Cass. civ., sez. II, sentenza 11/06/2019, n. 15692

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 11/06/2019, n. 15692
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15692
Data del deposito : 11 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

to la seguente Ud. 15/03/2019 SENTENZA PU sul ricorso 11785-2015 proposto da: R S, rappresentato e difeso dall'Avvocato A E, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. D A in ROMA, PIAZZA PRATI degli

STROZZI

32

- ricorrente -

contro

R FA e NACLERIO ANNUNZIATA, rappresentate e 12 difese dall'Avvocato S M, ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell'Avv. C C in ROMA VIA della

CONCILIAZIONE

44

- controricorrenti -

nonché COMUNE di POSITANO, in persona del Sindaco pro tempore M D L, rappresentato e difeso dall'Avvocato C L, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in POSITANO, VIA S.

GIOVANNI

10

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 616/2014 della CORTE d'APPELLO di S, depositata il 4/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2019 dal Consigliere Dott. U B;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. L C, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avv. A E per il ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
nonché gli Avvocati S M per le controricorrenti e C L per il Comune di Positano, che hanno entrambi concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 19.11.2009, SALVATORE RUSSO conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Salerno, Sezione Distaccata di Amalfi, ANNUNZIATA NACLERIO e FRANCESCA RUSSO (eredi di Andrea Russo), nonché il COMUNE DI POSITANO. L'attore esponeva: di essere proprietario di un locale terraneo alla Via del Brigantino in Positano, confinante con altro locale appartenente alle convenute Naclerio e Russo;
che i (ti due locali, entrambi adibiti ad attività di ristorazione, avevano accesso dalla strada pubblica mediante ampie aperture, e che quello dell'attore, più arretrato rispetto all'altro, godeva sin dagli inizi degli anni '50 della concessione in uso di un antistante piazzale, di proprietà del Comune di Positano;
che nel 1977 Andrea Russo, lamentando l'esistenza di alcuni manufatti e ingombri che impedivano l'utilizzazione di un accesso secondario al proprio locale, esistente sul piazzale oggetto di concessione in favore dell'attore, citava in giudizio quest'ultimo, chiedendone la condanna all'eliminazione di detti impedimenti;
che il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 649/1981, accoglieva la domanda, ma avverso tale pronuncia S R proponeva appello;
che, nelle more del giudizio di appello, tra le parti interveniva un atto, stipulato per Notar Colliani il 19.1.1983, con il quale S R riconosceva l'esistenza del suddetto vano porta che consentiva l'accesso secondario dal locale di Andrea Russo allo spiazzo comunale, obbligandosi a rimuovere tutte le opere che ne ostacolavano l'uso e a rinunciare all'appello, mentre Andrea Russo si obbligava a far cancellare la causa dal ruolo, accollandosi le spese dell'atto pubblico, con reciproco consenso delle parti alla trascrizione dell'atto;
che, in seguito al decesso di Andrea Russo, le eredi A N e F R, stante l'inosservanza degli obblighi assunti da S R con la predetta scrittura, convenivano quest'ultimo in giudizio per sentir dichiarare l'esistenza del diritto di ingresso secondario attraverso lo spiazzo comunale e condannare il convenuto alla rimozione delle opere che ne ostacolavano l'accesso;
che, espletata CTU, il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda con sentenza, confermata in appello e impugnata con ricorso per cassazione;
che, nel corso del giudizio di appello era stata espletata una nuova CTU, che aveva accertato l'illegittimità dell'apertura del vano-porta, in quanto realizzata senza concessione edilizia;
per cui si deduceva che l'atto del 19.1.1983 fosse nullo per illiceità dell'oggetto e dell'obbligazione: l'atto in oggetto aveva effetti obbligatori e reali, essendo stato riconosciuto un diritto di servitù, ma tale riconoscimento era illecito perché incidente su un bene pubblico. Tutto ciò premesso, l'attore chiedeva, in via principale, di dichiarare la nullità dell'atto del 19.1.1983 e, in via subordinata, di annullarlo. Si costituiva in giudizio il Comune di Positano, il quale, in via preliminare, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva e l'estraneità relativamente alla vicenda, evidenziando che la realizzazione del vano-porta in contestazione non avesse mai costituito oggetto di alcun atto autorizzativo da parte dell'ente pubblico. Concludeva invocando la propria estromissione dal giudizio e, nel