Cass. civ., sez. II, sentenza 14/02/2005, n. 2954
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In tema di divisione, con riferimento ai crediti di un comunista nei confronti di un altro (nella specie, a titolo di rimborso delle spese per la ristrutturazione dell'immobile in comunione), che non siano mai stati oggetto d'accordo, nè circa l'ammontare nè circa la data del pagamento, la prescrizione può decorrere soltanto dal momento della divisione, ciò è dal tempo in cui si è reso (o si sarebbe dovuto rendere) il conto, non essendo configurabile, con riguardo a tali crediti, un'inerzia del creditore alla quale possa riconnettersi un effetto estintivo, giacchè, è appunto dalla divisione che traggono origine l'obbligo della resa dei conti, con decorrenza dal momento in cui è sorta la comunione, e l'esigenza dell'imputazione alla quota di ciascun comunista delle somme di cui è debitore verso i condividenti.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V A - Presidente -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. T R M - Consigliere -
Dott. C C - Consigliere -
Dott. M E - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L V, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENATO FUCINI 238, presso lo studio dell'avvocato G C, che lo difende unitamente all'avvocato P A, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
G G, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MANTOVA 44, presso lo studio dell'avvocato P A, difeso dagli avvocati EDOARDO VINCIGUERRA, FILIPPO VINCIGUERRA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3494/00 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 09/11/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/04 dal Consigliere Dott. E M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. V M che ha concluso per l'accoglimento del 1^ motivo di ricorso assorbiti i motivi dal n. 2 al 5^ motivo rigetto del 6^ motivo e dell'8^ motivo accoglimento per quanto di ragione del 7^ e del 9^ motivo del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata in data 13.3.1989 G Girolamo convenne innanzi al tribunale di Latina L Valentino per ottenere la divisione del fondo comune sito in Bassiano, distinto al catasto terreni alla partita 2044, f. 19, con sovrastante fabbricato distinto al catasto edilizio alla partita 518, f. 19, n. 6, fondo spettante per 34/46 ad esso attore e per 12/46 al L.
Espose l'attore che l'immobile de quo era pervenuto loro, unitamente ad altri, a seguito dell'aggiudicazione dei beni facenti parte dell'eredità di Aldo Pietrosanti, posta in vendita dal tribunale con decreto del 20.12.1971;all'assegnazione aveva poi fatto seguito una divisione a stralcio tra gli originari intestatari in conseguenza della quale esso attore e il convenuto erano rimasti unici compro- prietari della porzione immobiliare descritta.
Specificò lo G che sull'immobile, successivamente alla divisione, erano stati eseguiti lavori di manutenzione e ristrutturazione il cui costo era stato sopportato da lui oltre la quota spettante.
Il convenuto non si oppose alla divisione, ma precisò che i tentativi negoziali di scioglimento della comunione non erano andati a buon fine per il rifiuto della controparte di riconoscergli una quota più ampia in ragione del maggior apporto economico patrimoniale effettuato in favore della massa;in particolare dedusse che nella sua qualità di geometra e titolare di un'impresa edile, aveva provveduto a curare ogni trattativa per l'acquisto dell'immobile, aveva espletato le pratiche tecnico-amministrative relative al rilascio della licenza di trasformazione e curato la ristrutturazione dell'intero fabbricato, sistemando le strade di accesso, i muri di sostegno e quanto era stato necessario a trasformare l'immobile da casa colonica ad albergo, interventi che avevano conferito all'immobile un diversa configurazione e un netto maggior valore rispetto al momento dell'acquisto;concluse il convenuto di avere diritto al riconoscimento e alla liquidazione di quanto dovutogli per i suddetti titoli, nonché al corrispettivo, da parte dello G, del godimento esclusivo della mansarda durato molti anni, crediti per i quali avanzò la relativa domanda riconvenzionale.
