Cass. pen., sez. II, sentenza 28/04/2023, n. 17937
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da C L, nato a Villaricca il 5 gennaio 1959 C D, nato a Mugnano di Napoli il 10 agosto 1969 M V, nato a Villaricca il 3 dicembre 1966 M C, nato a Giugliano in Campania il 13 gennaio 1963 M P, nato a Villaricca il 14 ottobre 1964 avverso la sentenza n. 3664/2021 della Corte d'Appello di Napoli del 22 aprile visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita nella pubblica udienza del 19 gennaio 2023 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina A R P;
udito il Sostituto Procuratore Generale E C, che ha concluso chiedendo di rigettare i ricorsi L C, D C, C M e P M e di dichiarare l'inammissibilità del ricorso di V M;
uditi l'avv. R C, difensore di L C, P T, difensore di V M, l'avv. C M, difensore di D C, e l'avv. M M, difensore di C M, che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del - 22 aprile 2021 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 27 ottobre 2017 dal Tribunale di Napoli, con cui L C, D C, V M, C M e P M sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen., per aver partecipato, ciascuno nella consapevolezza della rilevanza causale del proprio apporto, ad un'associazione di tipo mafioso, denominata clan F - C, che, operando sull'intera area del Comune di Villaricca e altrove, si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà, che ne deriva, al fine di ottenere, in particolare, il controllo delle attività economiche in interi settori imprenditoriali e commerciali, l'acquisizione di appalti e servizi pubblici, il rilascio di concessioni amministrative, il reinvestimento speculativo di capitali, illecitamente accumulati, in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali, la garanzia di impunità degli affiliati e l'affermazione del controllo egemonico sul territorio, sia attraverso la contrapposizione con gruppi rivali, sia attraverso l'alleanza con altre organizzazioni limitrofe di tipo camorristico.
2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori degli imputati.
3. Il difensore di LUIGI CACCIAPUOTI ha dedotto i seguenti motivi:
3.1 nullità dell'ordinanza dibattimentale con cui è stata rigettata la richiesta dell'avv. Raffaele Quaranta di ascoltare testimoni a prova contraria sul medesimo tema su cui era stato sentito il maresciallo Eugenio Vicinante. Il rigetto in questione violerebbe gli artt. 603 e 495 cod. proc. pen.;
3.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge nonché vizi della motivazione, per avere la Corte territoriale aderito alle argomentazioni del Giudice di primo grado, senza dare risposta ai motivi di gravame. Il Collegio d'appello, nel delineare la nascita e l'operatività dell'associazione di cui all'imputazione, avrebbe valorizzato la sentenza relativa al triplice omicidio, avvenuto a Villaricca ai danni anche di D T, ma tale pronuncia darebbe all'omicidio una causale diversa da quella attribuita dalla Corte partenopea. Quest'ultima avrebbe trascurato che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sarebbero statt oggetto di attento scrutinio da parte del Tribunale del riesame e della sentenza di annullamento della Corte di cassazione, anche se in relazione alla posizione di D F. In tali pronunce si sarebbe dato atto dell'inesistenza del clan F - C e, quindi, apparirebbe paradossale un'affermazione di responsabilità nei confronti di L C a fronte dell'accertata inesistenza del sodalizio, di cui si asserisce essere il promotore. La Corte d'appello ha valorizzato episodi estorsivi, avendo però r/ trascurato che ella stessa li aveva ricondotti al clan dei casalesi, e con particolare riferimento al ricorrente C, ha affermato che i collaboratori di giustizia hanno attribuito al ricorrente un ruolo apicale all'interno del clan, quale partecipe agli episodi per l'acquisto di sostanze stupefacenti: reato, però, mai contestato all'imputato e sconfessato dalle pronunce intervenute in tema di reati di droga, commessi sul territorio di Villaricca, da cui emergerebbe l'assenza della contestazione dell'aggravante di cui all'art. 416 bis.1 cod. pen. e di elementi di raccordo tra l'imputato e le vicende di droga. Inoltre, il maresciallo S avrebbe fatto riferimento ad episodi rimasti a livello di mere suggestioni e le dichiarazioni di G C sarebbero generiche, essendosi egli limitato a una ricostruzione storica del clan F - C e del sistema di vendita delle sostanze stupefacenti, senza annoverare episodi specifici o riunioni, alle quali avrebbe preso parte. Egli avrebbe dichiarato di aver visto L C una sola volta e, dunque, le sue dichiarazioni avrebbero contenuto valutativo, basate su voci pubbliche, come dal medesimo precisato allorquando ha dichiarato di riferire ciò che gli è stato raccontato da malavitosi del suo paese. Anche le dichiarazioni di B D L, non precise e chiare, sarebbero propagazioni de relato ("ho saputo dai Cerullo"), non confermate dalla fonte diretta di conoscenza dei fatti. Il collaboratore G P avrebbe riconosciuto in foto l'effige di L C e l'avrebbe indicato quale capo clan di Villaricca ma avrebbe precisato di avere appreso ciò da A M;
