Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/12/2004, n. 23826

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/12/2004, n. 23826
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23826
Data del deposito : 23 dicembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Presidente aggiunto -
Dott. D V - Presidente di sezione -
Dott. P E - rel. Consigliere -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. D N L F - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro in carica;
UFFICIO DISTRETTUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE DI TORINO in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma alla via dei Portoghesi 12;



- ricorrenti -


contro
M G BTTISTA;



- intimato -


per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte in data 16 marzo 1998, depositata col n. 26/24/98 il 1 giugno 1998.
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23 settembre 2004 dal Relatore Cons. Dott. E P;

udito l'avv. M L G per i ricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P M, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Giovanni Battista Messina ricorse contro l'avviso di mora notificatogli il 7 novembre 1995, per il pagamento di lire 4.669.230, quale saldo dell'i.r.pe.f. per il 1985, deducendo la decadenza dell'amministrazione finanziaria, per non avere proceduto alla liquidazione delle imposte pretese "entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione" della dichiarazione, ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. 600/1973, e, comunque, "la prescrizione della iscrizione a ruolo dopo quasi nove anni".
La Commissione tributaria di primo grado di Torino accolse il ricorso, e, con la decisione indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha respinto il gravame dell'Amministrazione, rilevando che "l'azione dell'Ufficio II.DD. di Torino è stata esercitata fuori termine e non solo oltre quelli (brevi) previsti nel già citato art. 36-bis d.P.R. n. 600/73, ma anche fuori dai termini normali (5 anni) previsti per l'accertamento e la verifica della dichiarazione".
1.1.- Per la cassazione ricorre l'Amministrazione finanziaria, deducendo in ordine successivo:
1) "violazione e falsa applicazione degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600/73 e 16 del D.P.R. 636/72;
illogica e contraddittoria motivazione
circa un punto decisivo della controversia;
in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.", per tale via osservando, da un lato, che, nei casi di rettifica ex art. 36-bis citato si prescinde dall'avviso di accertamento, e che "la prima attività rilevante per il contribuente è costituita dalla iscrizione a ruolo dell'imposta dovuta";
e, dall'altro, che l'avviso di mora "può essere impugnato (oltre che per vizi suoi propri) anche per motivi inerenti alla pretesa tributaria, allorché esso non sia stato preceduto, come nella specie, dalla notifica dell'atto di, accertamento". 2) "violazione e falsa applicazione degli artt. 26-bis recte: 36-bis e 43 D.P.R. n. 600/73, dell'art. 17 D.P.R. n. 602/73;
omessa ed insufficiente motivazione in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.", così puntualizzando il carattere acceleratorio del termine
fissato nel ripetuto art. 36-bis e la sufficienza del rispetto del termine per l'iscrizione a ruolo.
1.2.- Non ha svolto attività difensiva l'intimato.
1.3.- La Sezione tributaria, con ordinanza n. 2729 del 21 febbraio 2003, ha sollecitato l'intervento delle Sezioni unite, segnalando il contrasto di recente manifestatosi nella giurisprudenza della stessa sezione semplice in ordine alla natura del termine in questione ed agli effetti della norma interpretativa frattanto intervenuta. Difatti, alla enunciazione cristallizzata, secondo cui "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù del disposto dell'art. 28 della legge 449/1997 - applicabile anche ai giudizi in ' corso, trattandosi di norma interpretativa e, come tale, avente effetto retroattivo - l'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 deve essere inteso nel senso che il termine ivi previsto per la rettifica della dichiarazioni, avendo carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza" (Cass. 11235/1998;
7058, 9841 e 12995/1999;
10134/2000
;

