Cass. civ., SS.UU., sentenza 06/07/2021, n. 19029
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nciato la seguente SENTENZA sul ricorso 2262-2021 proposto da: S L, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sé medesimo;- ricorrente -contro CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PESCARA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;- intimati - avverso la sentenza n. 244/2020 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 18/12/2020. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/06/2021 dal Consigliere FRANCESCO MARIA CIRILLO;lette le conclusioni scritte dell'Avvocato Generale F S, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di cassazione vogliano dichiarare il ricorso inammissibile. FATTI DI CAUSA 1. Con un esposto presentato al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Pescara l'avv. A R chiese che fosse valutato, a fini disciplinari, il comportamento tenuto dall'avv. L S. L'esponente osservò che nell'ambito di un procedimento penale promosso a suo carico a seguito di querela presentata da tale V T, assistita dall'avv. S - procedimento penale che era stato poi archiviato - egli aveva rinvenuto nel fascicolo del Pubblico Ministero una corrispondenza intercorsa tra lui e l'avv. S. In particolare, l'avv. R lamentò che il collega aveva prodotto, a corredo della querela suindicata, la copia di una e.mail contenente una proposta transattiva, inviata dal primo al secondo, nella quale non compariva più la dicitura «riservata professionale», apposta dall'avv. R in occasione dell'invio. A seguito di tale esposto il C.O.A. di Pescara deliberò l'apertura del procedimento disciplinare a carico dell'avv. L S, per l'incolpazione di cui agli artt. 5 e 28 del Codice deontologico forense. Il capo di incolpazione ipotizzava, appunto, che il professionista avesse consegnato alla Terenzani, sua assistita, una corrispondenza riservata intercorsa col collega avv. R;e che tale attività Ric. 2021 n. 02262 sez. SU - ud. 08-06-2021 -2- egli avesse compiuto venendo meno ai doveri di probità, dignità e decoro, alterando preventivamente il testo della missiva in modo che non risultasse più la dicitura «riservata professionale». Il C.O.A., sentito come teste l'avv. R, ritenne l'avv. S responsabile dell'incolpazione a lui ascritta e gli irrogò la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi due. 2. La pronuncia è stata impugnata dall'avv. S e il Consiglio nazionale forense, con sentenza del 18 dicembre 2020, ha rigettato il gravame. 2.1. Il C.N.F. ha innanzitutto respinto l'istanza dell'avv. S con la quale era stato chiesto il rinvio dell'udienza dibattimentale per suoi concomitanti impegni professionali ovvero, in alternativa, la trattazione dell'udienza con modalità «da remoto». Quanto alla trattazione da remoto, il C.N.F. ha osservato che quella modalità non era né prevista né possibile, come già comunicato al professionista in data precedente. L'impedimento professionale, poi, non poteva comunque essere considerato assoluto, posto che in sede civile un avvocato può sempre scegliere di farsi sostituire;e l'udienza era fissata per le ore 15, il che avrebbe consentito all'avv. S di raggiungere ugualmente Roma in tempo utile, partendo da Pescara. 2.2. Dopo di ciò, il C.N.F. ha respinto l'eccezione di prescrizione dell'illecito disciplinare. Ha osservato, in proposito, che la previsione dell'art. 65, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, secondo cui le norme del nuovo codice deontologico forense si applicano anche ai procedimenti in corso, se più favorevoli, riguarda solo la successione nel tempo delle norme deontologiche e non l'istituto della prescrizione. Avendo quest'ultima, infatti, fondamento legale, vale il principio di non retroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, con conseguente inapplicabilità dello ius superveniens di cui all'art. 56, comma 3, della legge n. 247 del 2012. Dovendosi Ric. 2021 n. 02262 sez. SU - ud. 08-06-2021 -3- quindi applicare la prescrizione quinquennale di cui all'art. 51 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, la stessa non era decorsa;l'illecito, infatti, risaliva ad una data compresa tra il 10 maggio e I'll giugno 2012 e la prescrizione era stata interrotta da vari atti, con cadenza annuale e triennale, fino al deposito della decisione del C.O.A. in data 19 giugno 2017. 2.3. Passando all'esame del merito, il C.N.F. ha ritenuto infondati entrambi i motivi di censura. Il primo motivo, avente ad oggetto l'insufficiente esame delle prove dedotte, è stato rigettato, sul rilievo che lo stesso avv. S non aveva insistito per l'escussione dei testi in sede dibattimentale. Nessuna nullità, inoltre, era ravvisabile nella decisione impugnata, dal momento che il Consiglio dell'ordine territoriale aveva correttamente valutato le prove documentali a sua disposizione. La tesi dell'avv. S secondo la quale il messaggio in questione era stato recapitato nella sua casella di posta elettronica ordinaria e non alla PEC - e per tale ragione poteva essere facilmente manipolata - è apparsa al C.N.F. priva di ogni verosimiglianza. Il messaggio di posta elettronica, infatti, sia per posta ordinaria che per posta certificata, «non può essere modificato dal mittente dopo il suo invio, se non da parte di esperti informatici, e ricorrendo a procedimenti di particolare complessità». D'altra parte, ad avviso del C.N.F., il C.O.A. aveva correttamente valutato i documenti acquisiti, dai quali risultava l'evidente fondatezza dell'accusa disciplinare. Il secondo motivo è stato rigettato, in parte con considerazioni analoghe a quelle già dette. Oltre a ciò, il C.N.F. ha ricordato che all'avv. S era stato contestato non di aver prodotto in giudizio la corrispondenza riservata, quanto piuttosto di aver consegnato quella lettera alla propria cliente.
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