avrebbe dichiarato di aver incontrato C e F insieme con A M e che oggetto dell'incontro sarebbe stata la definizione delle quote del C sulle puntate di hashish, veicolate da Moccia, ma non avrebbe indicato i termini dell'accordo, sebbene avesse riferito di aver assistito alla discussione;
ha aggiunto di aver avuto altri contatti con C sempre insieme al Moccia, senza però chiarire la natura degli stessi. Anche Alfonso Diana, nel riferire che l'imputato era inserito nell'organigramma del sodalizio criminoso facente capo a D F, avrebbe formulato mere deduzioni, prive di qualsiasi apporto probatorio e del riferimento a episodi decisivi. Nulla il menzionato Diana avrebbe riferito sul coinvolgimento del ricorrente nel traffico di sostanze stupefacenti, attribuitogli, invece, dagli altri collaboratori. Anche V G, non affiliato, avrebbe riferito circostanze generiche e avrebbe disegnato l'imputato come uomo senza scrupoli e riservatezza, mentre gli altri collaboratori lo avrebbero descritto come uomo riservato e con pochissimi rapporti anche con gli affiliati. Avrebbe, inoltre, appreso i fatti in quanto aveva vissuto a Villaricca e già da ragazzo frequentava "i bar che frequentavano loro". Peraltro, in sede di esame e controesame sarebbe emerso l'astio nei confronti degli imputati che lo avrebbero venduto ai giuglianesi. Allo stesso modo, anche il pentito Giuliano Pirozzi, pur premettendo che i rapporti tra il suo gruppo criminale e il clan F-- C sono molto stretti, non avrebbe precisato quali affari illeciti essi condividevano e avrebbe riferito dell'aggiudicazione delle aste immobiliari e della speculazione immobiliare in modo generico. Le dichiarazioni di D B sarebbero intervenute in un momento successivo rispetto a quelle degli altri, così che sarebbe vulnerato il requisito dell'indipendenza delle stesse dichiarazioni. Egli avrebbe narrato di riunioni tra i sodali, pur avendo dichiarato di non avervi mai partecipato. Alcun pregio sarebbe da attribuire alle dichiarazioni di D D S, avendo lo stesso riferito di avere appreso tutto ciò che ha riferito da F e D B. Mancherebbe, nel caso in esame, anche la forza di intimidazione che nasce dal vincolo associativo;
3.3 erronea interpretazione ed applicazione della legge per essere state riconosciute le aggravanti contestate sulla base delle generiche dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tutti appartenenti ad altre compagini camorristiche, che non avrebbero vissuto episodi specifici in prima persona. Posto poi che promotore è colui che svolge un'attività prima della nascita dell'associazione, nel caso del ricorrente, non potrebbe dirsi sussistente l'aggravante dell'essere stato promotore, poiché l'associazione sarebbe nata come clan F - C, laddove capo indiscusso sarebbe stato ritenuto D F e il suo braccio destro, in virtù del fatto di essere il cognato, L C. Il carattere armato dell'associazione sarebbe stato escluso dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avrebbero sottolineato la connotazione imprenditoriale del clan. Il ritrovamento di armi nella pertinenza dell'abitazione di C avrebbe portato all'assoluzione di D C e non sarebbe mai stato verificato se questo arsenale fosse stato utilizzato per commettere reati. Né si potrebbe desumere il carattere armato dell'associazione dall'essere P M stato trovato in possesso di due pistole, atteso che queste potrebbero essere di proprietà esclusiva di quest'ultimo;
3.4 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 62 bis e all'art. 133 cod. pen., per essere state negate le attenuanti generiche, senza fare riferimento ai criteri di cui al menzionato art. 133. 4. Il difensore di DOMENICO CICCARELLI ha dedotto i seguenti motivi:
4.1 nullità dell'ordinanza dibattimentale con cui è stata rigettata la richiesta dell'avv. Raffaele Quaranta di ascoltare testimoni a prova contraria sul medesimo tema su cui era stato sentito il m.11o Eugenio Vicinante. Al riguardo il ricorrente si è riportato all'eccezione sollevata dagli altri ricorrenti;
4.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge nonché vizi della motivazione, per avere la Corte territoriale aderito alle argomentazioni del giudice di primo grado, senza dare risposta ai motivi di gravame e senza compiere un'aggiornata verifica degli elementi richiamati., ritenuti esili nelle pronunce emesse - sulla base degli stessi elementi - nei confronti di F D, F F e Luigi C. La Corte di appello, al fine di superare i rilievi difensivi in ordine alle menzionate pronunce, avrebbe valorizzato le dichiarazioni del maresciallo S, delegato allo svolgimento delle indagini, rese all'udienza del 21 gennaio 2006, ma l'ufficiale di polizia giudiziaria avrebbe riferito su circostanze prive di valenza probatoria, non essendo stato in