merito, l'accertamento dell'estraneità del Comune ai fatti di causa. Si costituivano A N e F R rilevando l'inammissibilità e l'infondatezza della domanda. In via preliminare, eccepivano l'esistenza del giudicato, essendo stato il diritto di accesso attraverso il vano-porta riconosciuto tra le parti con sentenza del Tribunale di Salerno n. 649/1981, con atto pubblico del 19.1.1983 e, infine, con sentenza n. 2444/2001 del Tribunale di Salerno, confermata dalla Corte d'Appello con sentenza n. 254/2008. Nel caso in cui si fosse ritenuto che relativamente a quest'ultima sentenza non fosse ancora intervenuto il giudicato, trattandosi di decisione impugnata per cassazione, chiedevano la sospensione del giudizio. Nel merito, deducevano l'infondatezza della domanda di nullità dell'atto del 19.1.1983, rilevando che con questo non fosse stata autorizzata l'apertura del vano-porta, ma solo regolamentato l'esercizio del passaggio esistente da circa 40 anni, relativamente al quale non era mai intervenuto alcun provvedimento amministrativo che ne sancisse l'illiceità. Deducevano, inoltre, l'infondatezza della domanda di annullabilità dell'atto, sia riguardo alla disciplina generale sui contratti che alle norme sulla transazione. Con sentenza n. 43/2012 il Tribunale di Salerno-Sezione Distaccata di Amalfi disponeva l'estromissione del Comune di Positano;
rigettava la domanda e condannava l'attore alle spese di lite. Contro tale sentenza proponeva appello S R chiedendo di accogliere il gravame e di dichiarare l'invalidità dell'atto del 19.1.1983 con la condanna delle convenute al risarcimento dei danni. Si costituiva in giudizio il Comune di Positano chiedendo il rigetto dell'appello e formulando appello incidentale, con il quale censurava l'omessa motivazione e statuizione in ordine alle spese legali, chiedendo la condanna dell'appellante al pagamento delle spese del primo e secondo grado. Si costituivano F R e A N, le quali rilevavano l'inammissibilità e infondatezza dell'appello, riportandosi sostanzialmente alle difese svolte in primo grado. All'udienza di precisazione delle conclusioni (12.6.2014), il difensore di F R depositava copia della sentenza n. 23276/2013 del 14.10.2013, con la quale la Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso proposto da S R;
nella comparsa conclusionale le appellate evidenziavano che il giudicato intervenuto sugli obblighi derivanti dall'atto del 19.1.1983 impediva l'esame di qualsiasi domanda relativa a questioni che l'appellante avrebbe dovuto formulare nell'ambito di quel giudizio.Con sentenza n. 616/2014, depositata in data 6.11.2014, la Corte d'Appello di Salerno ha rigettato l'appello principale confermando la sentenza appellata sia pure con l'integrazione della motivazione;
ha accolto l'appello incidentale e, per l'effetto, ha condannato l'appellante al pagamento, in favore del Comune di Positano, delle spese di lite di primo grado, oltre che delle spese del grado d'appello in favore di ciascuna parte. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione S R sulla base di sette motivi;
resistono F R e A N con controricorso;
nonché il Comune di Positano, con controricorso. Il ricorrente e le controricorrenti hanno depositato rispettive memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la «Violazione art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
art. 132 c.p.c.(contenuto della sentenza);
art. 118 disp. att. c.p.c. (motivazione della sentenza)» [nella sentenza impugnata da pag 8, 5 0 rigo a pag. 10, 3° rigo], là dove la Corte territoriale ha ritenuto non sussistente il vizio dedotto dall'appellante di carenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado, pur riconoscendo che la motivazione fosse eccessivamente sintetica e scarna e che recasse contraddizioni, ma ciò nonostante ritenendola redatta secondo legge. 1.1. - Il motivo è inammissibile. 1.2. - In termini generali, va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa;
viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.). Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017;
ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017;
Cass. n. 195 del 2016;
Cass. n. 26110 del 2016). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall'art. 360 n. 3 c.p.c. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie;
diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di "errori di diritto" individuati (come nella specie) per mezzo della preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate (soprattutto allorquando dette norme siano nomerose e riguardino aspetti eterogenei), ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006;
Cass. n. 828 del 2007;
Cass. n. 5353 del 2007;
