Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/07/2019, n. 18830
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nunciato la seguente SENTENZA sul ricorsoricorso 185-2018 proposto da: ITALGEN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo studio dell'avvocato I C, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati E CE e MARIA SIMONETTA MOLLICA STRANEO;- ricorrente -contro REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell'avvocato C B, rappresentata e difesa dall'avvocato M C;- con troricorrente - avverso la sentenza n. 178/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 07/09/2017. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2019 dal Consigliere FRANCESCO M C;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale L C, che ha concluso per il rigetto del ricorso;uditi gli avvocati E C e C B per delega dell'avvocato M C. FATTI DI CAUSA 1. La s.p.a. Italgen convenne in giudizio la Regione Lombardia, davanti al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Milano, chiedendo in via principale che fosse riconosciuto il suo diritto al prolungamento della durata di una concessione di derivazione di acqua pubblica, per il periodo di sessant'anni, a decorrere dal 10 gennaio 1996, ovvero per il termine inferiore ritenuto di giustizia;in via subordinata, la società chiese che fosse accertato il suo diritto al rinnovo della concessione per un periodo di trent'anni a decorrere dal 31 dicembre 2010;in via ulteriormente subordinata, infine, che fosse riconosciuto il carattere illecito del mancato perfezionamento della procedura di prolungamento o di rinnovo della concessione stessa per causa imputabile all'amministrazione, con conseguente condanna generica al risarcimento dei relativi danni. Ric. 2018 n. 00185 sez. SU - ud. 04-06-2019 -2- Si costituì in giudizio la Regione convenuta, chiedendo il rigetto di tutte le domande. Il TRAP rigettò tutte le domande, condannando la società attrice al pagamento delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata impugnata dalla società soccombente e il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con sentenza del 7 settembre 2017, ha rigettato l'appello ed ha condannato l'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. 2.1. Ha premesso il TSAP che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 3 novembre 2016, n. 22235, hanno stabilito che le previsioni di scadenza contenute nell'art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, sono da intendere riferite a tutte le concessioni di derivazione a scopo idroelettrico, avendo il d.lgs. n. 79 carattere attuativo della direttiva 96/92/CE, finalizzata alla liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica. In quella pronuncia è stato anche stabilito che le concessioni scadute non potevano ritenersi automaticamente prolungate (per la durata di sessant'anni) per effetto della disposizione di cui all'art. 24, comma 6, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, nel testo modificato dall'art. 24 della legge 25 agosto 1991, n. 282;ciò perché l'art. 16 del decreto legislativo 30 gennaio 1999, n. 36, prevede che l'art. 24 della legge n. 282 del 1991 resti in vigore fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della direttiva 96/92/CE (che è, appunto, il d.lgs. n. 79 del 1999). Da tale sentenza delle Sezioni Unite il TSAP ha fatto discendere la conseguenza che il d.lgs. n. 79 del 1999, nel modificare in modo radicale il mercato dell'energia, ha dettato un'apposita disciplina transitoria che prevede la proroga al 31 dicembre 2010 delle concessioni scadute o in scadenza per quella data, «senza necessità di alcun atto amministrativo». Ragione per cui dovrebbe ritenersi Ric. 2018 n. 00185 sez. SU - ud. 04-06-2019 -3- precluso, secondo il TSAP, ogni «meccanismo di proroga convenzionale, che eluderebbe il principio di concorrenza». 2.2. Tanto premesso, il TSAP è passato all'esame dei singoli motivi di appello. 2.3. Il primo è stato ritenuto infondato. Il TSAP ha infatti osservato che la circostanza, invocata dalla parte appellante, secondo cui vi sarebbe stata una convenzione aggiuntiva con l'ENEL, trasmessa anche ai Ministeri competenti - tale da integrare l'ipotesi di cui all'art. 24, comma 6, ultima parte della legge n. 9 del 1991, con conseguente prolungamento della concessione disposto con decreto ministeriale - non aveva valenza decisiva. I documenti in questione, infatti, non potevano comunque sostituire «il necessario provvedimento amministrativo di prolungamento della concessione idroelettrica, nella specie mancante». Tale atto non avrebbe contenuto vincolato, dovendo sempre l'amministrazione valutare il pubblico interesse rilevante;né la società Italgen aveva impugnato il diniego di emanazione del provvedimento di prolungamento o il silenzio dell'amministrazione su questo punto. 