All'esito dell'istruttoria il tribunale procedette alla divisione in conformità alle porzioni delineate dal c.t.u., attribuendo all'attore il lotto A, al convenuto il lotto B, riconoscendo un conguaglio a favore dello G di lire 6.996.956, condannando l'attore al pagamento in favore del L della somma di lire 170.373.511, di cui lire 69.697.000 per opere di ristrutturazione, lire 4.676.511 per prestazioni professionali di geometra, lire 96.000.000 quale corrispettivo dell'uso della cosa comune;escluse, invece, che le opere suddette e le prestazioni professionali legittimassero il riconoscimento di una maggiore quota, trattandosi di mere ragioni di credito per le quali il tribunale aveva proceduto alla liquidazione sulla scorta dei valori indicati dal c.t.u.. La sentenza fu appellata dallo G in via principale, e dal L in via incidentale.
La corte d'appello di Roma, con sentenza in data 30.10.2000, accolse parzialmente l'appello principale, dichiarando che nulla era dovuto al L della somma di lire 170.373.511 liquidata dal primo giudice, mentre rigettò integralmente l'appello incidentale e compensò le spese del giudizio.
Osservò la corte di merito - per quanto rileva in questa sede -che era pienamente fondata l'eccezione di prescrizione concernente i crediti vantati dal L, crediti, comunque, disconosciuti dall'appellante e non provati. In proposito rilevò il giudice d'appello che i lavori erano iniziati tra il 1972 e il 1975 e terminati sicuramente non oltre il 1978, sicché certamente era compiuto il termine decennale all'atto della domanda, in assenza di atti interruttivi.
Quanto alla indennità posta dal tribunale a carico dello G per il godimento della mansarda, ad avviso della corte la condanna poggiava su erronei presupposti, perché il godimento esclusivo di detta mansarda, contestato dall'interessato, non era stato provato dal L, e, in ogni caso, il credito era prescritto per la parte maturata sino al 1979, in quanto la domanda era del 1989 e non preceduta da atti interruttivi, mentre per il periodo successivo non vi era alcuna prova dell'uso esclusivo da parte dello G. In merito all'appello incidentale del L osservò la corte territoriale che non aveva fondamento la richiesta di rinnovo della consulenza tecnica per ovviare alla omessa considerazione di una serie di lavori esterni, perché detta consulenza sarebbe stata inutile in assenza di qualsiasi sufficiente documentazione idonea a dimostrare quale comproprietario avesse preso l'iniziativa e avesse provveduto all'erogazione delle spese stesse, e quale fosse la precisa collocazione temporale delle opere, anche al fine di calcolare l'effettivo ammontare delle spese sopportate. Ritenne poi la corte che non potesse sottacersi la prescrizione di eventuali crediti, la cui operatività appariva certa per le stesse considerazioni già svolte con riferimento agli altri crediti. Quanto alla questione della esistenza di una società di fatto, il giudice d'appello rilevò che il L avrebbe dovuto esperire l'apposita procedura di liquidazione, procedura assolutamente diversa nei presupposti e nella sua articolazione da quella per lo scioglimento della comunione ordinaria.
Relativamente al rilievo del L, secondo cui dai contratti di locazione stipulati con la Prefettura di Latina si evinceva che egli era rimasto estraneo a due dei tre contratti, osservò la corte che correttamente il tribunale aveva concluso che il solo dato formale della sottoscrizione del contratto di locazione da parte di un comproprietario non poteva far supporre - in assenza di altre prove - che le somme relative fossero state interamente percepite dal medesimo. Infine, quanto alla mancata corresponsione degli interessi, rilevò che correttamente il tribunale aveva ritenuto dirimente la mancata proposizione di espressa domanda.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il L affidato a nove motivi, illustrati da memoria, cui resiste lo G con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 723, 2935, 2948 c.c., lamentando che la corte abbia riconosciuto la prescrizione dei crediti vantati, mentre il termine prescrizionale - inserendosi i crediti nell'ambito di una comunione - decorreva dal momento della divisione, e cioè dal momento in cui si sarebbe dovuto rendere il conto.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia - in via subordinata rispetto al primo motivo - violazione e falsa applicazione degli artt. 184, 359 c.p.c., rilevando che in ogni caso l'eccezione di prescrizione è stata sollevata dallo G soltanto con la comparsa conclusionale davanti al tribunale.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza lamentando che la corte abbia ritenuto completate entro l'anno 1978 le opere per le quali aveva chiesto il corrispettivo, ignorando che era stata presentata domanda di condono in base alla legge 47/85 e che erano state prodotte in giudizio fatture per materiali edili dell'anno 1991 che dimostravano lo svolgimento di una opera continuativa e mai interrotta di interventi, documenti presi in considerazione anche dal c.t.u..