Cass. n. 10295 del 2007;
Cass. 2831 del 2009;
Cass. n. 24298 del 2016). Il controllo affidato alla Corte non equivale, dunque, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014;
richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). 1.3. - Tali essendo i principi governatori dei preupposti di ammissibilità del motivo di ricorso in cassazione, va ritenuto che, correttamente, la Corte territoriale abbia richiamato la giurisprudenza di legittimità, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (ex plurimis Cass. n. 9113 del 2012;
Cass. n. 1756 del 2006). Viceversa il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, e cioè l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. n. 6064 del 2008). Detto secondo vizio [congiuntamente evocato insieme a quello di omessa decisone, nonostante la loro evidenziata diversità logico-giuridica] pertiene all'ambito dell'apprezzamento di fatto sottratto al vaglio di legittimità, in quanto congruamente motivato, in cui il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, ricavata dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 9275 del 2018;
Cass. n. 5939 del 2018;
Cass. n. 16056 del 2016;
Cass. n. 15927 del 2016). Sicché, il motivo [come, peraltro, si evidenzia riguardo anche agli altri] lascia trasparire una implicita e pur riscontrabile sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento;
così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata;
quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). 2. - Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la «Violazione art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
artt. 112, 113, 132 e 324 c.p.c.;
artt. 2909, 1325, 1346, 1418, 1966, 1972, 1427, 1428, 1429,1431, 1439, 1971, 1872, 1973, 1975 c.c.;
artt. 31 e 41 L. n. 1150/1942;
artt. 10 e 13 L. n. 765/1967;
art. 71 L. n. 1497/1939» [sentenza impugnata da pag. 10, 40 rigo a pag. 14, 18° rigo], in quanto la Corte di merito ha illegittimamente ritenuto, tra l'altro, che vi fosse una identità di oggetto tra il precedente ed il presente contenzioso tra le parti, affermando l'esistenza di un giudicato preclusivo (derivante dalla sentenza di questa Corte n. 23276 del 2013) dell'esame di alcune delle questioni di nullità dell'atto del 19.1.1983 poste a fondamento dell'atto di citazione, con la conseguenza della preclusione in questa sede dell'esame dei rilievi di nullità del contratto per illiceità dell'oggetto e dell'obbligazine e della nulltà per violazione delle norme urbanistiche già esaminate con sentenza passata in giudicato. 2.1. - Il motivo è inammissibile. 2.2. - In primo luogo, ai sensi dell'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero che l'indicazione dei motivi non necessita dell'impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l'oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015;
Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015;
Cass. n. 13377 del 2015;
Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l'altro, l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle singole dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016;
Cass. n. 22254 del 2015). Così, dunque, i motivi di impugnazione che [come nella specie] prospettino una indistinta pluralità di questioni tra loro diverse ed autonome, precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate, sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall'altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016). Il motivo di ricorso, così come formulato, si connota per una confusa e rapsodica articolazione di una pluralità di censure tra loro eterogenee - riferite tutte, congiuntamente ed indistintamente, ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di plurime norme di legge, di nullità della sentenza o del procedimento e di omessa pronuncia su fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti - prive di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno. Esse, viceversa, appaiono contraddistinte dall'evidente scopo di contestare globalmente l'intero impianto motivazionale della decisione, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018). 2.3. - Sotto altro aspetto, va rilevato che il motivo è altresì inammissibile, in quanto parte ricorrente non ha riportato il contenuto del giudicato che a suo dire sarebbe stato erroneamente interpretato dalla Corte distrettuale. Orbene, va rilevato che l'interpretazione [dell'esistenza e della portata] del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l'interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della -art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa fl applicazione di norme di diritto;
artt. 112, 113 e 132 c.p.c.;
