Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 30/12/2021, n. 42004

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 30/12/2021, n. 42004
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 42004
Data del deposito : 30 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a e qualificabile come danno comunitario. Osservava la Corte di appello, per quanto ancora rileva, che la previsione di cui al citato art. 36 T.U. del pubblico impiego è posta a presidio non solo della garanzia di accesso ai ruoli pubblici mediante concorso, ma anche delle esigenze di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica, sicché trovava applicazione anche nel caso di specie;
rilevava altresì che nessun dubbio poteva porsi in ordine all'applicabilità del citato art. 36 al caso di specie, quanto ai soggetti coinvolti, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del T.U. pubblico impiego. Avverso tale sentenza M S propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La ASP di Cosenza non ha svolto attività difensiva.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione falsa applicazione degli artt. 112, 434 e 161 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 e 4, c.p.c., per mancato rispetto dell principio di corrispondenza tra "chiesto e pronunziato", avendo la Corte d'appello ridotto d'ufficio l'ammontare della posta risarcitoria, con conseguente nullità della pronunzia, atteso che l'ASP di Cosenza aveva limitato l'impugnativa alla sola parte della sentenza di primo grado in cui era stato riconosciuto il diritto alla reintegra.

1.1. Il motivo è infondato. La denunziata violazione dell'art. 112 c.p.c. va esclusa in forza del rilievo che il rigetto in appello della domanda principale di conversione del contratto e di tutela in forma specifica importa il dovere del giudice di appello di provvedere sulla domanda subordinata di tutela per equivalente che il lavoratore aveva proposto fin dall'atto introduttivo del giudizio, secondo quanto emerge dalla sintesi dello svolgimento del processo come riportata nel corpo del ricorso per cassazione. Del resto, la statuizione di prime cure, che accordava tutela in forma specifica, non poteva sopravvivere, ai sensi dell'art. 336, comma 1, c.p.c., una volta che la Corte territoriale, accogliendo l'appello proposto sul punto dall'ente pubblico, aveva rigettato l'originaria domanda di conversione, sicché dell'esame della domanda subordinata operato dal giudice di secondo grado l'odierna ricorrente non ha neppure interesse a dolersi.

2. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 del digs. n. 368 del 2001 (ratione temporis applicabile), degli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 16 I. n. 56 del 1987, delle clausole n. 4 e 5 della Direttiva 1999/70/CE, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Sostiene la ricorrente che nel caso di specie non opererebbe il divieto di conversione di cui all'art. 36 d.lgs. n. 165 del 2001 perché la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in quello a tempo indeterminato sarebbe vietata solo in ipotesi di rapporto di lavoro precario la cui conversione comporterebbe il mancato rispetto delle procedure di reclutamento ex lege, ovvero nelle ipotesi in cui all'assunzione avrebbe dovuto procedersi per concorso ed il concorso non si sia espletato, ma non anche nel caso di specie, in cui l'assunzione è avvenuta attraverso il ricorso alle liste di collocamento ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 165 del 2001 e della I. n. 56 del 1987. A fondamento di quanto innanzi argomentato parte ricorrente richiama la pronunzia del giudice di legittimità n. 9555/2010 e sostiene che solo seguendo questo approccio interpretativo si avrebbe piena consonanza con le clausole n. 4 e 5 della direttiva 1999/70/CE. Aggiunge, poi, che l'art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbe stato implicitamente abrogato dal successivo d.lgs. n. 368 del 2001. 3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 d.lgs. n. 502 del 1992 e 36 d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione agli artt. 3 e 5 c.p.c., sul presupposto dell'inapplicabilità dei limiti di cui all'art. 36 del T.U. del pubblico impiego alla parte datoriale del presente giudizio, consideratane la natura di ente pubblico economico munito di propria personalità giuridica, di autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, quindi non rientrante nel novero degli enti pubblici cui si applica il d.lgs. n. 165 del 2001. 3.1. I due motivi, stante l'evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente. Essi sono infondati. Si premetta che vanno valutati ai sensi del n. 3 dell'art. 360 c.p.c., atteso che nel caso di specie ciò che la parte contesta non è "l'insufficiente e contraddittoria motivazione" (questa la formula adoperata in ricorso, peraltro non più spendibile alla stregua del novellato n. 5 dell'art. 360 c.p.c.), quanto piuttosto la violazione o non corretta applicazione di norme di diritto. Nello specifico e in estrema sintesi, infatti, ciò che si lamenta è la non corretta delimitazione dell'ambito applicativo dell'art. 36 d.lgs.vo n. 165 del 2001, in relazione alla natura di ente pubblico economico della parte datoriale e alle modalità di instaurazione del rapporto, non a seguito di pubblico concorso, ma, com'è accaduto nel caso di specie, attraverso le liste di collocamento.Si consideri, poi, che per costante giurisprudenza di questa Corte il discrimine tra l'applicazione o meno del divieto di cui all'art. 36 cit. non può essere desunta dalla formale distinzione tra enti pubblici e privati (così, tra le tante, Cass. n. 27574/2021, avuto riguardo alla natura privatistica, di una società in house, ma anche Cass. n. 7050/2019), dovendosi piuttosto valorizzare l'effettiva natura del rapporto lavorativo. Nel caso di specie, tuttavia, come già sottolineato in maniera icastica dalla Corte di appello, è l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 che espressamente prevede l'applicabi ità alle aziende sanitarie e agli enti del servizio sanitario nazionali de corpus normativo sul pubblico impiego;
né è in alcun modo dubitabile che il rapporto lavorativo tra le odierne parti debba essere ricondotto nell'alveo del pubblico impiego contrattualizzato, avuto riguardo alla natura delle prestazioni erogate dal S.S.N. e alle mansioni svolte dalla ricorrente, ausiliaria socio- sanitaria specializzata, incardinata nell'assetto organizzativo dell'ente. Non è, quindi, conferente il richiamo alla pronunzia n. 9555/2010 di questa S.C., riferita ad una contrattazione di diritto privato e ad un contratto individuale di diritto privato (con conseguente esclusione dell'applicazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 29 del 1993 - cfr. Cass. n. 9555/2010, in relazione ai portieri Inali). In via più ampia e generale, avuto riguardo alla dedotta violazione dell'art. 36 del d.lgs.vo n. 165 del 2001 che in tutte le formulazioni dispone il divieto di conversione, si è affermato da tempo che nel pubblico impiego privatizzato alla violazione di disposizioni imperative che riguardino l'assunzione, sia a seguito di pubblico concorso sia attingendo alle liste di collocamento, non può mai far seguito la costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato. La ratio del cit. art. 36, comma 5, non risiede esclusivamente nel rispetto delle regole del pubblico concorso, ma anche, più in generale, nel rispetto del principio cardine del buon andamento della P.A., che sarebbe pregiudicato qualora si addivenisse all'immissione in ruolo senza alcuna valutazione dei fabbisogni di personale e senza seguire le linee di programmazione nelle assunzioni che sono indispensabili per garantire efficienza ed economicità dell'amministrazione pubblica (ex plurimis, cfr. la recentissima Cass. n. 22458/2021). Insomma, si è a più riprese sottolineato come il fondamento del divieto di conversione si rinviene, per un verso, nel principio del pubblico concorso e, per altro verso, nel rispetto delle regole ancor più generali di garanzia di prevedibilità ed uniformità nelle assunzioni tutte da parte delle pubbliche amministrazioni, quand'anche esse avvengano senza concorso, attraverso i centri per l'impiego, in armonia ed in osservanza con le regole costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione e di rispetto delle esigenze di contenimento, controllo e razionalizzazione della spesa pubblica (vedi Cass. n. 24806/2015). Deve quindi ribadirsi, sulla scorta di quanto innanzi, che la regola del divieto di conversione non soffre alcuna eccezione, applicandosi anche nelle ipotesi in cui per l'assunzione non sia prevista una procedura concorsuale (in senso conforme, o tre alla già citata Cass. n. 22458/2021, si vedano anche Cass. n. 8671/2019, Cass. n. 6097/2020, Cass. n. 11537/2020 e Cass. n. 25223/2020). Nel dettaglio, nelle indicate pronunzie si è evidenziato che nel pubblico impiego contrattualizzato anche per i rapporti di lavoro a termine delle P.P.A.A. mediante avviamento degli iscritti al collocamento ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 165 del 2001, si applica l'art. 36, comma 5, del medesimo decreto e, quindi, il divieto di trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, in caso di abusiva reiterazione, poiché anche in detto ambito vanno salvaguardati quei medesimi principi di buon andamento, imparzialità, ed efficienza dell'amministrazione che sottendono anche la regola del pubblico concorso. L'affermata impossibilità di costituzione di rapporti di pubblico impiego a tempo indeterminato in conseguenza della illegittima reiterazione dei contratti a termine non si pone in contrasto nemmeno con la normativa dell'Unione europea. Ci si pone qui in linea di armonica valorizzazione dei principi enunziati dalle Sezioni Unite in Cass. n. 5072 del 2016, dalla Corte costituzionale nella pronunzia n. 89/2003 e nella più recente 248/2018, dalla Corte di Giustizia in sentenza C-53/04 in causa Marrosu e Sardino del 2006 e in C- 494 in causa Santoro del 2016, pronunzie tutte che ben consentono di escludere qualsivoglia profilo di contrasto con le norme costituzionali e con il diritto dell'Unione. Si è infatti ribadita sia l'impossibilità di conversione per tutto il settore pubblico, sia la costante interpretazione della clausola 5 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, che non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purché sia prevista, com'è nella specie con il rimedio risarcitorio, altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare, e se del caso a sanzionare, il ricorso abusivo alla reiterazione dei contratti a termine. Infine, è del tutto infondato l'assunto di parte ricorrente secondo cui vi sarebbe stata l'abrogazione implicita dell'art. 36 del T.U. del pubblico impiego in virtù del successivo d.lgs. n. 368 del 2001. Il testo unico del pubblico impiego contrattualizzato costituisce, infatti, un corpus normativo speciale, in quanto tale prevalente sulle norme generali successive (si veda anche Cass. n. 392/2012).
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