Cass. civ., sez. III, ordinanza 20/09/2021, n. 25360

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 20/09/2021, n. 25360
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 25360
Data del deposito : 20 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 20257/2019 R.G. proposto da F E, F E e F F, rappresentate e difese dall'Avv. G C;

- ricorrenti -

contro

N M L, rappresentata e difesa dagli Avv.ti R T, P P e G M, con domicilio eletto in Roma, Via Baldo degli Ubaldi, n. 66, presso lo studio dell'Avv. S R G;
- controricorrente e ricorrente incidentale - 2024 avverso la sentenza della Corte d'appello di Salerno, Sezione 9-3-3 Specializzata Agraria, n. 224/2019 depositata il 29 aprile 2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell'11 marzo 2021 dal Consigliere E I. Rilevato in fatto 1. La Corte d'appello di Salerno, Sezione Specializzata Agraria, rigettando i contrapposti gravami, ha confermato la sentenza di primo grado che, in controversia relativa a rapporto di affitto di fondo rustico intercorso tra M L N (affittuaria) ed E, E e F F (affittanti), riconosciuta l'unicità del rapporto iniziato il 10 novembre 1979 e cessato il 20 dicembre 2010, alla scadenza della proroga ventennale pattuita con contratto del 20 dicembre 1990, aveva così deciso: — in parziale accoglimento della domanda della N aveva condannato le germane F al pagamento, in favore della stessa, della somma di C 309.000, oltre interessi dal 20 dicembre 2010 e rivalutazione, a titolo di indennità per i miglioramenti apportati al fondo dal 1979 al 1990, con esclusione dunque di quelli apportati successivamente, sotto il vigore di contratto stipulato in data 20 dicembre 1990, poiché non previamente e specificamente assentiti dalle concedenti;
— in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale aveva condannato M L N al pagamento, in favore di E, E e F F, della somma di euro 5.154,56, a titolo di canone contrattuale scaduto e non pagato per l'anno 2009 - 2010, oltre interessi al tasso legale dalla scadenza al soddisfo, ed inoltre al pagamento, in favore delle stesse, della somma di euro 40.696,20, a titolo di indennità di occupazione, oltre interessi e rivalutazione.

2. Avverso tale sentenza E, E e F F propongono ricorso affidato a quattro motivi, cui resiste M L N, depositando controricorso con il quale propone ricorso incidentale, sulla base di quattro motivi. Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.Le ricorrenti hanno depositato memoria. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo del ricorso principale E, E e F F denunciano, con riferimento all'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., «violazione od errata applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia o decisione ultra petitum in ragione della carenza o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta». Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il contratto del 20 dicembre 1990 avesse contenuto ed effetto novativo del preesistente rapporto, atteso che con esso le parti «lungi dall'esprimere la loro inequivoca volontà di estinguere la originaria obbligazione e di sostituirla con una diversa ed autonoma, e dal comportare un sostanziale mutamento dell'oggetto e del titolo della prestazione, che continuava a restare quella della gestione del medesimo fondo rustico a fronte del pagamento di un corrispettivo per il suo godimento, apportavano al pregresso regolamento negoziale modificazioni di natura meramente collaterale, quale quella di prolungamento del suo iniziale termine di scadenza e, dunque, inidonee ad incidere sul nucleo essenziale del contratto intercorso (da) prima del 1980». Lamentano le ricorrenti che, decidendo in tali termini, la Corte territoriale ha violato il giudicato «interno» (recte: esterno) formatosi sulla sentenza n. 3251 del 2005, resa inter partes in separato giudizio, che aveva accertato che «il rapporto va regolato secondo l'accordo consacrato nel contratto registrato, ... che, all'art. 5, prevede la durata di venti anni ... la scadenza del contratto stipulato il 20.12.90 dovrà essere individuata nel giorno venti dicembre dell'anno 2010 ...» (v. ricorso, pag. 10). Precisano che: a) sul punto il tribunale aveva escluso la rilevanza di tale decisum, poiché intervenuto in un giudizio avente ad oggetto unicamente la durata del rapporto e non il suo momento iniziale;
b) tale assunto era stato impugnato con l'appello;
c) la corte d'appello non aveva dato alcuna risposta, così incorrendo in omessa pronuncia.

2. Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.

2.1. Anzitutto per la sovrapposizione di censure incompatibili, quali sono quella di omessa pronuncia, da un lato, e quella di error in iudicando, dall'altro, per asserita violazione di giudicato esterno, quest'ultima ovviamente presupponendo una decisione, sia pure implicita, sul punto.

2.2. Risulta inoltre inosservato l'onere di specifica indicazione, dettato a pena di inammissibilità dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., sia degli atti richiamati a fondamento della censura di omessa pronuncia, sia di quello evocato a supporto della censura di violazione del giudicato esterno.