2.4. Il secondo motivo, avente ad oggetto la presunta violazione dell'art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 nella sua formulazione originaria, è stato pure ritenuto infondato. Ha osservato il TSAP che era priva di fondamento la tesi della società appellante secondo cui l'art. 12 doveva essere interpretato - almeno fino all'entrata in vigore delle modifiche disposte dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 - nel senso che la proroga della concessione poteva perfezionarsi senza necessità di un provvedimento amministrativo. Vero sarebbe invece, secondo il TSAP, che l'emanazione di tale provvedimento era da ritenere comunque necessaria, e che quel provvedimento nella specie non era stato «mai emanato»;la Giunta regionale, anzi, aveva inteso avvalersi della facoltà di cui all'art. 25 del t.u. acque e con successiva delibera aveva Ric. 2018 n. 00185 sez. SU - ud. 04-06-2019 -4- autorizzato la prosecuzione temporanea fino al 31 dicembre 2015. D'altra parte, la normativa europea attuata col d.lgs. n. 79 del 1999 esclude proprio che possa essere attribuita al concessionario una proroga in modo tale da ledere il principio di concorrenza. 2.5. Sulla base delle argomentazioni fin qui riportate il TSAP ha poi rigettato anche il terzo motivo di appello, rilevando che la domanda di risarcimento dei danni avrebbe potuto trovare accoglimento solo in presenza di un «colpevole ritardo dell'amministrazione nell'emanazione del provvedimento di prolungamento»;ma, non essendo dovuta tale emanazione, il comportamento dell'amministrazione non poteva ritenersi sintomo di una colpevole inerzia. 3. Contro la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche propone ricorso la Italgen s.p.a. con atto affidato a quattro motivi e affiancato da memoria. Resiste la Regione Lombardia con controricorso. JAL Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni per iscritto, \ chiedendo il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 24, comma 6, della legge n. 9 del 1991, come modificato dalla legge n. 282 del 1991, nonché ingiusta applicazione dell'art. 31 del codice del processo amministrativo (decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104). Osserva la società ricorrente, dopo aver sunteggiato la motivazione resa dal TSAP per rigettare il primo motivo di appello, che la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto che fosse necessario un provvedimento amministrativo allo scopo di prolungare la concessione. A norma dell'art. 24, comma 6, cit., infatti, in caso di rinuncia da parte dell'ENEL, il prolungamento è disposto, sempre che non vi ostino ragioni di pubblico interesse, con decreto ministeriale;in altri termini, il Ministro (e oggi, al posto suo, Ric. 2018 n. 00185 sez. SU - ud. 04-06-2019 -5- la Regione) avrebbe il dovere di emanare il provvedimento, sia esso positivo o negativo, con conseguente insorgenza di un diritto soggettivo in capo all'interessato. Ne consegue che sarebbe errato il richiamo contenuto nella sentenza impugnata all'art. 31 c.p.a. (impugnativa contro il silenzio), perché l'obbligo di impugnazione è previsto in relazione alla violazione dell'interesse legittimo alla conclusione del procedimento amministrativo;poiché, al contrario, il prolungamento della concessione è concepito «come un diritto del concessionario», la società ricorrente rileva che non sussisteva, a suo carico, l'onere di impugnare il silenzio dell'amministrazione. 1.1. Il motivo non è fondato. 1.2. È necessario premettere il richiamo ad alcuni essenziali passaggi normativi. L'art. 25 del t.u. acque (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775) stabilì che nelle grandi concessioni di derivazione, al termine dell'utenza e nei casi di decadenza o rinuncia, «passano in proprietà dello Stato, senza compenso, tutte le opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell'acqua, le condotte forzate e i canali di scarico». L'esercizio di tale facoltà era subordinato (art. 25, terzo comma) al preavviso agli interessati, da parte dello Stato, da esercitare tre anni prima del termine dell'utenza. Realizzata, molti anni dopo, la nazionalizzazione dell'energia elettrica, l'art. 9 del d.P.R. 18 marzo 1965, n. 342, dispose (al quinto comma) che l'ENEL subentrasse «in tutti i diritti, poteri e oneri conferiti allo Stato dall'art. 25 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775», per cui i poteri che erano in precedenza spettanti allo Stato furono trasferiti in capo all'Ente espressamente creato per la gestione dell'energia elettrica. Successivamente intervenne la legge 7 agosto 1982, n. 529, la quale contiene una precisa regolazione dei passaggi che seguono alla scadenza delle grandi concessioni di derivazione di acque pubbliche. Ric. 2018 n. 00185 sez. SU - ud. 04-06-2019 -6- In particolare, l'art. 1 dispone che il trasferimento in proprietà dell'ENEL delle opere di presa e di derivazione è condizionato, appunto, all'esercizio della facoltà prevista dal citato art. 25 e dal citato art.
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