Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 04/11/2003, n. 16555

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L'art. 241, terzo comma, del R.D. n. 383 del 1934 fissa un divieto assoluto di svolgere attività libero professionale (nella specie, di geometra) per i dipendenti pubblici, senza che, nel sistema previgente alla legge n. 554 del 1988, possa distinguersi tra prestazione di lavoro a tempo pieno ed a tempo parziale, e senza che la possibilità, pur prevista, in presenza di speciali motivi, di autorizzazioni prefettizie allo svolgimento di altre attività possa riguardare l'esercizio della libera professione. Nè la disciplina introdotta dalla citata legge n. 554 del 1988, regolante il rapporto "part time" per i dipendenti di enti pubblici, e dal d.p.c.m. n. 117 del 1989, attuativo della stessa, che rende possibile al dipendente a tempo parziale lo svolgimento di altra attività professionale, può, anche in considerazione degli elementi di rottura che essa apporta rispetto alla normativa previgente, influire sui rapporti perfezionatisi nella vigenza di quella. Le limitazioni previste dal citato arte. 241, terzo comma, del R.D. n. 383 del 1934 in ordine alle possibilità per i dipendenti pubblici di esercitare anche attività libero professionale manifestamente non si pongono in contrasto con gli artt. 4 e 35 Cost., trattandosi di attività liberamente scelta dal lavoratore e regolarmente retribuita, e conseguentemente non comportano violazione dell'art. 38 Cost.; ne' esse violano la libertà di iniziativa economica, essendo esse imposte dal legislatore quale garanzia per il buon andamento della P.A., e, quindi, a tutela di interessi generali.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 04/11/2003, n. 16555
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16555
Data del deposito : 4 novembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. S P - rel. Consigliere -
Dott. B B - Consigliere -
Dott. D I C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARGAIRA BRUNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI N. 288, presso lo studio dell'avvocato M P, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato F P M, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
C I DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante "pro tempore", elettivamente domiciliato in

ROMA VIA RONCIGLIONE

3, presso lo studio dell'avvocato F G, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sent. n. 173/00 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 23 maggio 2000 - R.G.N. 229/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 febbraio 2003 dal Consigliere Dott. P S;

udito l'Avvocato ROSSI per delega PERSIANI;

udito l'Avvocato G;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G N che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza datata 27 gennaio 1999, il Pretore di Torino rigettava il ricorso con il quale B M aveva chiesto - previa declaratoria di nullità della decisione adottata dalla Cassa Previdenza Geometri in data 8 luglio 1997 e riconoscimento del proprio diritto alla iscrizione alla predetta Cassa nel periodo 1961 al 1978 - la condanna della convenuta alla liquidazione ed al pagamento in suo favore del trattamento pensionistico di vecchiaia, con rivalutazione ed interessi.
Avverso tale decisione B M proponeva appello con ricorso depositato in data 28 febbraio 2000, chiedendone la riforma ed il riconoscimento del suo diritto, sulla base di motivi variamente articoli.
Si costituiva la Cassa Previdenza Geometri che chiedeva la reiezione del gravame. Con sentenza del 9-23 maggio 2000, l'adita Corte d'Appello di Torino rigettava l'appello, osservando che le norme regolanti, nell'arco temporale oggetto di controversia, l'incompatibilità tra rapporto di lavoro alle dipendenze di Enti Pubblici e l'esercizio della libera professione non permettevano di effettuare alcuna distinzione tra lavoro a tempo pieno ed a tempo parziale, come si evinceva dallo stesso tenore, oltre che dalla "ratio", dell'art. 7 R.D. n. 274 del 1929 e dell'art. 241 R.D. n. 383 del 1934 (T.U.). Osservava ancora la Corte che la disciplina successivamente introdotta dalla legge n. 554 del 1988, regolante il rapporto "part time" anche per i dipendenti di enti pubblici, si poneva come "norma di rottura con la situazione previgente" e quindi non forniva alcun contributo a favore della tesi del ricorrente;
inoltre, la sollevata questione di legittimità costituzionale delle norme di cui al T.U. del 1934 (art. 241) e dell'art. 7 del R.D. n. 274 del 1929 era infondata, in quanto dette norme non erano tali da ledere il diritto a svolgere un'attività lavorativa - se pur a tempo parziale -, trattandosi di attività liberamente scelta.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre B M con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste la Cassa di Previdenza ed Assistenza dei Geometri con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va premesso, in punto di fatto, per una più chiara esposizione delle censure in diritto mosse alla impugnata decisione, che - come risulta pacifico tra le parti - B M, già esercente la libera professione di geometra ed iscritto al relativo albo professionale dal 1952, era stato iscritto "ex lege" alla Cassa Previdenza Geometri dal 1961.
Lo stesso era stato assunto dal Comune di Condove nel 1959, in qualità di tecnico comunale, con rapporto inizialmente provvisorio e successivamente - dal 3 giugno 1962 - definitivo ed in ruolo, ma con obbligo di servizio di soli tre giorni alla settimana. Avendo, successivamente, il Comune di Condove deciso di introdurre nel proprio organico il posto di tecnico comunale a tempo pieno ed avendo assunto, a seguito di selezione concorsuale, altro geometra, il M era stato licenziato con decorrenza 1^ febbraio 1979. Per il periodo lavorativo alle dipendenze del Comune di Condove, il M aveva maturato il diritto al trattamento pensionistico del competente Ente Previdenziale (INPDAP) ma, avendo sempre svolto anche l'attività professionale libera - dapprima a tempo parziale e successivamente all'1 febbraio 1979 a tempo pieno - aveva altresì maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, della quale chiedeva la liquidazione. La domanda veniva, tuttavia, respinta dalla Cassa Previdenza Geometri, la quale riteneva incompatibile l'iscrizione - per il periodo 1961-1979 - con il rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune di Condove e pertanto non valida la contribuzione relativa a tale periodo. Il ricorso amministrativo proposto dallo stesso M veniva a sua volta respinto e questi adiva l'autorità giudiziaria dando luogo alla controversia in oggetto. O, con il primo mezzo di impugnazione, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 241 T.U. n. 383 del 1934 e dell'art. 7 del R.D. n. 274 del 1929, violazione dell'art. 12 preleggi, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che detta normativa, statuente la
incompatibilità tra la qualità di dipendente pubblico e la libera professione, riferendosi alla sola attività a tempo pieno, erroneamente sarebbe stata applicata, nella sentenza impugnata, in relazione a quella - come la propria - svolta per soli tre giorni alla settimana. Più specificamente, il M si duole che il Giudice "a quo", di fronte ad una lacuna normativa, costituita dalla mancata previsione, all'epoca della disciplina sopra richiamata, del lavoro a "tempo parziale" non abbia fatto ricorso ai principi codificati nel secondo comma dell'art. 12 cit., e cioè all'analogia o ai principi generali dell'ordinamento.
Il motivo è infondato.
Come correttamente sostenuto dal Giudice di secondo grado, le norme regolanti, nell'arco temporale oggetto del presente giudizio, l'incompatibilità tra il rapporto di lavoro alle dipendenze di Enti Pubblici e l'esercizio della libera professione non permettono di effettuare alcuna distinzione tra lavoro a tempo pieno ed a tempo parziale, alla stregua di quanto si evince dallo stesso tenore letterale dell'art. 7 R.D. n. 274 del 1929 e dall'art. 241 T.U. n. 383 del 1934, ne' tantomeno una siffatta distinzione potrebbe ricavarsi dall'esame della "ratio" delle suddette norme, le quali sono espressione della volontà del legislatore di tutelare l'interesse della Pubblica Amministrazione a ricevere prestazioni che non siano esposte, nemmeno a livello di possibilità teorica, a negligenza, trascuratezza ovvero al condizionamento di interessi diversi da quelli del Comune.
Il divieto sancito dal combinato disposto dell'art. 7 R.D. n. 274 del 1929 e dell'art. 241 T.U. n. 383 del 1934, infatti, è volto a
tutelare la trasparenza della P.A. attraverso il divieto di commistione tra attività pubblica ed attività privata idonea a favorire la violazione dei doveri di diligenza e dedizione imposti al pubblico funzionario.
Come, ancora, correttamente osservato dalla Corte d'Appello di Torino nella sentenza impugnata, detta commistione deve essere valutata "... sul piano sostanziale nonché in relazione alla natura dell'attività svolta e non già sul piano meramente formale, o temporale- geografico, della limitazione nel tempo (tre giorni alla settimana) del servizio dedicato all'Ente Pubblico o della limitazione nello spazio (al di fuori del territorio comunale di competenza) dell'attività professionale libera".
Questo essendo il principio ordinatore del divieto assoluto, imposto dall'art. 7 del R.D. n. 274 del 1929 e dall'art. 241 del T.U. del 1934, di svolgere attività libero professionale di geometra per i dipendenti pubblici, nonché la ratio delle norme, risulta di tutta evidenza che la circostanza dell'assunzione a tempo parziale da parte del Comune non può considerarsi idonea a porre nel nulla il pericolo di commistione oggetto della tutela legislativa imposta a tutti i dipendenti pubblici.
Anzi, potrebbe, al contrario, sostenersi - come in effetti sostiene la resistente - che proprio lo svolgimento per soli tre giorni alla settimana dell'attività alle dipendenze del Comune si presta meglio a favorire l'insorgere di interessi, tra loro contrapposti, idonei a determinare quella commistione tra attività pubblica ed attività privata a cui la norma chiaramente si riferisce.
Ponendosi in tale adeguata prospettiva, non appare quindi ravvisabile alcuna lacuna normativa dal momento che la corretta applicazione del principio dell'analogia porta ad estendere anche e soprattutto al lavoro a tempo parziale l'incompatibilità prevista dalla legge in vigore nel periodo in oggetto.
Questa, peraltro, è l'interpretazione che delle norme danno le stesse Sezioni Unite della Cassazione con la sent. n. 7845/94, che, proprio nell'esaminare le intervenute diverse esigenze del mercato del lavoro che hanno indotto il legislatore a sovvertire l'indirizzo intrapreso con l'art. 241 del T.U. del 1939, hanno evidenziato come "... sarebbe controproducente rispetto alle mutate esigenze del mercato del lavoro mantenere il divieto dell'esercizio della professione per quei dipendenti che non dedicano tutto il loro impegno all'amministrazione...".
In virtù dei principi normativi e giurisprudenziali richiamati dalla stessa Corte d'Appello di Torino, deve ritenersi, pertanto, che la stessa abbia correttamente interpretato la legge e sufficientemente motivato sul punto.
Diversamente si deve affrontare il problema alla luce della legge n. 554 del 1988 che ha introdotto il cosiddetto "part time" per i
pubblici dipendenti così come evidenziato dal ricorrente. Correttamente il geom. M evidenzia come la materia del pubblico impiego sia stata profondamente modificata dalla richiamata legge n. 554 del 1988 e dal D.P.C.M. n. 117 del 1989, attuativo della stessa.
In base a detta nuova disciplina, infatti, è stato reso possibile al dipendente "part time" di Ente Pubblico svolgere anche altra attività professionale senza incorrere nella incompatibilità in oggetto.
Tuttavia, è opportuno ribadire quanto evidenziato dal Giudice "a quo", ed affermato dalle Sez. Un. di questa Corte con la menzionata sent. n. 7845/94, ossia come la nuova normativa apporti elementi di totale rottura rispetto alla ratio della normativa previgente e non idonei ad influire sui rapporti perfezionatisi nella vigenza della normativa pregressa di indirizzo diametralmente opposto. Ed è il caso di aggiungere - seguendo le linea interpretativa della ora richiamata giurisprudenza delle Sez. Un. - che, anche considerando le mutate esigenze del mercato del lavoro, continua ad esistere il problema della compatibilità dell'esercizio della libera professione con le esigenze dell'amministrazione di appartenenza, ma che tale problema, "da verificare non in astratto, bensì nella concretezza dei singoli casi", ha trovato adeguato riscontro normativo nella motivata deroga consentita dalla suddetta amministrazione, "perfettamente in grado di valutare tutti gli eventuali riflessi negativi". Neppure appare superfluo rimarcare che le stesse sez. un. hanno tenuto a puntualizzare che "anche l'art. 241 T.U. com. e prov.
cit., che stabilisce il divieto assoluto per i dipendenti comunali dell'esercizio della professione, prevede la possibilità di autorizzazioni derogative, in presenza di speciali motivi, da parte del prefetto;
ma, a prescindere dall'autorità legittimata a concedere l'autorizzazione (il prefetto e non l'amministrazione di appartenenza), essa non è mai prevista per l'esercizio della libera professione".
Infondato è anche il secondo motivo, con cui il ricorrente, invocando l'art. 360, n. 5, c.p.c., lamenta l'insufficiente motivazione data dalla Corte d'Appello sulla presunta mancata considerazione dei provvedimenti del Prefetto di Torino e del Giudice penale che - sempre secondo il ricorrente -, avrebbero implicitamente "legittimato" la sua posizione.