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 2944 c.c. per avere la corte ritenuto la prescrizione dei crediti,
nonostante lo stesso G avesse ammesso di aver pagato con due assegni del 1983 e 1984 i lavori eseguiti per il centro cinofilo, complesso facente parte dell'immobile, dando così luogo ad un riconoscimento del debito che esclude la prescrizione. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbente del secondo, del terzo e del quarto, posto che questi ultimi mirano a contestare l'ammissibilità dell'eccezione di prescrizione, ovvero il decorso del termine con riferimento alla data di esecuzione delle opere. Ha avuto modo di affermare questa corte che, "con riguardo ai crediti nascenti da un rapporto di comunione a favore di un comunista nei confronti di un altro, che non siano mai stati oggetto di accordo, nè circa l'ammontare ne' circa la data del pagamento, la prescrizione può decorrere soltanto dal momento della divisione, cioè dal tempo in cui si è reso (o si sarebbe dovuto rendere) il conto, non essendo configurabile, con riguardo a tali crediti, un'inerzia del creditore alla quale possa riconnettersi un effetto estintivo, giacché l'obbligo della resa dei conti dal momento in cui è sorta la comunione e l'esigenza dell'imputazione alla quota di ciascun comunista delle somme di cui è debitore verso i condivident, traggono origine, appunto, dalla divisione" (Cass. 1^ febbraio 1995, n. 1144;conf. 13 febbraio 1982, n. 899, con riferimento a pretesi crediti per l'esclusivo godimento da parte di un comunista, e Cass. 9 aprile 1965, n. 621, con riferimento al credito per l'integrale trattenimento da parte di un comunista delle rendite originate da locazione a terzi di beni comuni).
Il principio sopra esposto - che il collegio ritiene di dover integralmente confermare - consente di escludere che per i crediti vantati dal L - eccettuati quelli per i quali la corte territoriale ha ritenuto l'infondatezza sulla base di altri motivi (corrispettivo del godimento esclusivo della mansarda;quota parte del corrispettivo delle locazioni) - fosse maturato il termine prescrizionale, sicché la loro fondatezza dovrà essere esaminata dal giudice di rinvio alla stregua delle risultanze processuali e delle altre censure alla sentenza di primo grado formulate dallo G nell'atto di appello. Con il quinto motivo il L denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2938 c.c., lamentando che la corte d'appello ha dichiarato prescritto anche il credito per prestazioni professionali, benché la controparte, nel suo atto di appello, si fosse dichiarato disponibile a riconoscere detto compenso.
Anche detto motivo è fondato.
Osserva la corte che lo stesso G ammette nel controricorso (pagg. 7-8) che il motivo in esame è fondato, avendo egli "dichiarato in primo grado, e ribadito nell'atto di appello, la disponibilità... al pagamento dei compensi professionali a credito del L", disponibilità "evidentemente sfuggita al giudice di secondo grado".
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 356 c.p.c. In merito al credito di lire 170 milioni riconosciutogli dal tribunale in primo grado ed escluso dalla corte di merito sia per la ritenuta prescrizione, sia - comunque - per il difetto di prova, si duole il L che, mentre il tribunale aveva ritenuto superflua la prova per testi da lui articolata al fine di dimostrare che egli aveva realizzato a propria cura e spese tutte le opere di ristrutturazione, e che lo G aveva goduto in via esclusiva della mansarda, riconoscendo sufficienti i documenti prodotti, la corte, ha ritenuto di rigettare la domanda perché la stessa non era provata, benché egli avesse riproposto tutte le istanze nella comparsa di costituzione in appello.