udita nella pubblica udienza del 19 gennaio 2023 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina A R P;
udito il Sostituto Procuratore Generale E C, che ha concluso chiedendo di rigettare i ricorsi L C, D C, C M e P M e di dichiarare l'inammissibilità del ricorso di V M;
uditi l'avv. R C, difensore di L C, P T, difensore di V M, l'avv. C M, difensore di D C, e l'avv. M M, difensore di C M, che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del - 22 aprile 2021 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 27 ottobre 2017 dal Tribunale di Napoli, con cui L C, D C, V M, C M e P M sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen., per aver partecipato, ciascuno nella consapevolezza della rilevanza causale del proprio apporto, ad un'associazione di tipo mafioso, denominata clan F - C, che, operando sull'intera area del Comune di Villaricca e altrove, si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà, che ne deriva, al fine di ottenere, in particolare, il controllo delle attività economiche in interi settori imprenditoriali e commerciali, l'acquisizione di appalti e servizi pubblici, il rilascio di concessioni amministrative, il reinvestimento speculativo di capitali, illecitamente accumulati, in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali, la garanzia di impunità degli affiliati e l'affermazione del controllo egemonico sul territorio, sia attraverso la contrapposizione con gruppi rivali, sia attraverso l'alleanza con altre organizzazioni limitrofe di tipo camorristico.
2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori degli imputati.
3. Il difensore di LUIGI CACCIAPUOTI ha dedotto i seguenti motivi:
3.1 nullità dell'ordinanza dibattimentale con cui è stata rigettata la richiesta dell'avv. Raffaele Quaranta di ascoltare testimoni a prova contraria sul medesimo tema su cui era stato sentito il maresciallo Eugenio Vicinante. Il rigetto in questione violerebbe gli artt. 603 e 495 cod. proc. pen.;
3.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge nonché vizi della motivazione, per avere la Corte territoriale aderito alle argomentazioni del Giudice di primo grado, senza dare risposta ai motivi di gravame. Il Collegio d'appello, nel delineare la nascita e l'operatività dell'associazione di cui all'imputazione, avrebbe valorizzato la sentenza relativa al triplice omicidio, avvenuto a Villaricca ai danni anche di D T, ma tale pronuncia darebbe all'omicidio una causale diversa da quella attribuita dalla Corte partenopea. Quest'ultima avrebbe trascurato che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sarebbero statt oggetto di attento scrutinio da parte del Tribunale del riesame e della sentenza di annullamento della Corte di cassazione, anche se in relazione alla posizione di D F. In tali pronunce si sarebbe dato atto dell'inesistenza del clan F - C e, quindi, apparirebbe paradossale un'affermazione di responsabilità nei confronti di L C a fronte dell'accertata inesistenza del sodalizio, di cui si asserisce essere il promotore. La Corte d'appello ha valorizzato episodi estorsivi, avendo però r/ trascurato che ella stessa li aveva ricondotti al clan dei casalesi, e con particolare riferimento al ricorrente C, ha affermato che i collaboratori di giustizia hanno attribuito al ricorrente un ruolo apicale all'interno del clan, quale partecipe agli episodi per l'acquisto di sostanze stupefacenti: reato, però, mai contestato all'imputato e sconfessato dalle pronunce intervenute in tema di reati di droga, commessi sul territorio di Villaricca, da cui emergerebbe l'assenza della contestazione dell'aggravante di cui all'art. 416 bis.1 cod. pen. e di elementi di raccordo tra l'imputato e le vicende di droga. Inoltre, il maresciallo S avrebbe fatto riferimento ad episodi rimasti a livello di mere suggestioni e le dichiarazioni di G C sarebbero generiche, essendosi egli limitato a una ricostruzione storica del clan F - C e del sistema di vendita delle sostanze stupefacenti, senza annoverare episodi specifici o riunioni, alle quali avrebbe preso parte. Egli avrebbe dichiarato di aver visto L C una sola volta e, dunque, le sue dichiarazioni avrebbero contenuto valutativo, basate su voci pubbliche, come dal medesimo precisato allorquando ha dichiarato di riferire ciò che gli è stato raccontato da malavitosi del suo paese. Anche le dichiarazioni di B D L, non precise e chiare, sarebbero propagazioni de relato ("ho saputo dai Cerullo"), non confermate dalla fonte diretta di conoscenza dei fatti. Il collaboratore G P avrebbe riconosciuto in foto l'effige di L C e l'avrebbe indicato quale capo clan di Villaricca ma avrebbe precisato di avere appreso ciò da A M;