artt.1325, 1346, 1418, 1966, 1972 c.c.;
della disciplina urbanistica;
nullità virtuale rispetto all'intero ordinamento» [sentenza impugnata da pag. 14, 19° rigo a pag. 17, 8° rigo], in quanto la Corte distrettuale avrebbe, erroneamente, ritenuto che le violazioni delle norme generali dei contratti e della disciplina urbanistica fossero coperte dal giudicato;
e che le violazioni della normativa dei diritti reali e della transazione non sussistessero in quanto l'atto del 19.1.1983 non costituiva alcuna servitù, ma era qualificabile come "atto unilaterale recettizio con assunzione di obbligazioni esclusivamente a carico del Sig. S R", escludendo che si trattasse di transazione. Relativamente alla inesistenza della transazione, il ricorrente sottolinea che l'atto era stato stipulato per definire in via bonaria un precedente contenzioso (iniziato da Andrea Russo nel 1977 e concluso con la sentenza del Tribunale di Salerno n. 649/1981, appellata) per definire tra le parti transattivamente il gravame con l'assunzione di reciproche obbligazioni: quanto a S R, di rimuovere le opere ostative all'esercizio del diritto di accesso al vano porta laterale e a rinunciare all'impugnazione;
quanto ad Andrea Russo, di accettare detta rinuncia e la cessazione del contenzioso, oltre al pagamento degli onorari del rogito. 3.2. - Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la «Violazione art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
artt. 112, 113, 132 c.p.c.;
art.2938 c.c.» [sentenza impugnata pag. 17, dal 90 al 14° rigo], in quanto erroneamente il giudice di primo grado aveva ritenuto, d'ufficio, la prescrizione dell'azione di annullabilità, mentre la Corte territoriale non ha preso in considerazione tale motivo, ritenendo che l'atto del 19.1.1983 non fosse una transazione. 3.3. - Data la loro stretta connessione logico-giuridica, i due motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente. 3.4. - Il ricorrente censura la decisione d'appello per non avere correttamente intepretato e qualificato l'atto notarile inter partes del 19.1.1983 e per non averne conseguentemente preso in considerazione tutti i motivi di invalidità (nullità, anche "virtuale", ed annullabilità) dedotti nella citazione introduttiva del giudizio. 3.5. - I motivi stessi sono inammissibili. 3.6. - Va ribadita la pregiudiziale ed assorbente affermazione di inammissibilità anche dei presenti motivi per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, per non esser stato riportato e/o trascritto il contenuto dell'atto pubblico in questione, cui il ricorrente (contrariamente alla interpretazione dell'atto da parte della Corte di merito) attribuisce natura di transazione, a cui riferisce le varie censure ed eccezioni prospettate nell'atto di citazione. E' principio consolidato che i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilità, dall'art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, debbano essere assolti necessariamente con il ricorso e non possano essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l'atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis Cass. n. 29093 del 2018;
conf. Cass. n. 20694 del 2018). Il ricorrente ha, dunque, l'onere [che nella specie non risuta esser stato assolto] di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 5478 del 2018;
Cass. n. 22576 del 2015;
n. 16254 del 2012);
potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. (a pena di inammissibilità) e dall'art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c. (a pena di improcedibilità del ricorso) (Cass.n. 17168 del 2012). Il ricorrente dunque deve indicare - mediante anche la trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso - la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, senza necessità di indagini integrative (Cass.n. 2093 del 2016;
cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015;
n. 12029 del 2014;
n. 8569 del 2013;
n. 4220 del 2012). Nella specie, il ricorrente, pur facendo ripetutamente riferimento all'atto notarile del 1983 non ne ha mai riportato il completo contenuto, necessario onde poter valutare - nei limiti dell'apprezzamento attribuito al giudice di merito - la correttezza o meno della contestata affermazione della natura ed interpretazione del contenuto delle relative pattuizioni. Con ciò, dovendosi peraltro rilevare che, in tema di interpretazione del contratto, l'accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche;
con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006;
Cass. n. 18375 del 2006;
Cass. n. 1754 del 2006). Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l'altra (Cass. n. 8909 del 2013;
Cass. n. 24539 del 2009;
Cass. n. 15604 del 2007;
