Cass. civ., SS.UU., sentenza 16/06/2005, n. 12871
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. CORONA Rafaele - Presidente di sezione -
Dott. DUVA Vittorio - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. PREDEN Roberto - Consigliere -
Dott. VARRONE Michele - Consigliere -
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - rel. Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
Dott. CICALA Mario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI ANDRIA, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 31, presso lo studio dell'avvocato CAPUTI JAMBRENGHI Vincenzo, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
A.T.I. COGEFAR-IMPRESIT MILANO S.P.A., S.C.S. SISTEMI COSTRUTTIVI SUD BARI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 88, presso lo studio dell'avvocato RECCHIA Giorgio, che la rappresenta e a, difende unitamente all'avvocato ANNA PATRIZIA DAMATO, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 326/01 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 23/04/01;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 05/05/05 dal Consigliere Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI;
udito l'Avvocato Vincenzo CAPUTI JAMBRENGHI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 10 giugno 1996 l'Associazione temporanea di imprese tra la Cogefar- Impresit s.p.a. e la S.C.S. Sistemi Costruttivi Sud s.r.l. (di seguito A.T.I.) notificava domanda di arbitrato al Comune di Andria"ai sensi dell'art. 32 della legge 11 febbraio 1994 n. 109, così come modificato dall'art. 9 bis legge 2 giugno 1995 n. 216", richiamandosi all'art. 16 della convenzione stipulata tra le parti il 22 gennaio 1991 per la disciplina delle concessioni aventi ad oggetto la progettazione e la costruzione di due edifici scolastici, la fornitura degli arredi e delle attrezzature e la realizzazione delle opere accessorie, di cui alla delibera di giunta n. 2001 del 30 novembre 1990. L'istante formulava una serie di pretese economiche relative ai danni subiti ed ai maggiori oneri maturati nel corso dell'esecuzione dei lavori per cause imputabili al Comune. Con successivo atto integrativo notificato il 10 marzo 1997 l'ATI avanzava ulteriori pretese.
Il Comune deduceva l'improponibilità dell'arbitrato e P incompetenza degli arbitri sotto vari profili e resisteva nel merito alle pretese avversarie.
Con lodo non definitivo del 4 agosto 1997 il collegio arbitrale, costituitosi nella forma triumvirale di cui al testo novellato dell'art. 32 della legge n. 109 del 1994, disattendeva le eccezioni preliminari del Comune e rigettava le domande di cui ai primi quattro quesiti dell'atto di accesso. Con lodo definitivo pronunciato il 19 febbraio 1998 accoglieva parzialmente le domande dell'A.T.I. fino alla concorrenza di L. 2.304.992.388, oltre accessori. Proposta impugnazione dal Comune avverso entrambe le decisioni arbitrali ed impugnazione incidentale dall'A.T.I. dinanzi alla Corte di Appello di Bari, con sentenza del 12 febbraio - 28 aprile 2001 detta Corte rigettava entrambi i gravami, affermando in motivazione che la convenzione a suo tempo stipulata dalle parti prevedeva espressamente che le eventuali controversie sarebbero state risolte da un collegio arbitrale, pur non dettando regole specifiche per la costituzione del collegio;
che l'art. 32 della legge n. 109 del 1994, così come riformulato dall'art. 9 bis della legge n. 216 del 1995, si applicava anche alle controversie relative a lavori appaltati o affidati in concessione prima della sua entrata in vigore;
che conseguentemente il ricorso alle norme del codice di rito, anziché a quelle di cui al d.p.r. n. 1063 del 1962, e all'art. 61 della legge regionale della Puglia n. 27 del 1985 era stato legittimo;
che,
essendo state le concessioni espressamente equiparate agli appalti ai fini della tutela giurisdizionale ai sensi dell'art. 31 bis della legge n. 109 del 1994, doveva essere escluso ogni contrasto della
clausola compromissoria con le previsioni dell'art. 5 della legge n.1034 del 1971, onde detta clausola era da ritenere pienamente valida.
Affermava altresì l'inammissibilità dei motivi rivolti all'accoglimento delle domande dell'A.T.I., nonché di quelli formulati nell'impugnazione incidentale, in quanto si sostanziavano nella v;
deduzione di errata valutazione nel merito di specifiche circostanze fattuali.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Comune di Andria, in persona del direttore generale Vito Ruggirai, deducendo quattro motivi, cui resisteva l'A.T.I..
Nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c. l'A.T.I.. eccepiva l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione processuale, per avere il Comune agito in giudizio in persona di un organo privo del potere di assumerne la rappresentanza e di conferire il mandato difensivo. Nella propria memoria il Comune resisteva a tale eccezione.