3413 e 7213/2001;
2526, 7283 e 9881/2002), si è contrapposto il principio enunciato da Cass. 17507/2002. secondo quest'ultima, "non ha efficacia retroattiva l'art. 28 della legge 449/1997 - secondo il quale il comma 1 dell'art. 36-bis del d.P.R. 600/1973, nel testo da applicare fino alla data stabilita
nell'art. 16 del D.Lgs.241/1997, deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non è stabilito a pena di decadenza - atteso che la norma non ha (nonostante qualunque contraria interpretazione) natura interpretativa, e non sussiste alcun elemento per poter attribuire, nella specie, in deroga al principio di cui all'art. 11 delle preleggi, efficacia retroattiva ad una norma innovativa: deve, pertanto, ritenersi, in primo luogo, che il cit. art. 28 della legge 449/1997 abbia trasformato in ordinatori soltanto i termini ancora
pendenti alla data della sua entrata in vigore e non già quelli scaduti, e, in secondo luogo, che la trasformazione del termine da perentorio in ordinatorio (e non meramente acceleratorio) comporti l'applicazione in via analogica della disciplina dettata dall'art. 154 del codice di procedura civile, con l'ulteriore conseguenza -
anche in considerazione delle particolari garanzie costituzionali che assistono la posizione del soggetto passivo d'imposta - che dall'anzidetta trasformazione non deriva la proroga automatica del termine, bensì solo la sua prorogabilità, prima della scadenza e per una durata non superiore al termine originario, con atto del giudice o della pubblica amministrazione".
1.4.- Per dirimere l'indicato contrasto, la causa perviene all'esame delle Sezioni unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.- Il ricorso dev'essere disatteso.
Si esaminano congiuntamente i due ordini di censure, intimamente connessi per quanto riguarda i rapporti fra gli artt. 36-bis e 43 del D.P.R. 600/1973 e 17 del D.P.R. 602/1973. 3.-. La riforma delle imposte sui redditi del 1973 non conosceva ne' il versamento diretto del contribuente ne' la liquidazione dell'imposta attraverso il controllo (c.d. cartolare) degli uffici sulla dichiarazione. Le imposte venivano riscosse mediante ruolo, nel quale andavano iscritte "in tempo utile perché l'ultima o unica rata scada entro dodici mesi dalla fine dell'anno o dell'esercizio cui la dichiarazione si riferisce" (art. 17 del D.P.R. 602/1973, nella formulazione originaria).
3.1.- La legge 576/1975 introdusse il versamento diretto dell'i.r.pe.f. dovuta in base alla dichiarazione (art. 17) e stabili che l'iscrizione nei ruoli dell'imposta dichiarata e non versata dovesse seguire, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (art. 16). 3.2.- Il d.P.R. 920/1976 introdusse, nel d.P.R. 600/1973, l'art. 36 - bis, riguardante la "liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni", da eseguirsi "sulla scorta dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni stesse e dai relativi allegati" (art. 2). Contestualmente, modificò (art. 3) il citato art. 17 del D.P.R. 602/1973, disponendo che le imposte liquidate in base alla dichiarazione, comprese quelle riscuotibili mediante versamento diretto e non versate, andassero iscritte nei ruoli formati e consegnati all'intendente di finanza entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. 3.3.- Il d.P.R. 506/1979 ha introdotto la disciplina che in questa sede interessa. L'art. 1 ha integrato l'art. 36-bis citato, stabilendo che la liquidazione delle imposte seguisse "entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione" della dichiarazione. Correlativamente, l'art. 2 ha nuovamente modificato l'art. 17 del d.P.R. 602/ 1973, elevando notevolmente il termine, previsto a pena di decadenza, per l'iscrizione a ruolo delle imposte liquidate in base alle dichiarazioni, ed equiparandolo a quello - del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione - stabilito dall'art. 43 del D.P.R. 600/1973 (nel testo all'epoca vigente) per la notifica degli avvisi di accertamento.
3.4.- Non è inopportuno ricordare - prima ancora che per dovere di completezza, ai fini di un inquadramento storico-sistematico coerente - gli ulteriori sviluppi del quadro normativo. L'art. 13 del D.Lgs. 241/1997 ha apportato innovazioni profonde al sistema, con la
sostituzione degli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 600/1973: la liquidazione dell'imposta dovuta sulla base della dichiarazione (controllo c.d. cartolare) va effettuata "entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo";

