Cass. pen., sez. VI, sentenza 30/03/2023, n. 13465

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 30/03/2023, n. 13465
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13465
Data del deposito : 30 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da B A, nato in Libia il 5/1/1995 B A, nato a Roma il 24/5/2001 avverso la sentenza emessa il 15/7/2022 dalla Corte di appello di Roma;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere P D G;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A V, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udito l'avvocato O B, la quale si riporta al ricorso e ne chiede l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma confermava la sentenza di condanna emessa nei confronti dei fratelli A e A B per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali aggravate, commesse in occasione , di un controllo eseguito da appartenenti alla Polizia di Stato presso l'abitazione ove erano entrambi ristretti agli arresti donniciliari. La reazione violenta degli imputati si manifestava nel corso di un controllo volto a verificare la permanenza nel luogo degli arresti domiciliari di A B, al fine di riscontrare una precedente segnalazione, fatta da altri operanti, che avevano notato per strada un soggetto da loro ritenuto essere il B. Proprio per tale particolare esigenza, gli operanti chiedevano di scattare una fotografia ad A B, al fine di inviarla ai colleghi che, poco prima, ritenevano di averlo notato darsi alla fuga. I predetti fratelli avrebbero reagito violentemente proprio al compimento di tale atto, tentando di evitare che gli agenti intervenuti presso la loro abitazione potessero scattare la foto necessaria alla comparazione.

1.1. Il giudizio di primo grado è stato definito con rito abbreviato, a seguito del rigetto della richiesta di abbreviato condizionato all'escussione del padre dei ricorrenti, il quale avrebbe dovuto riferire in ordine alla condotta tenuta dagli agenti al fine di dimostrare la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall'art. 393-bis cod. pen.

2. I ricorrenti impugnano la predetta sentenza formulando cinque motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo, deducono la violazione dell'art. 438, comma 5, cod. proc. pen., per effetto della mancata ammissione del rito abbreviato condizionato all'escussione dell'unico testimone presente ai fatti e che avrebbe potuto riferire sulla condotta degli agenti, ritenuta tale da legittimare la condotta di resistenza. Si sottolinea che, oltre alla evidente necessità di acquisire la suddetta prova, non era ipotizzabile alcuna incompatibilità con le esigenze di celerità del rito, posto che veniva richiesta l'escussione di un solo teste.

2.2. Con il secondo motivo, deducono la violazione dell'art. 337 cod. pen. ed il vizio di motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno collocato la condotta di resistenza prima dell'ultimazione dell'atto d'ufficio, consistente nell'identificazione di A B anche mediante l'effettuazione di fotografie. Sostengono i ricorrenti che i giudici di merito avrebbero omesso di considerare i plurimi elementi probatori dai quali emergeva che la reazione era intervenuta dopo che gli operanti avevano già accertato l'identità delle persone presenti nell'appartamento e, precisamente, nel momento in cui uno degli operanti contattava la sala operativa per fornire la descrizione del soggetto notato da altra pattuglia per strada. Oltre all'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, i ricorrenti deducono anche la mancanza dell'elemento soggettivo, ritenendo che le condotte poste in essere potevano al più integrare una forma di contestazione rispetto all'atto d'ufficio già compiuto.

2.3. Con il terzo motivo, deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso dell'aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n.

5-bis, cod. pen., per le lesioni commesse al fine di realizzare l'ulteriore reato di resistenza a pubblico ufficiale. Si assume che l'esistenza del nesso teleologico - oggetto dell'aggravante di cui all'art. 61, n.2 cod. pen. - determinerebbe una violazione del ne bis in idem sostanziale, posto che la condotta sanzionata, tanto con riferimento alle lesioni che alla resistenza, sarebbe sempre quella commessa mediante violenza ai danni del
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi