Cass. pen., sez. V, sentenza 13/04/2023, n. 15751

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 13/04/2023, n. 15751
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15751
Data del deposito : 13 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: LO PRESTI PIETRO nato a MILAZZO il 29/11/1955 avverso la sentenza del 19/01/2022 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impuanato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita come da requisitoria in atti. udito l difensore L'avvocato N si riporta ai motivi e ne chiede l'accog!imento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 19.01.2022, la Corte di appello di Milano, a seguito dell'assoluzione dal delitto di bancarotta semplice per insussistenza del fatto, ha rideterminato in melius la pena irrogata nella misura di anni due di reclusione, ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, confermando nel resto la sentenza del 05.11.2020 con cui il Tribunale di Monza aveva dichiarato L Presti P, in qualità di socio accomandatario della società Eoliana S.a.s. di L Presti P. & C. - dichiarata fallita in data 27.05.2014 -, responsabile anche del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per la distrazione dell'azienda in favore della società Mylae Dulcis s.r.I., a lui riconducibile, dapprima mediante l'affitto del ramo d'azienda relativo al negozio di pasticceria sito a Cologno Monzese, sito in viale Spagna 124, e, in seguito, con il trasferimento di fatto alla medesima società della predetta attività e della restante attività di produzione di pasticceria con laboratorio sito a Legnano. 2, Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, Avv. Alessandra N, articolando quattro motivi.

2.1. Il primo motivo deduce inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme riguardo all'art. 216, comma uno, n. 1) I. fall. con riferimento alla cessione del ramo d'azienda contestata come atto distrattivo, laddove, la Corte d'appello, non considera che, nel caso di specie, non si tratta di cessione riguardante un'azienda unitariamente considerata ex. art. 2112, comma quinto, cod. civ. Non è in particolare ravvisabile in capo al ricorrente la volontà fraudolenta né alcun intento pregiudizievole per i ì- creditori, tanto più che la Eoliana s.a.s. è sempre stata attiva fino all'anno 2012, percependo à regolarmente i (non irrisori) canoni derivanti dai precedente contratto di affitto di azienda t come risulta a pag. 4 della relazione ex. art. 33 I. fall.

2.2. Il secondo motivo deduce contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, per vizio di nullità, secondo il combinato disposto degli art. 546, comma 1, lett. e), n. 1) e 125, comma 3, cod. proc. pen., con riguardo alle caratteristiche della cessione, per due ordini di ragioni. In primo luogo, posto che la cessione in questione ha avuto come destinataria la Mylae Dulcis s.r.I., intestata alla moglie del ricorrente e a lui direttamente collegata in modo palese e, come confermato dalla sentenza impugnata, senza infingimenti, ad avviso del ricorrente, tale circostanza esclude la configurabilità della distrazione difettando un effettivo distacco dell'azienda dal patrimonio del fallito, essendo la società - che continua a svolgere attività collegata a prodotti di pasticceria e da forno - sempre riconducibile a L Presti.Pertanto, la cessione è stata, in realtà, una semplice scelta funzionale al progetto imprenditoriale, tanto più che alla medesima, ha fatto seguito un contratto di affitto in riferimento al quale sono sempre stati corrisposti i relativi canoni. In secondo luogo, si ritiene altresì che il valore del ramo di azienda ceduto non è stato affatto individuato in modo certo e univoco dalla perizia di stima del Dott. G E (incaricato dal curatore), il quale ha indicato l'importo, puramente teorico e privo di motivi e riscontri di euro 306.000,00, in modo disancorato sia dalla storia della fallita che da qualunque operazione matematica, partendo inoltre dalla stima provvisoria di circa euro 100.000,00, sicché la parte motiva della sentenza risulta intrinsecamente incoerente laddove le cifre indicate - a pag.

5 - rappresentano diversi ordini di grandezza, anche molto lontani tra loro e che rimangono ingiustificati.

2.3. Il terzo motivo deduce contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, per vizio di nullità, in riferimento al combinato disposto dagli art. 546, comma 1, lett. e), n. 1) e 125, comma 3, cod. proc. pen. con riguardo allo stato di dissesto laddove, la Corte territoriale, con osservazioni diametralmente opposte tra loro, partendo dal medesimo dato temporale dal quale emergerebbe l'inattività dell'impresa fallita a partire da fine 2012/inizio 2013, da un lato afferma - a fine pag. 5 e pag.