quella conseguente al controllo formale . propriamente detto va eseguita "entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione". Mentre entrambe le fasi sono state scisse da quella della riscossione mediante iscrizione a ruolo, si è ampliato il contraddittorio, con obbligo per l'amministrazione di comunicare al contribuente o al sostituto d'imposta, rispettivamente: a) l'esito della liquidazione, "per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali" anche attraverso la comunicazione di "dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione" (art. 36-bis, comma 3, ulteriormente modificato, sotto l'ultimo profilo, dall'art. 1, comma l, lett. a del D.Lgs. 32/2001);
b) l'esito del controllo formale, "per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente" (art. 36-ter, comma 4, ulteriormente modificato come sopra dall'art. 1, lett. b, del citato decreto).
D'altro canto, anche l'art. 17 del D.P.R. 602/1973 è stato sostituito dall'art. 6 del D.Lgs. 46/1999, onde la iscrizione ruolo seguirà, a pena di decadenza: a) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme dovute ai sensi dell'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973;
b) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme dovute ai sensi dell'art. 36-ter;

c) entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti d'ufficio, a loro volta da notificare, a decorrere dal 1 gennaio 1999, sempre a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ai sensi dell'art. 43 dello stesso decreto (come modificato dall'art. 15, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 241/1997, salve le successive proroghe, non tutte legate ai più recenti provvedimenti di condono: es., art. 9 della legge 448/1998). 4.- Il contrasto giurisprudenziale sottoposto all'esame delle Sezioni unite attiene al regime introdotto dal citato D.P.R. 506/1979, con liquidazione delle imposte in base alla dichiarazione da effettuarsi "entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione" (art. 36-bis, nella versione vigente ratione temporis), ed iscrizione a ruolo corrispondente da eseguirsi, "a pena di decadenza, entro il termine di cui al primo comma dell'art. 43", vale a dire (sempre secondo la disciplina vigente all'epoca) "fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata".
4.1.- Cass., Sez. 1^, 7088/1997 - seguita da Cass., Sez. 1^, 12442/1997 - ha ritenuto il primo termine stabilito a pena di decadenza per sua stessa natura, in quanto inteso a garantire sia lo svolgersi delle attività di controllo secondo i principi del buon andamento e della imparzialità dell'amministrazione, sia gli interessi dei contribuenti;
ed ha rilevato come esso riguardasse - in assenza di un formale ed autonomo atto di liquidazione dell'imposta - la stessa iscrizione a ruolo, laddove il secondo termine (quello del comma 1 dell'art. 17 del D.P.R. 602/1973) andasse limitato alla "riscossione delle imposte nell'ammontare risultante dalla dichiarazione del contribuente, senza che la stessa sia in alcun modo rettificata".
4.2.- In tale contesto è intervenuta la norma interpretativa dell'art. 28, comma 1, della legge 449/1997, secondo cui "il pruno comma dell'articolo 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo da applicare sino alla data stabilita dall'art. 16 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, deve essere interpretato nel senso che il
termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non è stabilito a pena di decadenza".
La disposizione è stata investita da molteplici sospetti di illegittimità, dichiarati tutti infondati da Corte Cost. 229/1999, che, premesso lo scarso rilievo della verifica sulla natura effettivamente interpretativa ovvero innovativa con efficacia retroattiva della norma censurata, ha ritenuto un'efficacia siffatta giustificata - sotto il profilo della ragionevolezza, in relazione al principio di affidamento -, in presenza di un obiettivo dubbio ermeneutico sulla natura del termine in questione, manifestatosi nella giurisprudenza di merito e nella dottrina, negando portata dirimente alle tuniche due pronunce della Corte di Cassazione intervenute a breve distanza di tempo l'una dall'altra". Ha altresì escluso la fondatezza degli altri dubbi formulati, con riguardo a diversi parametri (artt. 101 segg., 24, 113, 53, 97 Cost.) sia con la sentenza indicata sia con la successiva ordinanza 117/2000. Particolare rilievo merita la puntualizzazione del giudice delle leggi allorquando, nel l'escludere il contrasto con l'art. 97 Cost., ha osservato, in generale, come il principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica Amministrazione non comporti necessariamente che tutti i termini ad essa imposti per il compimento delle proprie attività debbano avere carattere perentorio, ed ha chiarito, d'altronde, che la qualificazione del termine dell'art. 36 - bis siccome ordinatorio "non lascia priva di termine decadenziale l'attività di controllo 'formale' delle dichiarazioni, trovando comunque applicazione l'art. 17 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602". 4.3.- La giurisprudenza di legittimità, da Cass. 11235/1998 fino a Cass. 9881/2002 (indicate, con le decisioni intermedie, sub 1.3), uniformandosi ai ricordati criteri, ha sempre ribadito, sia pure con sfumature diverse, l'efficacia retroattiva della definizione quale ordinatorio del termine previsto, per la liquidazione dell'imposta, dall'art. 36-bis del D.P.R. 600/1973, come interpretato dall'art. 28, comma 1, della legge 449/1997.
L'uniformità è stata meditatamente interrotta dalla citata Cass., Sez. 5^, 17507/2002, attraverso il principio di diritto già riprodotto nella parte espositiva che precede. La sentenza ha rimarcato in particolare che:
- la disposizione del citato art. 28, attesa la portata innovativa - con riferimento all'interpretazione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità -, ben difficilmente può, in deroga all'art. 11 delle preleggi, "far rivivere rapporti tributari estinti ormai da anni", onde va intesa nel senso restrittivo di "trasformare in ordinatori i termini ancora in corso e nati come perentori";