Secondo il M, infatti, la corretta interpretazione dei due provvedimenti richiamati, avrebbe condotto ad una conclusione diversa e sarebbero, quindi, da considerarsi elementi decisivi della controversia.
Senonché, sullo specifico punto, la Corte d'Appello ha correttamente applicato il dettato della legge che sancisce il divieto assoluto degli impiegati dello Stato e delle altre pubbliche Amministrazioni di esercitare la libera professione qualora l'ordinamento loro applicabile espressamente lo vieti.
Nel caso di specie, infatti, la Corte d'Appello di Torino ha evidenziato che l'incompatibilità deriva dal divieto imposto dall'art. 44 del Regolamento organico del personale del Comune di Condove e si è limitata a porre in relazione detto articolo con il dettato dell'art. 7 R.D. n. 279 del 1929 e dell'art. 241 del T.U. n. 383 del 1939.
La Corte, peraltro, non ha fatto altro che recepire la consolidata giurisprudenza di legittimità che sul punto ha inequivocabilmente sancito che "l'art. 241, terzo comma, del R.D. n. 383 del 1934 fissa un divieto assoluto di esercizio della professione a carico dei dipendenti comunali e, pertanto, è ostativo all'iscrizione dei dipendenti medesimi nell'albo dei geometri, in quanto l'art. 7 del loro regolamento professionale, di cui al R.D. 11 febbraio 1929, n. 274, recepisce, quali situazioni di incompatibilità con l'iscrizione
di pubblici impiegati, le ipotesi in cui costoro, secondo l'ordinamento dell'amministrazione di appartenenza non possono svolgere attività professionale..." ("ex plurimis", Cass. 3 febbraio 1989, n. 655). Deve pertanto ritenersi corretta la efficacia preclusiva attribuita dalla Corte d'Appello all'art. 44 del Regolamento organico del personale del Comune di Condove che di per sè rende inapplicabile al caso di specie il terzo comma dell'art. 7 del R.D. n. 274 del 1929, il quale subordina l'esercizio della professione alla specifica e motivata autorizzazione degli organi gerarchicamente preordinati. Ne discende che il "parere" del Prefetto di Torino sulla legittimità dell'esercizio della professione al di fuori del Comune, non può in ogni caso considerarsi elemento idoneo a derogare l'obbligatorietà del precetto di legge di cui al primo comma dell'art. 7 R.D. n. 274 del 1929 e al terzo comma dell'art. 241 T.U. n. 383 del 1934, ne'
può considerarsi idonea autorizzazione al legittimo svolgimento dell'attività professionale in violazione della legge, tenuto anche conto che esso - come riferito dallo stesso M - si era espresso "per la possibilità dell'esercizio della libera professione, da parte del ricorrente, purché conciliabile con i doveri di ufficio, e particolarmente al di fuori della circoscrizione comunale", senza, quindi, alcuna valutazione della sussistenza, in concreto, di detti presupposti.
Privo di rilevanza è poi il richiamo fatto dal geom. M al decreto di archiviazione emesso il 24 luglio 1971, giacché la mancanza degli "estremi di penale responsabilità", non consente, di per sè, di affermare la regolarità della posizione previdenziale del geometra.
Circa, poi, la invocata violazione degli artt. 4, 35, 38 e 41 della Costituzione in relazione all'art. 241 del T.U. del 1934, denunciata con il terzo motivo di ricorso, ritiene il Collegio che la Corte d'Appello di Torino abbia adeguatamente motivato la propria decisione evidenziando come non sussistano idonei elementi che possano far ritenere violati i diritti costituzionalmente garantiti. In particolare, detta normativa non lede il diritto a svolgere una attività lavorativa - se pure a tempo parziale -, trattandosi di attività liberamente scelta dal lavoratore e regolarmente retribuita (artt. 4 e 35 Cost.), e conseguentemente non comporta, di per sè, alcuna violazione dell'art. 38 Cost. In merito al contrasto con l'art. 41 Cost., pure dedotto dal ricorrente, è sufficiente osservare come le limitazioni previste dalle norme per i dipendenti pubblici, in ordine alla possibilità di esercitare anche attività libero professionale, non violano il diritto alla libertà di iniziativa economica, considerato che esse sono state imposte dal legislatore quale garanzia per il buon andamento della Pubblica Amministrazione e quindi a tutela di interessi generali.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

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