avrebbe dichiarato di aver incontrato C e F insieme con A M e che oggetto dell'incontro sarebbe stata la definizione delle quote del C sulle puntate di hashish, veicolate da Moccia, ma non avrebbe indicato i termini dell'accordo, sebbene avesse riferito di aver assistito alla discussione;
ha aggiunto di aver avuto altri contatti con C sempre insieme al Moccia, senza però chiarire la natura degli stessi. Anche Alfonso Diana, nel riferire che l'imputato era inserito nell'organigramma del sodalizio criminoso facente capo a D F, avrebbe formulato mere deduzioni, prive di qualsiasi apporto probatorio e del riferimento a episodi decisivi. Nulla il menzionato Diana avrebbe riferito sul coinvolgimento del ricorrente nel traffico di sostanze stupefacenti, attribuitogli, invece, dagli altri collaboratori. Anche V G, non affiliato, avrebbe riferito circostanze generiche e avrebbe disegnato l'imputato come uomo senza scrupoli e riservatezza, mentre gli altri collaboratori lo avrebbero descritto come uomo riservato e con pochissimi rapporti anche con gli affiliati. Avrebbe, inoltre, appreso i fatti in quanto aveva vissuto a Villaricca e già da ragazzo frequentava "i bar che frequentavano loro". Peraltro, in sede di esame e controesame sarebbe emerso l'astio nei confronti degli imputati che lo avrebbero venduto ai giuglianesi. Allo stesso modo, anche il pentito Giuliano Pirozzi, pur premettendo che i rapporti tra il suo gruppo criminale e il clan F-- C sono molto stretti, non avrebbe precisato quali affari illeciti essi condividevano e avrebbe riferito dell'aggiudicazione delle aste immobiliari e della speculazione immobiliare in modo generico. Le dichiarazioni di D B sarebbero intervenute in un momento successivo rispetto a quelle degli altri, così che sarebbe vulnerato il requisito dell'indipendenza delle stesse dichiarazioni. Egli avrebbe narrato di riunioni tra i sodali, pur avendo dichiarato di non avervi mai partecipato. Alcun pregio sarebbe da attribuire alle dichiarazioni di D D S, avendo lo stesso riferito di avere appreso tutto ciò che ha riferito da F e D B. Mancherebbe, nel caso in esame, anche la forza di intimidazione che nasce dal vincolo associativo;
3.3 erronea interpretazione ed applicazione della legge per essere state riconosciute le aggravanti contestate sulla base delle generiche dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tutti appartenenti ad altre compagini camorristiche, che non avrebbero vissuto episodi specifici in prima persona. Posto poi che promotore è colui che svolge un'attività prima della nascita dell'associazione, nel caso del ricorrente, non potrebbe dirsi sussistente l'aggravante dell'essere stato promotore, poiché l'associazione sarebbe nata come clan F - C, laddove capo indiscusso sarebbe stato ritenuto D F e il suo braccio destro, in virtù del fatto di essere il cognato, L C. Il carattere armato dell'associazione sarebbe stato escluso dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avrebbero sottolineato la connotazione imprenditoriale del clan. Il ritrovamento di armi nella pertinenza dell'abitazione di C avrebbe portato all'assoluzione di D C e non sarebbe mai stato verificato se questo arsenale fosse stato utilizzato per commettere reati. Né si potrebbe desumere il carattere armato dell'associazione dall'essere P M stato trovato in possesso di due pistole, atteso che queste potrebbero essere di proprietà esclusiva di quest'ultimo;
3.4 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 62 bis e all'art. 133 cod. pen., per essere state negate le attenuanti generiche, senza fare riferimento ai criteri di cui al menzionato art. 133. 4. Il difensore di DOMENICO CICCARELLI ha dedotto i seguenti motivi:
4.1 nullità dell'ordinanza dibattimentale con cui è stata rigettata la richiesta dell'avv. Raffaele Quaranta di ascoltare testimoni a prova contraria sul medesimo tema su cui era stato sentito il m.11o Eugenio Vicinante. Al riguardo il ricorrente si è riportato all'eccezione sollevata dagli altri ricorrenti;
4.2 inosservanza ed erronea applicazione della legge nonché vizi della motivazione, per avere la Corte territoriale aderito alle argomentazioni del giudice di primo grado, senza dare risposta ai motivi di gravame e senza compiere un'aggiornata verifica degli elementi richiamati., ritenuti esili nelle pronunce emesse - sulla base degli stessi elementi - nei confronti di F D, F F e Luigi C. La Corte di appello, al fine di superare i rilievi difensivi in ordine alle menzionate pronunce, avrebbe valorizzato le dichiarazioni del maresciallo S, delegato allo svolgimento delle indagini, rese all'udienza del 21 gennaio 2006, ma l'ufficiale di polizia giudiziaria avrebbe riferito su circostanze prive di valenza probatoria, non essendo stato in
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi