Cass. pen., sez. I, sentenza 16/02/2023, n. 06604
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Cacciatore A A nato a B il 29/05/1989 avverso la sentenza del 24/11/2021 della Corte di assise di appello di B visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere A T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M D M, che ha concluso chiedendo dichiararsi l' inammissibilità del ricorso;
uditi per il ricorrente gli avvocati V D e V V A, che si sono richiamati ai motivi del ricorso, chiedendone l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di B, con sentenza del 6 ottobre 2020, ha dichiarato A A Cacciatore colpevole del delitto di omicidio volontario, commesso in danno di R L in Barletta il 15 gennaio 2019 e del connesso delitto di ricezione, detenzione e porto in luogo pubblico della pistola con matricola abrasa, quindi clandestina e di provenienza delittuosa, utilizzata per eseguire l'omicidio, e, previa esclusione della premeditazione, ritenute l'aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. limitatamente al profilo dell'impiego del metodo mafioso e la recidiva contestate, riconosciuta la continuazione tra i reati e applicata la diminuente del rito, lo ha condannato alla pena di anni venti di reclusione, applicando le pene accessorie di legge e disponendo la confisca e la distruzione dell'arma in sequestro.
2. Con sentenza del 24 novembre 2021 la Corte di assise di appello di B, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dall'imputato, ha concesso le circostanze attenuanti generiche e ha disapplicato la recidiva, rideterminando la pena in anni diciotto di reclusione.
2.1. La Corte, limitando il suo esame alle questioni devolute, ha innanzitutto giudicato non condivisibili le doglianze riguardanti la ritenuta aggravante del metodo mafioso. Richiamata la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Chioccini n. 8545/2020) sulla natura della indicata aggravante che «si caratterizza e si esaurisce per le modalità dell'azione», mutuate dall'organizzazione mafiosa, a prescindere da qualsiasi legame con la stessa dell'autore dell'illecito, ha sintetizzato gli elementi evidenziati dal giudice di primo grado (avere agito a volto scoperto, platealità dell'azione, caratura criminale della vittima, contesto del fatto), e dallo stesso reputati, senza puntare sulle semplici caratteristiche soggettive dello stesso autore, di univoca valenza mafiosa. Nel condividere la correttezza della decisione, ha evidenziato le circostanze fattuali giustificative del previsto aggravamento di pena, escludendo che potessero incidere sulla valutazione da svolgersi i fattori successivi rispetto alla condotta criminosa, per la rilevanza da riservarsi alla sua idoneità in concreto ex ante, e ha prospettato, in esito all'analisi globale degli elementi valorizzati, il conclusivo giudizio di infondatezza della richiesta di esclusione dell'aggravante.
2.2. La Corte, accolta la richiesta di disapplicazione della contestata recidiva, ha, poi, ritenuto concedibili in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche, incidenti con effetto limitato sulla determinazione finale della pena.
3. Avverso detta sentenza ha presentato ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, l'imputato, che ne chiede l'annullamento sulla base di due motivi. Con il primo motivo si denunciano, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione dell'art. 416-bis.1 cod. pen. per mancata configurazione del metodo mafioso e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. 2 I Secondo il ricorrente, il percorso logico seguito dalla Corte di assise di appello presenta criticità e incoerenze, poiché la configurazione dell'aggravante contestata comporta una verifica in termini di oggettività concreta della condotta, mentre la sentenza ha svolto una incoerente e scoordinata analisi critica degli elementi indizianti, quali l'avere agito a volto scoperto, non sintomatico di ricercata impunità ovvero di provocazione di assoggettamento psicologico, avuto riguardo alla collaborazione dei presenti alla identificazione del veicolo utilizzato e dell'autore del fatto e alla immediata costituzione di questi alle forze dell'ordine;
la platealità dell'evento, unita alla identità della vittima e al contesto delittuoso, non sufficiente in mancanza del nesso eziologico immediato tra la condotta criminosa e il fine cui essa tende;
la posizione dell'imputato e il suo collegamento con ambienti criminali, essendo rimaste indimostrate l'esistenza del clan Cannito e la partecipazione allo stesso dell'imputato. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della illogicità della motivazione con riguardo alla mancata concessione della massima estensione della riduzione della pena per l'avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La denunciata illogicità attiene all'affermata mancata rappresentazione del movente, da lui invece ampiamente rappresentato in sede di interrogatorio e ricondotto alla discussione intercorsa con il figlio della vittima, senza che rilevi la causa della discussione;
al fatto che egli è stato attinto da ordinanza cautelare, annullata in sede di riesame;
all'escluso incontro casuale della vittima, essendo stata esclusa la premeditazione e avendo dichiarato il conducente dell'auto, su cui viaggiava la vittima, di non avere notato alcuna auto che lo seguiva.