2.2.1. In relazione alla prima prospettiva censoria (omessa pronuncia) le ricorrenti riproducono (a pag. 10 del ricorso) fra virgolette un breve passaggio della sentenza n. 3251 del 2005 della sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Salerno, che avrebbe integrato il giudicato esterno, un breve passaggio della sentenza di primo grado resa in questo giudizio e - parrebbe - un breve passaggio dell'atto di appello con cui avrebbero proposto la questione di giudicato esterno censurando la sentenza di primo grado, ma, pur avendo tutti detti atti valore fondante il motivo, nell'illustrazione si omette di localizzare tali atti in questo giudizio di legittimità ed inoltre, quanto alla sentenza n. 3251 del 2005, si omette di localizzarne la produzione nelle fasi di merito. In tal modo il motivo risulta del tutto privo dell'osservanza del requisito dell'indicazione specifica di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c., che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, imponeva dette localizzazioni (v. ex multis Cass. Sez. U. n. 28547 del 2008, n. 7161 del 2010 e n. 22726 del 2010), dovendosi, peraltro, notare che, al fine di esentarsi dalla relativa produzione (rilevante quest'ultima, cioè la produzione, ai diversi effetti di cui al secondo comma, dell'art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., per il caso di necessità, ai fini dello scrutinio del motivo, di un concreto esame da parte di questa Corte del documento) nemmeno si è dedotto, come ammette Cass. Sez. U. n. 22726 del 2011, sottolineando che l'indicazione è necessaria ai fini del citato art. 366 n. 6, di voler fare riferimento alla presenza nel fascicolo d'ufficio del giudice di appello. Si deve ancora rilevare che il passo dell'atto di appello riprodotto a pag. 10 evoca anche la sentenza n. 122 del 2007 di una non meglio precisata corte d'appello, che dovrebbe essere quella pronunciata sull'appello contro la sentenza n. 3251 del 2005, ma anche riguardo a detta sentenza si omette di fornirne l'indicazione specifica.

2.2.2. Le segnalate carenze del motivo risultano esiziali anche nella seconda direzione argomentativa (giudicato esterno), non senza che debba pure rilevarsi che il solo breve passo della sentenza n. 3251 del 2005, peraltro presentante in due punti puntini sospensivi e, dunque, omissioni, nemmeno evidenzia in modo chiaro il preteso giudicato esterno e ciò tanto più se si consideri che nessuna precisazione è stata fatta sulla sentenza di appello n. 12 del 2007. 2.3. È appena il caso di rimarcare peraltro il carattere prioritario della valutazione di inammissibilità della censura di omessa pronuncia, dal momento che, in conseguenza di essa, rimane comunque assorbita quella di error iuris per violazione del giudicato esterno, poiché preclusa dal giudicato interno formatosi sulla sentenza di primo grado che — come affermato dalle stesse ricorrenti — ne aveva negato l'esistenza.

3. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono, con riferimento all'art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.: «a) nullità della sentenza per omesso esame del testo integrale del contratto di affitto del 20/12/1990, nonché violazione o errata applicazione degli artt.1362, 1363, 1367 e 1368 c.c. ed errore di giudizio indotto dal difetto di adeguata considerazione di circostanze di fatto;
b) nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.». Il motivo, in entrambe le censure indicate in rubrica, investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il contratto stipulato in data 20 dicembre 1990 avesse carattere novativo. Trascritti ampi stralci delle pagine da 6 a 9 della sentenza impugnata dedicate al tema, lamentano le ricorrenti che i giudici a quibus hanno operato al riguardo una valutazione atomistica ed isolata delle sole clausole nn. 8 e 9 del contratto del 20 dicembre 1990 e che tale valutazione è peraltro supportata da motivazione apparente, «in assenza delle ragioni della non decisività delle prove offerte», ed inoltre viziata «dal difetto di adeguata considerazione di circostanze di fatto per effetto del mancato rispetto dei canoni legali di ermeneutica». Lamentano in particolare l'inosservanza del «principale canone interpretativo, quello letterale, previsto dall'art. 1362 c.c. deputato a stabilire quale sia stata la comune intenzione delle parti, per aver esaminato e valutato soltanto due articoli del contratto - nn. 8 e 9 - trascurando gli altri, in particolare 1, 2, 5, 6 e 7 e la premessa», nella quale i rappresentanti di categoria, che assistevano le parti ex art. 45 legge n. 203 del 1982, dichiarano di intervenire allo scopo di stipulare un accordo «in sostituzione e novazione di precedenti contratti già stipulati, da ritenersi non più validi». Soggiungono che «la illogicità e contraddittorietà del ragionamento della corte territoriale è data dal fatto che "gli elementi costitutivi tipici dell'originario rapporto", non è dato sapere se di affitto o meno, non si conoscono né sono rilevabili dal contenuto del contratto in discussione».
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