Il motivo è fondato per quanto attiene al credito concernente le opere di ristrutturazione, perché la corte di merito, ritenendo che la prescrizione (quanto meno per i crediti anteriori al 1979) fosse comunque un argomento assorbente, ha scarsamente motivato il disconoscimento del credito con riferimento alla sua effettiva sussistenza sia per la parte maturata antecedentemente alla suddetta data, sia per quella successiva, limitandosi a evidenziare degli errori commessi dal tribunale (calcolo erroneo, riparto non corrispondente alle quote di ciascuno, corrispettivo liquidato superiore a quello netto, quale determinato dal c.t.u.) che non appaiono - così come sinteticamente esposti dal giudice d'appello- idonei ad avallare una affermazione di totale insussistenza del credito stesso, che meritava una analisi più adeguata in relazione alle altre censure mosse dall'appellante.
Per quanto concerne, invece, il credito per l'uso esclusivo della mansarda da parte dello G, correttamente la corte di merito ha ritenuto che la prova articolata (peraltro non riportata in ricorso) non fosse idonea allo scopo, perché il thema probandum non era che soltanto lo G avesse fatto uso della mansarda (come articolato nella prova per testi), ma che detto uso esclusivo non fosse ricollegabile al solo titolo di comproprietario ed ascrivibile al disinteresse dell'altro di goderne altrettanto, ma ad una indebita espansione del proprio diritto con esclusione degli altri dal pari godimento. La ritenuta irrilevanza della prova appare argomento congruo e logico per il rigetto della domanda.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 e seguenti c.c. Assume che il tribunale di Latina aveva condannato lo G al pagamento della somma di lire 96.000.000 in suo favore quale corrispettivo dell'uso esclusivo della mansarda, ed aveva invece riconosciuto allo G il credito di lire 6.886.956 a titolo di conguaglio per l'utilizzo della corte comune da parte di esso ricorrente. Il giudice d'appello - si duole il L - mentre ha riformato il capo concernente la condanna dello G al pagamento della somma suddetta, ha confermato la sentenza per il resto, implicitamente confermando la condanna in favore del predetto, benché impugnata con l'appello incidentale da esso ricorrente. La corte territoriale, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto delle prove documentali offerte in ordine alla domanda di condanna al pagamento della somma di lire 96 milioni, ed in particolare i tre contratti di locazione stipulati in tempi diversi sempre dallo G quale locatore, che avrebbero obbligato il medesimo a dare la prova che il corrispettivo era stato diviso con il L. La corte, al contrario, non soltanto avrebbe invertito l'onere della prova, ma avrebbe anche ignorato le risultanze processuali e i mezzi istruttori richiesti (rendiconto e prova per testi).
Il motivo è infondato.
Il ricorrente formula censure poco chiare, ascrivendo la condanna al pagamento della somma di lire 6.886.956 ad un corrispettivo per il godimento di una corte comune, mentre dalla sentenza impugnata si evince che detta somma corrispondeva al conguaglio cui l'odierno ricorrente era tenuto per aver ricevuto un valore immobiliare eccessivo rispetto alla quota di sua spettanza. Ne consegue che le censure mosse alla decisione di primo grado circa la mancanza di prova dell'uso della cosa comune non potevano che essere rigettate. Quanto alla questione dei contratti di locazioni del centro cinofilo, non si comprende il collegamento che il ricorrente fa con la somma concernente il corrispettivo del mancato uso della mansarda, credito, quest'ultimo, fondatamente disconosciuto dalla corte di merito. Neppure è chiara la censura di violazione del principio dell'onere della prova con riferimento alla gestione delle locazioni dell'immobile quale centro cinofilo, perché la corte di merito ha correttamente affermato che la sottoscrizione del contratto da parte di uno solo dei partecipanti alla comunione non può consentire di ritenere - neppure in via di presunzione - che il corrispettivo fosse stato incassato esclusivamente dal medesimo;conseguentemente incombeva comunque sull'attore l'onere di comprovare a chi il conduttore avesse versato il canone, ben potendo assolvervi