4. Nell'interesse dell'imputato sono stati depositati motivi nuovi, che hanno ripreso le ragioni della contestata sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso ulteriormente esplicate, nelle incorse illogicità motivazionali, per la carenza di un coerente confronto con le risultanze processuali presenti in atti e di una corretta applicazione della normativa di riferimento, che richiede un'analisi in concreto e nel dettaglio delle specifiche modalità di realizzazione del reato con particolare riguardo agli aspetti della intimidazione e della coazione psicologica della persona offesa, mentre l'azione posta in essere «ha rappresentato un impulso non programmatico a qualsivoglia preordinazione di fondo», sì da non potersi evocare alcun "prestigio criminale" anche e soprattutto verso la collettività presente.
5. I difensori dell'imputato ricorrente hanno avanzato richiesta di discussione orale con istanze trasmesse in termini a mezzo di posta elettronica certificata, ai sensi del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, e successive proroghe. In data odierna, procedendosi a discussione orale, le parti hanno concluso nei termini riportati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che il ricorso, che sviluppa censure infondate ovvero non consentite o generiche, non meriti accoglimento.
2. Il primo motivo (sostenuto anche con i citati motivi aggiunti), relativo all'aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso di cui all'art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. (già art. 7 d.l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991), è destituito di fondamento.
2.1. Si rileva che la Corte di appello,
udita la relazione svolta dal consigliere A T;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M D M, che ha concluso chiedendo dichiararsi l' inammissibilità del ricorso;
uditi per il ricorrente gli avvocati V D e V V A, che si sono richiamati ai motivi del ricorso, chiedendone l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di B, con sentenza del 6 ottobre 2020, ha dichiarato A A Cacciatore colpevole del delitto di omicidio volontario, commesso in danno di R L in Barletta il 15 gennaio 2019 e del connesso delitto di ricezione, detenzione e porto in luogo pubblico della pistola con matricola abrasa, quindi clandestina e di provenienza delittuosa, utilizzata per eseguire l'omicidio, e, previa esclusione della premeditazione, ritenute l'aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. limitatamente al profilo dell'impiego del metodo mafioso e la recidiva contestate, riconosciuta la continuazione tra i reati e applicata la diminuente del rito, lo ha condannato alla pena di anni venti di reclusione, applicando le pene accessorie di legge e disponendo la confisca e la distruzione dell'arma in sequestro.
2. Con sentenza del 24 novembre 2021 la Corte di assise di appello di B, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dall'imputato, ha concesso le circostanze attenuanti generiche e ha disapplicato la recidiva, rideterminando la pena in anni diciotto di reclusione.
2.1. La Corte, limitando il suo esame alle questioni devolute, ha innanzitutto giudicato non condivisibili le doglianze riguardanti la ritenuta aggravante del metodo mafioso. Richiamata la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Chioccini n. 8545/2020) sulla natura della indicata aggravante che «si caratterizza e si esaurisce per le modalità dell'azione», mutuate dall'organizzazione mafiosa, a prescindere da qualsiasi legame con la stessa dell'autore dell'illecito, ha sintetizzato gli elementi evidenziati dal giudice di primo grado (avere agito a volto scoperto, platealità dell'azione, caratura criminale della vittima, contesto del fatto), e dallo stesso reputati, senza puntare sulle semplici caratteristiche soggettive dello stesso autore, di univoca valenza mafiosa. Nel condividere la correttezza della decisione, ha evidenziato le circostanze fattuali giustificative del previsto aggravamento di pena, escludendo che potessero incidere sulla valutazione da svolgersi i fattori successivi rispetto alla condotta criminosa, per la rilevanza da riservarsi alla sua idoneità in concreto ex ante, e ha prospettato, in esito all'analisi globale degli elementi valorizzati, il conclusivo giudizio di infondatezza della richiesta di esclusione dell'aggravante.
