Cass. pen., sez. VI, sentenza 07/02/2024, n. 22283
Sentenza
7 febbraio 2024
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7 febbraio 2024
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Massime • 1
In tema di revisione, i fatti da porre a base del giudizio di inconciliabilità di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. non si identificano con i meri fatti storici intesi nella loro dimensione naturalistica, ma includono gli elementi normativi della fattispecie richiamati nel precetto penale, ferma restando la irrilevanza della sola divergenza tra valutazioni giuridiche. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza di patteggiamento relativa al reato di abuso d'ufficio tentato, cui era seguita sentenza assolutoria nei confronti dei coimputati per il medesimo fatto, emessa sul presupposto dell'assenza della violazione di legge e dell'obbligo di astensione).
Sul provvedimento
Testo completo
22283 -24 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE PENALE Composta da Giorgio Fidelbo -Presidente- Sent. n. Sez. 195/2024 07/02/24 Emilia Anna Giordano -Relatrice - C.C. R.G.N. 41383/2023 Martino Rosati Pietro Silvestri D'Arcangelo RI ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: AP SA, nata a [...] il [...] avverso l'ordinanza del 18/09/2023 della Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica, nell'interesse della ricorrente, depositata dal difensore, Avvocato Vittorio Manes. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Trieste, con ordinanza del 18 settembre 2023 resa in esito a udienza camerale partecipata, ha dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza l'istanza di revisione proposta da SA AP avverso la sentenza di patteggiamento del giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Trento del 17 giugno 2020. La sentenza di patteggiamento a carico della AP è relativa ad una pluralità di reati di truffa, peculato e altro fra i quali il reato di tentato abuso in atti di ufficio contestato al capo a), (artt. 56, 110, 323 cod. pen.), in concorso con ER IA, RI OB, EA AS e LO CC, per i quali si era proceduto separatamente. Secondo l'imputazione AP SA, in qualità di dirigente del Servizio Centrale Unica di Emergenza PAT (CUE), successivamente nominata presidente della commissione giudicatrice, nell'ambito della procedura concorsuale indetta per l'assunzione a tempo indeterminato di "un funzionario tecnico", intenzionalmente poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare ingiusto vantaggio patrimoniale a RI OB e a ER IA - risultati primo e secondo classificato -, non riuscendo a portare a consumazione il reato per fatti indipendenti dalla sua volontà. Secondo la contestazione l'imputata aveva agito in concorso con ER IA, RI OB, EA AS e LO CC, ricercatori e membri della LE una struttura dell'Università di Trento che aveva rapporti di lavoro con il Servizio CUE e con i quali collaborava sistematicamente -, in violazione di norme di legge e regolamento (artt. 37, legge n. 7 della Provincia Autonoma di Trento del 3 aprile 1997, e 3, comma 1, lett. a) del decreto del n. 22/102/leg. del 12 ottobre 2007 del Presidente della Provincia autonoma di Trento e 51 cod. proc. civ.), che ne imponevano l'astensione anche perché sia IA che OB erano coautori di produzioni scientifiche con la AP, 2.I coimputati della AP, con sentenza del giudice dell'udienza preliminare del 17 giugno 2020, emessa a seguito di rito abbreviato, erano stati condannati per medesimo reato, ma con sentenza della Corte di appello di Trento del 12 novembre 2021 sono stati assolti perché il fatto non sussiste. La sentenza di appello ha rilevato che emergevano indici distonici sul punto del confezionamento a misura di IA e OB dei requisiti del bando del concorso, al quale avevano partecipato numerosi candidati, concorso bandito in forza di titoli non abbastanza selettivi (la laurea in ingegneria delle telecomunicazioni) e che non erano, di per sè, indici rivelatori della surrettizia scelta di restringere la cerchia dei candidati in modo da favorire i due prescelti, tanto è vero che, esclusi i cinque candidati che non avevano il titolo richiesto, al concorso avevano partecipato altri dodici candidati, ammessi alla prova d'esame. Evidenziava, altresì, che non si era in presenza di un concorso per soli titoli ma di un concorso per titoli e esami, con 2 prova scritta e orale, giudicati da una commissione esaminatrice attraverso una procedura nella quale non risulta accertata alcuna ingerenza indebita della AP.
