 c.c. in quanto la Corte d'Appello ha liquidato le spese di lite sulla base di un'erronea determinazione del valore della controversia. Ric. 2016 n. 03256 sez. 52 - ud. 17-01-2019 -9- I giudici di appello avrebbero liquidato le spese applicando lo scaglione di valore tra 16 e 32 milioni di euro, tenuto conto del fatto che trattavasi di una pronuncia di rigetto. Si adduce, in senso contrario che la domanda aveva ad oggetto la risoluzione della disposizione testamentaria per inadempimento dell'onere nonché una correlata domanda risarcitoria. La prima domanda era però di valore indeterminabile, mentre per la seconda, poiché la somma attribuita a titolo di risarcimento era pari a zero, non poteva tenersi conto dell'importo richiesto. Anche la ulteriormente correlata domanda risarcitoria presentava un valore indeterminato, con la conseguenza che la liquidazione doveva avvenire considerando la causa di valore indeterminabile, atteso anche il principio matematico per cui cumulando una causa di valore determinato ad una di valore indeterminato si ottiene sempre un valore indeterminato.
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