2.2. La Corte, accolta la richiesta di disapplicazione della contestata recidiva, ha, poi, ritenuto concedibili in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche, incidenti con effetto limitato sulla determinazione finale della pena.
3. Avverso detta sentenza ha presentato ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, l'imputato, che ne chiede l'annullamento sulla base di due motivi. Con il primo motivo si denunciano, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione dell'art. 416-bis.1 cod. pen. per mancata configurazione del metodo mafioso e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. 2 I Secondo il ricorrente, il percorso logico seguito dalla Corte di assise di appello presenta criticità e incoerenze, poiché la configurazione dell'aggravante contestata comporta una verifica in termini di oggettività concreta della condotta, mentre la sentenza ha svolto una incoerente e scoordinata analisi critica degli elementi indizianti, quali l'avere agito a volto scoperto, non sintomatico di ricercata impunità ovvero di provocazione di assoggettamento psicologico, avuto riguardo alla collaborazione dei presenti alla identificazione del veicolo utilizzato e dell'autore del fatto e alla immediata costituzione di questi alle forze dell'ordine;
la platealità dell'evento, unita alla identità della vittima e al contesto delittuoso, non sufficiente in mancanza del nesso eziologico immediato tra la condotta criminosa e il fine cui essa tende;
la posizione dell'imputato e il suo collegamento con ambienti criminali, essendo rimaste indimostrate l'esistenza del clan Cannito e la partecipazione allo stesso dell'imputato. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della illogicità della motivazione con riguardo alla mancata concessione della massima estensione della riduzione della pena per l'avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La denunciata illogicità attiene all'affermata mancata rappresentazione del movente, da lui invece ampiamente rappresentato in sede di interrogatorio e ricondotto alla discussione intercorsa con il figlio della vittima, senza che rilevi la causa della discussione;
al fatto che egli è stato attinto da ordinanza cautelare, annullata in sede di riesame;
all'escluso incontro casuale della vittima, essendo stata esclusa la premeditazione e avendo dichiarato il conducente dell'auto, su cui viaggiava la vittima, di non avere notato alcuna auto che lo seguiva.
4. Nell'interesse dell'imputato sono stati depositati motivi nuovi, che hanno ripreso le ragioni della contestata sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso ulteriormente esplicate, nelle incorse illogicità motivazionali, per la carenza di un coerente confronto con le risultanze processuali presenti in atti e di una corretta applicazione della normativa di riferimento, che richiede un'analisi in concreto e nel dettaglio delle specifiche modalità di realizzazione del reato con particolare riguardo agli aspetti della intimidazione e della coazione psicologica della persona offesa, mentre l'azione posta in essere «ha rappresentato un impulso non programmatico a qualsivoglia preordinazione di fondo», sì da non potersi evocare alcun "prestigio criminale" anche e soprattutto verso la collettività presente.
5. I difensori dell'imputato ricorrente hanno avanzato richiesta di discussione orale con istanze trasmesse in termini a mezzo di posta elettronica certificata, ai sensi del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, e successive proroghe. In data odierna, procedendosi a discussione orale, le parti hanno concluso nei termini riportati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte ritiene che il ricorso, che sviluppa censure infondate ovvero non consentite o generiche, non meriti accoglimento.
2. Il primo motivo (sostenuto anche con i citati motivi aggiunti), relativo all'aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso di cui all'art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. (già art. 7 d.l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991), è destituito di fondamento.
2.1. Si rileva che la Corte di appello,
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