con prove documentali richiedibili all'ente conduttore, o testimoniali. Solo in tal caso la controparte avrebbe dovuto dare la prova di aver provveduto al versamento delle spettanze pro-quota. Con l'ottavo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2282 e 2289 c.c., perché la corte di merito ha escluso la ricorrenza di una società di fatto, ritenendo che il conferimento di immobili e la procedura di liquidazione sarebbero avvenuti senza l'osservanza delle forme previste dalla disciplina societaria. Assume il L che il discrimine tra comunione di godimento e società di fatto è soltanto nella strumentalità dei beni in funzione di un fine lucrativo, e la corte di merito non avrebbe tenuto conto che esso ricorrente esercitava la professione di geometra ed era titolare di impresa, sicché con il suo apporto intellettivo e patrimoniale aveva radicalmente modificato l'immobile contribuendo alla sua valorizzazione in misura superiore al 1300%. La corte non ha valutato l'elemento dinamico della strumentalità dei beni per il compimento dell'attività, la quale può risultare oltre che da un atto formale anche dal comportamento concreto dei comproprietari con lo svolgimento di fatto dell'attività. La sua posizione era pertanto quella del socio d'opera, con la conseguenza cha al momento dello scioglimento del rapporto egli aveva diritto alla liquidazione della quota rapportata alla maggiore entità del patrimonio acquisito rispetto ai beni conferiti, e alla liquidazione degli utili di impresa, richiesti nei due gradi di giudizio e negati solo per la presunta mancanza di forma nelle operazioni eseguite. Il motivo è destituito di fondamento.
Correttamente la corte di merito, nel rigettare il motivo di appello, ha affermato che lo scioglimento di una comunione e lo scioglimento di una società di fatto, in quanto fondati su presupposti del tutto diversi, non possono essere perseguiti se non con differenti specifiche azioni. Il L, come si evince dalle conclusioni riportate nella sentenza di secondo grado, non ha mai formulato una domanda di accertamento della sussistenza di una società di fatto e del suo scioglimento, ma ha affermato la sua qualità di socio di fatto esclusivamente come argomento per accreditare il preteso diritto - che intendeva far valere in sede di scioglimento della comunione- di ottenere l'attribuzione di una porzione di immobile maggiore rispetto "a quella spettante secondo il titolo". È, quindi, del tutto evidente la assoluta infondatezza delle pretesa e, conseguentemente, delle censure mosse alla decisione che tali pretese ha disatteso.
Con l'ultimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione de combinato disposto degli artt. 1122 e segg. e 1282 e segg. in ordine al rigetto della richiesta di rivalutazione monetaria e interessi legali per difetto di una esplicita domanda. La corte non ha considerato che la rivalutazione monetaria costituisce parte integrante del credito e doveva essere riconosciuta ad esso ricorrente quale imprenditore commerciale;quanto agli interessi, osserva che la corte non ha neppure considerato che si trattava di interessi compensativi e, come tali, attribuibili d'ufficio;inoltre la proposizione dell'appello avverso il diniego da parte del tribunale avrebbe consentito la liquidazione quanto meno dalla sentenza di primo grado.
Il motivo è assorbito dall'accoglimento del primo e del quinto motivo del ricorso, perché in sede di rinvio il ricorrente potrà riproporre la questione concernente rivalutazione monetarie ed interessi con riferimento a quei crediti sui quali il predetto giudice dovrà nuovamente pronunciarsi;la pronuncia sul punto della corte di merito appare infatti pleonastica, stante il totale disconoscimento dei crediti vantati dal ricorrente. In conclusione, quindi, vanno accolti il primo e il quinto motivo, nonché il sesto limitatamente al punto concernente il rigetto della domanda di rimborso per le opere di ristrutturazione eseguite, con assorbimento del secondo, del terzo, del quarto e del nono motivo;
tutti gli altri motivi, ivi compresa la seconda parte del settimo, vanno rigettati.
La sentenza impugnata va pertanto cassata relativamente ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Roma, anche per le spese.