6 - che la società era stata abbandonata al suo destino, segno inequivocabile di dissesto e fraudolenza già in atto, ma, al contempo - a pag.

8 - contraddittoriamente sostiene che risulta «ragionevolmente dubitabile» che tre anni prima (fine 2009/inizio 2010) del limite temporale prescelto per valutare la sussistenza della bancarotta la fallita versasse in situazione di vero e proprio dissesto. A sostegno della censura si rimarca altresì che, alle pag. 7 e sgg, è la stessa sentenza impugnata ad ammettere chiaramente che la relazione ex. art. 33 I. fall. è fondata sulla contraddizione di ritenere la fallita in stato di grave dissesto già nel biennio 2009-2010 e poi attiva fino a tutto il 2012, affermando la redditività dell'impresa che era «sempre in utile con soddisfacenti risultati commerciali e realizzava, oltre ai ricavi di vendita, anche ricavi per l'affitto del ramo d'azienda».

2.4. Il quarto motivo deduce contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, per vizio di nullità, in riferimento al combinato disposto dagli art. 546, comma 1, lett. e), n. 1), 192, comma 1 e 125, comma 3, cod. proc. pen. con riguardo all'insussistenza degli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta. Secondo la difesa, la Corte si limita a recepire il contenuto contraddittorio della relazione ex. art. 33 I. fall. senza riconnetterlo in maniera logica e limpida alla condotta del ricorrente al fine di ravvisarne la sua responsabilità penale. In particolare, la pronuncia fa riferimento testualmente a «precisi indici di fraudolenza», ma in realtà ne cita solo uno: la collocazione cronologica dell'operazione della cessione, elemento già di per sé controverso data la chiusura in attivo dei bilanci a tutto il 2012.Altra carenza riscontrata riguarda l'assenza di motivazione riguardo alla ravvisata inattendibilità dei documenti prodotti dalla difesa (la visura Cerved di Mylae Dulcis s.r.I., ramo complementare a Eoliana s.a.s. a cui è stato dato valore di euro 121.000,00 e la copia del rendiconto fallimentare in cui valore conferito alla Mylae Dulcis s.r.I., in prospettiva transattiva, era di euro 50.000,00. Infine, si rileva l'incoerenza della ricostruzione dell'elemento soggettivo laddove, a pag. 7, la pronunzia impugnata ravvisa il dolo generico nella «consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa», ma, a pag. 9, afferma l'assenza di colpa grave quanto alle scelte imprenditoriali di L Presti in considerazione delle concrete prospettive di ripresa dell'attività aziendale. Si contesta altresì che la Corte, sul punto, non ha tenuto conto del rilievo difensivo posto con l'atto di appello riguardo l'istanza di concordato preventivo intervenuta, ad aprile 2014, quale tentativo, poi naufragato, di tutelare i creditori con la messa a punto di un piano di riparto. Posto il principio di legittimità secondo cui ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il pregiudizio deve sussistere al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento o del decreto di ammissione al concordato e non al momento della commissione dell'atto antidoveroso, si evidenzia che il ricorso al concordato, non rappresenta l'immagine di una società inattiva e abbandonata al suo destino, ma è piuttosto indicativo della sua possibilità di ripresa e della buona fede del ricorrente nella gestione della società Eoliana s.a.s. e dell'assenza di un reale pregiudizio per i creditori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile. Esso è reiterativo ed aspecifico in quanto non contrasta puntualmente il fulcro della ricostruzione svolta dalla Corte territoriale che si fonda sul fatto che la società ha ceduto di fatto i beni e i valori aziendali, tra cui lo stesso avviamento, alla Mylae Dulcis s.r.I., altra compagine gestita dall'imputato che, pur avendo acquisito i cespiti aziendali, nulla ha corrisposto alla fallita. Costituisce principio pluri-affermato da questa Corte quello secondo cui la cessione senza percezione del corrispettivo ad altra società — nel caso di specie per di più riconducibile allo stesso imputato - costituisce tipica condotta distrattiva in quanto sottrae all'attivo fallimentare i beni aziendali senza alcun introito corrispettivo.

1.1.Passando ad esaminare più nello specifico i singoli motivi, quanto al primo si osserva come esso sia manifestamente infondato già alla stregua della sua stessa formulazione. Con esso si assume che nel caso di specie non possa ravvisarsi alcuna distrazione poiché, da un lato, in precedenza, sarebbero stati regolarmente incamerati i canoni di affitto relativamente alla medesima azienda poi ceduta e, dall'altro, non sarebbe ravvisabile in capo all'imputato l'elemento soggettivo;
laddove la circostanza dell'introito dei canoni di affitto dell'azienda - che avrebbe generato utili per la società prima della cessione di fatto - non potrebbe giammai assumere valore dirimente ai fini della esclusione della distrazione ravvisata soprattutto in relazione alla successiva e diversa vicenda traslativa dell'azienda (sicché non rileva neppure la circostanza secondo cui l'affitto avrebbe avuto ad oggetto solo un ramo di azienda, quello del negozio di pasticceria, dal momento che la cessione riguardò l'intero complesso aziendale comprensivo anche dell'attività di produzione di pasticceria);
d'altra parte, ai fini della sussistenza della distrazione non è neppure richiesta la dimostrazione dello stato di decozione all'atto del compimento della condotta distrattiva perché ciò che rileva è che essa ponga in pericolo le ragioni creditorie;
né potrebbe assumere rilievo dirimente l'impostazione seguita dal ricorso in punto di elemento soggettivo erroneamente ravvisato nell'intento fraudolento di recare pregiudizio ai creditori dal momento che è pacifico che per la bancarotta fraudolenta patrimoniale è richiesto il dolo generico. Ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è irrilevante, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, l'assenza di un danno per i creditori (Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020 Ud. (dep. 09/04/2021), Rv. 281031 - 04).

1.2. Il secondo motivo palesa anch'esso tutta la sua manifesta infondatezza se già solo si considera il ragionamento in base al quale si mira ad accreditare l'insussistenza della distrazione: si assume che poiché l'azienda avente ad oggetto la vendita al dettaglio era stata ceduta alla moglie dell'imputato che l'aveva proseguita col medesimo oggetto sociale di 'pasticceria', si dovesse concludere che essa di fatto era comunque rimasta nella disponibilità dell'imputato che aveva infatti continuato a detenere le quote societarie non oggetto di cessione. Evidente è l'inconferenza di tale impostazione difensiva dal momento che il trasferimento di fatto dell'intero asse aziendale - comprensivo dell'attività del laboratorio e non solo della pasticceria - aveva comportato la inoperatività della società cedente rimasta da quel momento in poi inattiva, non avendo, a seguito della cessione, neppure più percepito i canoni di affitto dapprima versati dalla cessionaria in virtù del contratto di affitto (oramai risolto);
sicchè mentre è irrilevante il fatto che siano stati in precedenza percepiti i canoni, rileva piuttosto il fatto che con la cessione - senza corrispettivo - la società cedente - avviata in tal modo al fallimento - era stata spogliata di ogni attività e bene utili per poter proseguire. Né potrebbe rilevare la circostanza che di fatto abbia continuato a gestire l'azienda l'imputato dal momento che gli introiti dell'attività non erano girati alla fallita ma alla diversa società frapposta (la società a responsabilità limitata, formalmente amministrata dalla moglie del ricorrente, creata per ricevere dapprima in fitto l'azienda della fallita e poi di fatto il trasferimento di tutti i suoi beni senza corrispettivo;
circostanza che rende peraltro irrilevante l'esatto ammontare dell'azienda ceduta comunque quantificata, nell'uno o nell'altro caso indicati in ricorso, in importi non modesti). Correttamente osserva la corte di appello che a ben vedere poco importa se si sia trattato di una cessione o di una continuazione di fatto del precedente rapporto di affitto, integrando entrambe le ipotesi una condotta distrattiva perché ciò che rileva è che la società sia subentrata nella gestione/godimento di quei beni senza corrispettivo, e sia stata l'unica a giovarsene, e ciò nonostante gli stessi non avessero affatto un valore irrisorio e fossero per di più corredati dall'avviamento (relativo ad attività risalente nel tempo). Risolto il contratto di affitto nel dicembre 2012 - evidentemente al fine di evitare il versamento dei canoni - la società subentrata aveva comunque proseguito la gestione dell'intero compendio aziendale della s.a.s. - poi fallita nel 2014 - senza corrispettivo, rimasta in tal modo - si ribadisce - privata di ogni bene utile ai fini dell'esercizio dell'attività e quindi im produttiva.
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