Cass. civ., sez. III, sentenza 20/01/2015, n. 839
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In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di critica giornalistica è legittimo ove sussista proporzione tra l'importanza del fatto, e la necessità della sua esposizione, ed i contenuti espressivi con i quali la critica è esercitata, senza trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il carattere diffamatorio di un articolo di stampa secondo il quale il trasferimento della sede legale di una società commerciale, da Milano, nel medesimo periodo in cui era ivi in corso l'inchiesta "Mani Pulite", a Bergamo, ove veniva promossa la procedura per la cessione di un ramo di azienda, non poteva reputarsi casuale ma finalizzato a scegliere una sede idonea a consentire una rapida conclusione della procedura stessa, escludendo indesiderati controlli che avrebbero quantomeno rallentato l'operazione).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S A - Presidente -
Dott. P G B - Consigliere -
Dott. S L A - Consigliere -
Dott. R L - Consigliere -
Dott. V E - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2860-2012 proposto da:
MEDIASET S.P.A. (09032319154), in persona del procuratore speciale Dott. S P, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 60, presso lo studio dell'avvocato P S, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato A I giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
EDITORIALE DIARIO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (05153171003), in persona del Liquidatore in carica C A, e D E (DGLNRC47D11L219Y), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PREVESA 11, presso lo studio dell'avvocato S A, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato C M giusta procure speciali in calce al controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 2427/2011 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 25/08/2011, R.G.N. 2548/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2014 dal Consigliere Dott. E V;
udito l'Avvocato A I;
udito l'Avvocato ANTONIO SIGILLÒ;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza resa pubblica il 25 agosto 2011, la Corte di appello di Milano rigettava l'impugnazione proposta da Mediaset S.p.A. avverso la decisione del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, aveva respinto la domanda di risarcimento danni avanzata dalla stessa società nei confronti di Deaglio Enrico e dell'Editoriale Diario s.r.l. (poi S.p.A.), rispettivamente direttore responsabile ed editore del settimanale "Diario", e di Domenico Marcello, apparente autore dell'articolo, a seguito della natura asseritamente diffamatoria dell'articolo pubblicato sul predetto settimanale il 18 marzo 2005 dal titolo "In fondo alla Borsa". 1.1. - Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale, in ordine alla dedotta "diffamatorietà dell'intero articolo" - premesso che non sussisteva discussione sulla "verità dei fatti storici" da esso riferiti ("fatta eccezione per l'asserita falsità di quanto affermato nella parte finale") e richiamati i principi giuridici in tema di diritto di cronaca e di critica giornalistica -, assumeva che l'articolo apparso sul settimanale "Diario" era assistito dall'utilità sociale della notizia, avendo rilievo per l'opinione pubblica la vicenda coinvolgente "direttamente l'allora presidente del Consiglio", avuto riguardo anche all'indagine penale che era in corso "nei confronti dei vertici di Mediaset" per la "questione dei diritti cinematografici". Nè era assente la "continenza espressiva" dell'articolo, dal tono, "al più, ironico" (come per la definizione di "decomunistizzato" data al Comune di Bergamo o per l'annotazione sulla speditezza nell'espletamento dell'incarico da parte del perito S, da "tour de force da record olimpico").
1.2. - Quanto, poi, alle censure relative al fatto che l'articolo suggerisse l'esistenza di "irregolarità nella genesi e nella quotazione in borsa di Mediaset", insinuasse il sospetto che la società fosse nata "per salvare Berlusconi da una crisi finanziaria", che avesse "incorporato società che cambiavano sede per sottrarsi all'attenzione di "certe" procure, che avesse beneficiato "di perizie sommarie e interessate" e fosse stata "quotata in borsa in base ad una situazione falsamente rappresentata", la Corte milanese osservava (per poi motivare specificamente su ciascun rilievo dell'appellante) che l'articolo si limitava "in modo piano a riportare le circostanze" emergenti "dai documenti conservati presso la biblioteca della Borsa di Milano, ricostruendo in ordine cronologico i fatti e introducendo talune annotazioni del giornalista che da quei fatti traggono origine e giustificazione".
1.3. - In particolare, il giudice del gravame riteneva "incontestato il trasferimento di Orione dalla sede di Fininvest a Rozzano e, quindi, a Bergamo, dove viene promossa la procedura per la cessione del ramo d'azienda di Reteitalia relativo all'attività di produzione e distribuzione televisiva e cinematografica", nel medesimo periodo "in cui a Milano era in corso l'inchiesta c.d. Mani Pulite". Di qui, il giudizio del giornalista sul fatto che ciò non poteva reputarsi "casuale offrendo la decomunistizzata Bergamo l'indubbio vantaggio ... di consentire una rapida conclusione della procedura con l'affidamento dell'incarico di consulente d'ufficio a persona legata alla società istante senza particolari e non desiderati controlli che avrebbero l'effetto, quanto meno, di rallentare l'operazione".
1.4. - La Corte territoriale reputava, altresì, vera sia la circostanza che la perizia sulla valutazione della library di diritti, "a cominciare da quella Bannon" del giugno 1993, su incarico di Fininvest, era stata effettuata "sulla scorta delle informazioni fornite dalla stessa committente e dalle sue controllate" ed "in tempi strettissimi" ("in pochi giorni"), sia che anche la perizia d'ufficio del consulente S, "presso il cui studio Orione è effettivamente domiciliata", si fosse esaurita "dopo soli 53 giorni dal conferimento dell'incarico con l'asseverazione da parte del Tribunale di Bergamo". Con ciò il giudice di appello riteneva "calzante l'affermazione" del giornalista sui "ritmi americani" di lavoro, sul rilievo di un indebitamento da "orlo del baratro" (giacché superiore a L.
1.400 miliardi), sull'utilizzo, per la verifica delle informazioni Fininvest, di varie fonti e, segnatamente, della perizia Bannon ("di cui riceve anche una versione aggiornata"), "giungendo così a stimare in 1.228 miliardi - la sola voce dell'attivo idonea per consistenza a spostare l'ago della bilancia - il valore dei diritti (oltre a quelli di Grt) pari alla media della stima della perizia americana", con conseguente giustificazione del "giudizio espresso sul valore ufficiale acquisito da tale stima richiesta ed effettuata ad altri fini". La Corte milanese escludeva, poi, che si fossero confusi "i piani dell'ironia e della critica con quelli della delazione", non potendosi ravvisare "le asserite allusioni ad attività illecite di Orione, ne' a perizie fraudolente" (emergendo dall'articolo solo l'esigenza "di scegliere una sede idonea a consentire di condurre a termine l'operazione senza intralci di sorta, come in effetti è stato, e la velocità