Cass. pen., sez. V trib., sentenza 24/03/2021, n. 11399

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 24/03/2021, n. 11399
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11399
Data del deposito : 24 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: TRABUCCO ALESSANDRA nato a PESCARA il 10/06/1977 avverso la sentenza del 28/02/2019 della CORTE APPELLO di L'AQUILAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;
udito il Sostituto Procuratore Generale P F che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza del 28.11.2017 del GUP del Tribunale di Pescara, ha assolto A T dall'imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione alla società Edilizia Trabucco, dichiarata fallita il 22.10.2015, ed ha confermato la condanna di A T, rideterminando la pena nei suoi confronti in anni uno di reclusione, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 219, comma 3, I. fall. I due imputati erano stati condannati in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni uno e mesi sette di reclusione, l'uno, quale Presidente della società fallita, l'altra come consigliere di amministrazione, per aver deliberato, in particolare, rimborsi ai soci per un importo complessivo di euro 35.091,56, pur essendo consapevoli di una situazione di insolvenza della Edilizia Trabucco, già gravemente indebitata.

2. Avverso la sentenza citata propone ricorso A T, mediante il difensore, avv. M, formulando un unico motivo. Si censura violazione di legge processuale in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. ed al principio di correlazione tra accusa e sentenza. La ricorrente si è difesa da una contestazione relativa alla distrazione commessa tramite rimborsi ai soci pari a 35.091,56 effettuati nella sua qualità di consigliere di amministrazione, mentre invece è stata condannata, secondo la motivazione della sentenza impugnata, nella qualità di liquidatore, per aver commesso un solo atto di distrazione relativo al rimborso per l'importo di 150 euro in data 31.12.2014. Inoltre, in tale data non esisteva più il consiglio di amministrazione per la messa in liquidazione della società di capitali, che determina, appunto, la cessazione dell'organo amministrativo, sicchè è errata la motivazione della Corte d'Appello secondo cui sarebbe indifferente che il rimborso sia stato disposto in favore della stessa ricorrente, quale liquidatrice della fallita, ovvero in favore di altro socio, poiché chiunque di loro sarebbe stato componente del consiglio di amministrazione: tale organo non esisteva più e dunque, senza la prova dell'effettivo beneficiario del rimborso non può stabilirsi se vi sia stata o meno bancarotta fraudolenta distrattiva. A voler ritenere, come ipotesi più favorevole, che il rimborso sia stato effettuato a favore del socio Paolo Trabucco piuttosto che della stessa liquidatrice, si configurerebbe, al più, una condotta di bancarotta preferenziale (poiché quella distrattiva sarebbe sussistente solo nel caso in cui l'amministratore restituisse a sé stesso i prestiti eseguiti in favore della società). Tuttavia, per ritenere integrata la fattispecie di bancarotta preferenziale, il giudice d'appello avrebbe dovuto verificare la presenza necessaria dell'elemento soggettivo del reato in capo all'imputata: verifica che non è stata affatto compiuta. A riprova della buona fede della ricorrente, la difesa evidenzia come dalla documentazione contabile (il "mastrino" riportato nel ricorso) emerge un ingente credito dei soci finanziatori per la somma di euro 202.421,14 relativa a versamenti nel patrimonio sociale effettuati dai soci, proprio con l'intento preciso di contrastare la crisi aziendale. Infine, si evidenzia la pochezza della complessiva gravità della vicenda, meritevole di una formula assolutoria in favore dell'imputata, quanto meno per la particolare tenuità del fatto, e si denuncia il non aver ricondotto la pena accessoria prevista dall'ultimo comma dell'art. 216 I. fall. alla misura costituzionalmente legittima e di averla invece tenuta ferma in quella fissa decennale, oramai incostituzionale a seguito della sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale.