Con ordinanza n. 7663 del 2004 il Collegio della 1^ sezione civile, rilevata l'esigenza di una rinnovata riflessione - sulla base delle incisive modifiche sopravvenute, anche per effetto della revisione costituzionale, nell'ordinamento degli enti locali, e tenuto anche conto che l'attribuzione statutaria dei poteri di rappresentanza in giudizio a soggetti diversi dal sindaco risponde ad una prassi ormai diffusa - sui rapporti tra fonti statali e locali circa la disciplina delle modalità di costituzione in giudizio dei Comuni, rimetteva gli atti al primo Presidente perché valutasse l'opportunità di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.
Il ricorso era quindi assegnato a queste Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374 comma 2 c.p.c., in ragione della particolare importanza della questione che esso prospetta.
Entrambe le parti infine depositavano ulteriori memorie. MOTIVI DELLA DECISIONE
Come risulta dalla esposizione in fatto che precede, queste Sezioni Unite sono state investite della questione, considerata di particolare importanza, se nel nuovo ordinamento delle autonomie locali la rappresentanza processuale del Comune competa in via esclusiva al sindaco per scelta inderogabile del legislatore statale, e più specificamente se lo statuto dell'ente locale possa prevedere, nel disciplinare i modi di esercizio della rappresentanza in giudizio dell'ente, che i poteri di rappresentanza processuale spettino, in luogo del sindaco, ai dirigenti nell'ambito dei rispettivi settori di competenza ovvero ad altri soggetti, esponenti della struttura burocratico-amministrativa del Comune.
Su tale questione la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a sezioni unite, è pervenuta a conclusioni non univoche. Secondo l'orientamento decisamente prevalente la rappresentanza in giudizio del Comune deve considerarsi riservata, in base all'art. 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decr. legisl, n. 267 del 2000, così come in base al precedente art. 36 della legge n. 142 del 1990, esclusivamente al sindaco e non può
essere esercitata dal degente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio neppure se ciò sia previsto dallo statuto:
conseguentemente, ove lo statuto o il regolamento contengano una previsione siffatta, essi devono essere disapplicati dal giudice ordinario, in ragione della loro illegittimità per violazione di legge (così, tra le altre, Cass. 2003 n. 1949;
2003 n. 2583;
2003 n. 2878;
2003 n. 3736;
2003 n. 17360;
2003 n. 19082;
2004 n. 10787;
2004 n. 15634;
2004 n. 18087). Tali decisioni si fondano, pur nella non completa identità del relativo percorso argomentativo, su una serie di convergenti considerazioni: in primo luogo si rileva che il preciso disposto dell'art. 50 del testo unico di cui al decr. legisl n. 267 del 2000, il quale riserva al sindaco il potere - dovere di rappresentare il Comune in giudizio, non può subire deroga attraverso il conferimento del potere rappresentativo ad altri soggetti ad opera dell'autonomia normativa comunale. Si osserva inoltre che i poteri di direzione degli uffici e dei servizi attribuiti ai dirigenti dall'art. 107 dello stesso testo unico, includenti quello di adottare atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno e quello di stipulare contratti, non ricomprendono il potere di rappresentanza processuale dell'ente, che non costituisce oggetto di menzione nella analitica elencazione contenuta in detta disposizione. Si rileva ancora che l'art. 6 comma 2 del testo unico consente al Comune di disciplinare con lo statuto il regime delle autorizzazioni a promuovere o a resistere alle liti, in quanto attinente ai modi con i quali la rappresentanza va esercitata, ma non anche di individuare i soggetti che possono rappresentare l'ente in giudizio: si richiama a giustificazione di una limitazione siffatta della potestà statutaria il principio della gerarchia delle fonti, il quale non consente che lo statuto possa sottrarre quel potere all'organo cui il legislatore, avvalendosi delle sue prerogative, ha inteso in via esclusiva affidarlo.
Secondo un diverso e minoritario orientamento lo statuto comunale può legittimamente prevedere che i poteri di rappresentanza processuale spettino ad un dirigente comunale in luogo del sindaco:
in tal senso si è espressa Cass. 2002 n. 4845, che ha affermato che la legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza dell'ente, che compete in via primaria al sindaco, può appartenere al segretario generale, nella sua qualità di dirigente di ufficio dirigenziale generale, solo in quanto derivi da una norma dello statuto o del regolamento comunale o sia stata attribuita dallo stesso sindaco, ed ha precisato che la norma di cui all'art. 16 del decr. legisl. 3 febbraio 1993 n 29, sostituito prima dall'art. 9 del decr. legisl. n. 546