Cass. n. 4178 del 2007;
Cass. n. 17248 del 2003). Infatti, qualora deduca la violazione dei citati canoni interpretativi, il ricorrente deve precisare in quale modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri asseritamente violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benché genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera (benché energicamente ribadita) prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 1914 del 2016;
cfr. Cass. n. 3657 del 2016;
Cass. n. 25728 del 2013 e, tra le altre, Cass. n.1754 del 2006).4. - Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la «Violazione art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
artt. 112, 113, 132 c.p.c.;
artt.1971, 1972, 1973, 1975 c.c.;
artt. 1427, 1428, 1429, 1431, 1439» [sentenza impugnata da pag. 17, 200 rigo a pag. 19, 9° rigo], in quanto la Corte di merito si è riportata alla qualificazione dell'atto in esame (unilaterale recettizio) ed ha dichiarato che non fossero da esaminare i motivi di annullabilità previsti per la transazione (transazione su pretesa temeraria, transazione su titolo nullo, annullabilità per falsità di documenti, annullabilità per scoperta di documenti). 4.1. - Il motivo non è fondato. 4.2. - E' del tutto evidente che la Corte territoriale, avendo escluso il carattere transattivo del negozio in oggetto, non potesse procedere all'esame di tali dedotti vizi, ancorati dal ricorrente appunto su detto carattere. 5. - Con il sesto motivo, il ricorrente deduce la «Violazione art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto;
artt. 112, 113, 132, 100, 324 c.p.c.;
art. 2909 c.c.;
art. 118 disp. att.c.p.c.» [sentenza impugnata da pag. 19, 100 rigo a pag. 20, 20° rigo], là dove la Corte distrettuale non ha considerato che il Tribunale avesse deciso l'estromissione del Comune di Positano senza nulla riferire nel corpo della sentenza, ma solo con una sintetica espressione nel dispositivo;
ed ha confermato che il pregresso contenzioso concluso in Cassazione nel 2013 avesse lo stesso oggetto di quello in esame, per cui l'efficacia di giudicato valeva anche nei confronti del Comune. 5.1. - Il motivo non è fondato.5.2. - La Corte di merito (nel riportarsi al contenuto di Cass. n. 23276 del 2013 inter partes) - sottolineato come nel primo motivo di ricorso in cassazione il Russo avesse lamentato che la Corte di merito aveva errato nell'escludere la legittimazione del Comune di Positano, in luogo di quella del ricorrente, sintetizzandone le relative argomentazioni - ha affermato che le doglianze formulate dall'odierno ricorrente nel giudizio di appello coincidessero perfattamente, quanto ai presupposti di fatto e di diritto, con le allegazioni poste a fondamento del motivo di ricorso per cassazione articolato nella precedente sede, risolvendosi sostanzialmente tali doglianze, in entrambi i casi, nella ritenuta necessità della partecipazione dell'Ente proprietario dello spiazzo alla controversia relativa alla validità ed efficacia dell'atto contestazione. Di conseguenza, il sopravvenuto giudicato formatosi per effetto dell'intervento della decisione definitiva sulla specifica questione in esame precludeva ogni ulteriore valutazione e pronuncia [sulla valutazione della esistenza e della portata del giudicato esterno, effettuata dal giudice di merito, nel rispetto del principio di autosufficienza: v. sub 2.3.]. 6. - Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta la «Violazione art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto, art. 88, 91, 92 c.p.c.» [sentenza impugnata da pag. 20, 21° rigo a pag. 21, 16° rigo], in quanto il Comune di Positano da un lato dichiarava che l'opera fosse illegittima e che lo spazio su cui esercitare il passaggio fosse pubblico e in concessione all'attore, dall'altro sosteneva la propria estraneità al giudizio chiedendone l'estromissione. Tale oggettiva contraddizione, per il ricorrente, non concretizzava la lealtà e la probità, che per un ente pubblico hanno un più ampio contenuto. 6.1. - Il motivo non è fondato. 6.2. - Per costante orientamento di questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa nel giudizio non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa [fenomeno che non si è verificato nel caso in esame], con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito provvedere alla loro attribuzione e quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 22872 del 2018;
n. 19613 del 2017). 7. - Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore di ciascuna delle parti controricorrenti. Va emessa altresì la dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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