- la trasformazione di un termine in ordinatorio non vale a renderlo irrilevante, tanto più in un ordinamento "di diritto", che non può lasciare il cittadino "soggetto sine die al potere
dell'Amministrazione";

- la tecnica analogica impone il rinvio all'art. 154 c.p.c., secondo cui "la scadenza del termine ordinatorio non privi il suo titolare della legittimazione ad esercitarlo, a condizione che esso sia preventivamente prorogato";

- anche in materia fiscale sarà possibile individuare il soggetto legittimato ad accordare la proroga, "nell'esercizio dei poteri di vigilanza oggi previsti dall'art. 5 del D.Lgs. 112/1999";

- la trasformazione del termine in ordinatorio può solo comportarne, dunque, la prorogabilità per un periodo di tempo non superiore all'originario termine;

- la soluzione offerta dalla Corte Costituzionale, limitandosi a sottolineare il termine finale inderogabile per l'iscrizione a ruolo, a mente dell'art. 17 del D.P.R. 602/1973, non affronta il problema riguardante la rilevanza giuridica dei termini ordinatori. 4.4.- La giurisprudenza di questa Corte, successiva all'ordinanza di rimessione alle Sezioni unite, ha ribadito peraltro l'orientamento già richiamato (Cass., Sez. 5^, 11988 e 14164/2003). Si è sottolineata la "natura genuinamente interpretativa" del ripetuto art. 28 della legge 449/1997, inteso a chiarire la portata della volontà precettiva;
si è, sotto aspetti diversi, negata la possibilità di applicazione analogica dell'art. 154 c.p.c., richiamando il precetto per cui il termine in discussione è stabilito "non" a pena di decadenza, così confermando l'indirizzo formatosi dopo l'intervento interpretativo e relegando la qualifica di ordinatorio del termine, originariamente stabilito, al rango di "meramente acceleratorio", previsto dalla legge a fini di organizzazione interna dell'Amministrazione finanziaria. 5.- Ritiene il collegio di non doversi discostare da tale uniforme impostazione, interrotta solo dalla ripetuta Cass. 17507/2002. 5.1.- La Corte Costituzionale ha già avvertito del carattere non decisivo della verifica circa la natura, interpretativa ovvero innovativa con portata retroattiva, della disposizione dell'art. 28, concentrando il proprio esame, concluso nel senso della legittimità della norma, sulla ragionevolezza della retroattività - in materia non penale e, quindi, non in violazione dell'art. 25 Cost. - e sull'assenza di contrasto con altri valori costituzionalmente protetti. A volere, nondimeno, precisare - in relazione alla premessa maggiore di Cass. 17507/2002 - quella natura, deve confermarsi che essa risulta proprio di interpretazione autentica, con connaturale portata retroattiva, costituiscono infatti principi affermati - nella giurisprudenza sia costituzionale sia di legittimità - che, indipendentemente dalla qualificazione espressa della legge, la norma interpretativa può prescindere da un contrasto ermeneutico in atto nella giurisprudenza, rivelandosi giustificata sol che la scelta imposta dalla legge - anche solo per evitare interpretazioni giurisprudenziali divergenti dalla linea politica del legislatore - rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario (cfr., per tutte, Corte Cost. 413/1988, 163/1991;