3.La Corte di appello di Trieste, con l'ordinanza impugnata, ha ritenuto condivisibile, in via generale, la tesi della inammissibilità della richiesta di revisione della sentenza di applicazione pena fondata sulla fattispecie di cui all'art. 630, lett. a) cod. proc. pen. poiché nella sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. non vi è il riferimento ai fatti storici sui quali dovrebbe fondarsi la sentenza medesima ed è insufficiente, al fine di ricostruire la motivazione, il riferimento, del giudice che pronuncia la sentenza, alla insussistenza di elementi sui quali dovrebbe fondarsi l'applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen. In prosieguo, tuttavia, la Corte territoriale ha esaminato l'istanza di revisione facendo applicazione dell'orientamento secondo cui non sussiste una pregiudiziale preclusione alla possibilità di sottoporre a revisione la sentenza di applicazione pena anche ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., pervenendo alla conclusione che non sussiste contrasto tra giudicati, agli effetti dell'art. 630, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., poiché i fatti posti a base delle due decisioni sono stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale è frutto di difformi valutazioni.
4.Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, la ricorrente denuncia:
4.1. violazione di legge, in relazione all'art. 629 cod. proc. pen. e agli artt. 3,13,24, comma 4, 25, comma 2, 27 Cost. e 7 Cedu, nella parte in cui l'ordinanza impugnata ha escluso la possibilità di accedere alla revisione in caso di sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. La tesi sostenuta dalla Corte di appello di Trieste, generalizzando affermazioni contenute nelle sentenze che ha richiamato, ma che si riferiscono a temi diversi, omette di esaminare la incidenza della modifica dell'art. 629 cod. proc. pen. che, a seguito della legge del 12 giugno 2003 n. 134, assoggetta espressamente a revisione le sentenze emesse a sensi dell'art. 444 cd. proc., modifica seguita da giurisprudenza ormai assestata nel senso di ammettere, a determinate condizioni, la revisione della sentenza di applicazione pena. La giurisprudenza si è occupata, specificamente, del caso in cui sia allegato il contrasto della sentenza di patteggiamento con la sentenza di merito, nei confronti di coimputato: in tal caso la inammissibilità non può innestarsi sulla diversità del rito e delle valutazioni compiute nell'una e nell'altra decisione ma la inconciliabilità deve riferirsi ai fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna pronunciata nel giudizio ordinario. 3 La dichiarazione di inammissibilità della revisione di una sentenza di applicazione pena, alla luce dalla giurisprudenza di legittimità, è adottata in violazione dell'art. 629 cod. proc. pen., e dei principi innanzi richiamati, risolvendosi nell'applicazione di una pena illegale perché priva di base legale e di giustificazione, secondo il percorso tracciato dalla Corte EDU, nel caso Scoppola, e dalla giurisprudenza di legittimità. Né è condivisibile l'affermazione dell'ordinanza impugnata secondo cui "l'assenza nella motivazione della sentenza di patteggiamento di un riferimento, anche minimo, agli elementi di fatto sui quali poggia la condanna patteggiata, crea non poche difficoltà di ordine logico con riferimento alla dedotta ipotesi di revisione della sentenza ex art. 444 cod. poc. pen.", tenuto conto che, nel caso in esame, il giudice aveva escluso la sussistenza dell'ipotesi di cui all'art. 129 cod. proc. pen. "alla luce degli elementi probatori, univoci e concordanti, rispetto alla realizzazione del reato contestato e alla sua attribuibilità all'imputata", precisandoli, alla stregua delle condotte descritte nell'imputazione, e delle fonti di prova;
4.2. violazione di legge (in relazione all'art. 630 lett. a) cod. proc. pen.) e cumulativi vizi di motivazione nella parte in cui l'ordinanza impugnata ha utilizzato una erronea accezione del "fatto", motivando illogicamente sull'asserito contrasto tra i diversi fatti ricostruiti e nella parte in cui ha assunto a termine di confronto non la sentenza patteggiata e quella di assoluzione ma la sentenza di primo grado nei confronti dei coimputati e quella successiva, resa in appello, nel medesimo procedimento. Rileva che la giurisprudenza ha precisamente enucleato la portata del contrasto tra giudicati sulla base della nozione di fatto che, secondo l'accezione individuata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 200 del 2016, non può individuarsi nel "mero accadimento storico" ma "nella sua dimensione giuridica", che costituisce la risultante di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi e, quindi, quando vi sia corrispondenza storico- naturalistica nella