3. Il Sostituto Procuratore Generale P F ha chiesto il rigetto del ricorso, non essendovi violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in ragione dell'identità del profilo gestorio, riferibile all'imputata anche come liquidatrice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. L'eccezione relativa alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza effettivamente evidenzia un aspetto critico del provvedimento impugnato, che merita di essere censurato. La Corte d'Appello ha ritenuto che A T dovesse essere assolto, ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., per non aver commesso il fatto, poiché non aveva beneficiato di alcun rimborso, non essendo socio della fallita, e perché non aveva avuto alcun ruolo nella decisione di trasferire le somme indicate nell'imputazione, rimanendo anzi, per scelta, inerte di fronte alle iniziative dell'amministratore delegato. Rispetto ad A T, invece, si è affermata la sua responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, ritenendo che la stessa, oltre ad essere socia, consigliere di amministrazione con poteri gestori, avesse posto in essere, nella sua qualità di liquidatore, non già la condotta così come contestata, bensì "almeno un atto di distrazione", e cioè il rimborso soci in data 31.12.2014 per l'importo di 150 euro. Ed invece, la contestazione di reato si riferiva ad una ben diversa somma e ad un differente ruolo dell'autrice del delitto, non già liquidatrice della società fallita, ma sua amministratrice. La distonia tra gli approdi decisori ai quali è giunta la Corte territoriale e l'imputazione di reato dalla quale si è dovuta difendere la ricorrente fuoriesce dal perimetro consentito e disegnato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Invero, molteplici sono state le possibilità di verifica che il concreto atteggiarsi delle fattispecie di bancarotta ha offerto alla Cassazione per misurarsi con la tenuta del criterio processuale suddetto. Si evidenzia, altresì, preliminarmente, che la questione sottoposta al Collegio attiene non al tema del divieto di un mutamento dell'accusa concernente la 'diversa qualificazione giuridica del fatto', e, dunque, una possibile violazione dell'art. 6 CEDU, bensì l'ipotesi del 'fatto diverso' e la violazione dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. Tale norma infatti prevede, quando in discussione non è la cornice giuridica diversa, ma un fatto-reato diverso, il regresso del processo alla fase delle indagini preliminari, dovendosi, in tal caso, reinvestire il pubblico ministero, per quanto di sua competenza, in ordine alla modifica del capo di imputazione - di suo esclusivo dominio riguardo alla identificazione del fatto di rilievo penale - ovviamente passando per l'annullamento della sentenza di primo grado (Sez. 4, n. 18135 del 09/02/2010, C., Rv. 247534) Le Sezioni Unite hanno avuto modo di pronunciarsi in generale sulla questione, proprio partendo da ipotesi di mutamento in sentenza di aspetti della fattispecie contestata che riguardavano reati di bancarotta. Si è affermato che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa;
ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, C, Rv. 248051, in una fattispecie relativa ad una contestazione del delitto di bancarotta post-fallimentare qualificato dalla come bancarotta pre- fallimentare). Di conseguenza, ha preso forma un orientamento, che risulta abbastanza pacifico, che predica l'insussistenza di una violazione del principii correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l'atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una "species" del più ampio "genus" di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione (Sez. 5, n. 27141 del 27/3/2018, D R, Rv. 273480;
Sez. 5, n. 31680 del 22/5/2015, C, Rv. 264673). Ed allo stesso modo, avuto riguardo alle mutazioni che interessino il lato soggettivo della fattispecie concreta, piuttosto che un profilo di oggettività giuridica, non integra violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.) la decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di socio amministratore di fatto, anziché quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l'azione distrattiva ascrittagli (Sez. 5, n. 36155 del 30/4/2019, Meoli, Rv. 276779;
Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, Runca, Rv. 264073;
Sez. 5, n. 4117 del 9/12/2009, Prosperi, Rv. 246100). Viceversa, è stato specularmente affermato che sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, condanni l'imputato per il reato di bancarotta per distrazione, così riqualificando l'originaria imputazione di bancarotta preferenziale, trattandosi di fatto significativamente e sostanzialmente diverso da quello contestato con l'originaria imputazione, con conseguente difetto della concreta possibilità di esercizio dei correlati poteri difensivi dell'imputato, imponendosi l'applicazione - previo annullamento della sentenza impugnata e di quella di primo grado - del disposto di cui all'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l'invio degli atti al pubblico ministero (Sez. 5, n. 19365 del 5/12/2019, Alessandrini, Rv. 279106).
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