402/1993, 15 e 311/1995, 525/2000
;
Cass., Sez. 1^, 5822/1981, Sez. lav., 5552/1985, 7182/1986, 3702/ 1992, Sez. 5^, 9895/2003). Il carattere interpretativo autentico di una legge dipende, dunque, esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dalla enunciazione di un apprezzamento interpretativo del significato di un precetto antecedente, cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un momento precettivo, col quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra (Cass. 9895/2003 citata, secondo i criteri già espressi da Corte Cost. 155/1990, 454/1992, 39 e 424/19 94, 94/1995). L'operazione, con riguardo alla portata retroattiva della legge interpretativa, andrà contenuta nei limiti imposti dai principi costituzionali e di civiltà giuridica (Corte Cost. 525/2000 cit.), che, in relazione all'art. 28 della legge 449/1997, il giudice delle leggi (Corte cost., sent. n. 229/ 1999 e ord. n. 117/2000 citate) ha definitivamente ritenuto osservati. 5.2.- Da ciò discende che non è dato ipotizzare una
"trasformazione" del termine (per giunta, non ancora decorso) da perentorio in ordinatorio, attesa la valenza precettiva ab origine della disposizione interpretativa. E, così, non v'è ragione di ricorso analogico alla disciplina dettata dall'art. 154 c.p.c. Ricorso esplicitamente negato dalla citata Cass. 11988/2003, col sottolineare la eterogeneità delle situazioni normative poste a raffronto;
e già escluso da Cass.. 7058/1999, pure citata, col rilevare, da un lato, come l'art. 154 c.p.c. non si riveli applicabile a tutti gli atti processuali (così, non si applica agli atti del giudice o dei suoi ausiliari) e, dall'altro, che esso "non è necessariamente estensibile a settori che non abbiano diretta attinenza con la materia del contenzioso".
La conclusione è che "anche in materia tributaria la decadenza deve essere (ed è) espressamente prevista (v. artt. 43 D.P.R. 600/1973, 17 D.P.R. 602/1973, 57 D.P.R. 633/1972, 76 e 77 D.P.R. 131/1986),
sicché, in mancanza di un'esplicita previsione, il termine fissato dalla legge per il compimento di un atto ha efficacia meramente esortativa (cioè costituisce un invito a non indugiare) e l'atto può essere compiuto dall'interessato fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto (v., nella specie, art. 43 D.P.R. 600/1973)" (Cass. 7058/1999 cit., in motivazione).
Peraltro, non essendo concepibile che "il cittadino resti soggetto sine die al potere dell'Amministrazione", va individuato il termine - necessariamente di decadenza, in funzione di tutela del contribuente - entro cui circoscrivere l'azione accertatrice dell'Amministrazione finanziaria.
Una soluzione soddisfacente può essere - ad avviso del collegio - raggiunta solo coordinando il rilievo di Corte Cost. 229/1999 citata, secondo cui, pur dopo l'intervento interpretativo, l'attività di controllo "formale" è rimasta comunque soggetta al termine di decadenza fissato nell'art. 17 del D.P.R. 602/1973 (v. n.

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