Cass. pen., SS.UU., sentenza 14/11/2018, n. 51515
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ato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da R G s.p.a., in persona dell'Avvocato S C, quale procuratore speciale avverso l'ordinanza del 15/09/2017 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;sentita la relazione svolta dal componente A M;udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale aggiunto F M I, che ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;uditi gli avvocati R F e F C, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe ha dichiarato inammissibile, inaudita altera parte, per carenza di interesse all'impugnazione, l'appello proposto dal procuratore speciale della R G s.p.a. avverso l'ordinanza con la quale, in data 31 maggio 2017, era stata applicata alla predetta società la misura cautelare del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione per il periodo di un anno. Il Tribunale ha dichiarato inammissibile l'appello, in considerazione dell'intervenuta revoca della misura cautelare interdittiva, disposta dal Tribunale di Roma, sezione feriale, in data 1 agosto 2017, con provvedimento reso ai sensi degli artt. 17 e 49, comma 4, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione la società R G s.p.a, deducendo l'erronea applicazione dell'art. 127, comma 9, cod. proc. pen.. Nel ricorso si evidenzia che la revoca della misura interdittiva è intervenuta dopo la proposizione dell'appello cautelare, di talché il Tribunale avrebbe dovuto celebrare l'udienza camerale nel contradditorio delle parti e valutare l'originaria sussistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari. Al riguardo, l'esponente rileva che la società, al fine di ottenere la sospensione della misura interdittiva, ha dovuto elaborare e dare attuazione ad un piano strategico e depositare rilevanti somme di denaro in favore di Consip e del Fondo unico per la giustizia;che il Tribunale di Roma, sezione feriale, ha disposto la revoca della misura interdittiva sulla base della verifica degli adempimenti ex art. 17 d.lgs. 231 del 2001 citato, senza valutare la sussistenza delle condizioni legittimanti l'adozione della misura cautelare;che nel corso del procedimento la società ha contestato sia l'originaria sussistenza dei gravi indizi dell'illecito amministrativo sia il pericolo di recidiva;che la permanenza dell'interesse ad impugnare è resa ancor più concreta dalla entità delle cauzioni e delle ulteriori somme versate, al fine di dimostrare l'insussistenza del profitto. L'esponente osserva che l'annullamento del provvedimento cautelare genetico determinerebbe per la società la possibilità di ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato. 2.1. Con successiva memoria contenente motivi aggiunti, la società ricorrente evidenzia plurime ulteriori ragioni di ordine sostanziale sottese all'interesse all'annullamento ex tunc del provvedimento interdittivo, anche in riferimento alla stessa configurabilità delle ipotesi di corruzione contestate ad Alfredo Romeo, quale autore del reato presupposto. Con l'atto di appello era stata dedotta l'originaria insussistenza dei gravi indizi dell'illecito amministrativo, in riferimento alla contestazione che era stata formulata sul presupposto della commissione del reato ex artt. 321, 318 e 319, cod. pen., da parte di Alfredo Romeo, nell'ambito delle procedure di evidenza pubblica gestite da Consip spa, procedure alle quali aveva preso parte la stessa R G s.p.a.. Osserva, inoltre, che, in base ai rinvii contenuti nell'art. 52 d.lgs. n. 231 del 2001, nel procedimento di impugnazione delle misure cautelari a carico degli enti si osservano le forme stabilite dall'art. 127 cod. proc. pen., con fissazione dell'udienza camerale, salvo il caso di inammissibilità originaria dell'impugnazione. 3. Con ordinanza del 19 gennaio 2018 la Sesta Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite. La Sezione rimettente osserva che sulla questione relativa alla censurata assenza di contradditorio con riferimento alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione pronunciata inaudita altera parte si registra un risalente contrasto giurisprudenziale. Nell'ordinanza si evidenzia che, ad un orientamento che privilegia l'utilizzo della forma procedimentale semplificata, ex art. 127, comma 9, cod. proc. pen. per la dichiarazione di inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento, si contrappone l'indirizzo in base al quale la declaratoria di inammissibilità dell'istanza di riesame di una misura cautelare reale deve essere pronunciata all'esito di udienza camerale partecipata, secondo quanto stabilito dall'art. 111, secondo comma, Cost.. La Sesta Sezione considera che, secondo la costante linea interpretativa della Corte regolatrice, la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione non deve scaturire necessariamente da una procedura caratterizzata dal rispetto delle forme partecipative di cui all'art. 127 cod. proc. pen.;che l'art. 591, comma 2, cod. proc. pen., norma generale in tema di inammissibilità dell'impugnazione, si limita a disporre che il giudice provveda con ordinanza, senza richiamare le previsioni dell'art. 127 cod. proc. pen.;e che il sistema contempla schemi procedimentali atipici, nell'ambito dei quali è autorizzata l'adozione di provvedimenti de plano. Nell'ordinanza di rimessione si precisa che si tratta di soluzioni coerenti con le garanzie convenzionali sul diritto di accesso ad un tribunale, ex art. 6, par. 1, CEDU. La Sezione rimettente osserva che il rapporto processuale di impugnazione non risulta impermeabile rispetto agli eventi verificatisi medio tempore;e che l'interesse all'impugnazione richiesto dall'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., deve persistere al momento della decisione secondo una valutazione che ponga in comparazione dati processuali concretamente individuabili, quali il provvedimento impugnato e quello che il giudice ad quem potrebbe emanare a seguito dell'accoglimento dell'impugnazione. L'ordinanza evidenzia, inoltre, che in base al nuovo comma 5-bis, dell'art. 610, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, la Suprema Corte può dichiarare senza formalità di procedura determinate cause di inammissibilità, in linea di continuità con l'orientamento interpretativo che distingue le categorie di inammissibilità ed i corrispondenti meccanismi di rilevazione. A tale riguardo, considera che il predetto paradigma discretivo deve ritenersi applicabile nei procedimenti, principali o incidentali, anche di merito;con la precisazione che la carenza di interesse all'impugnazione non rientra tra le cause di inammissibilità di immediata rilevazione, secondo la stessa classificazione riveniente dal richiamato dettato codicistico. Nell'ordinanza si osserva che, secondo il rinvio operato dall'art. 52, comma 1, ultimo periodo, d.lgs. n. 231 del 2001, il sistema delle impugnazioni delle misure cautelari a carico deli enti collettivi prevede esclusivamente la possibilità di proporre appello e ricorso per cassazione, secondo le disposizioni di cui agli artt. 322-bis, commi 1-bis e 2, e 325 cod. proc. pen.;con la conseguenza che risulta applicabile il modello procedimentale delineato dall'art. 127 cod. proc. pen., nell'ambito del quale è prevista, al comma 9, la dichiarazione di inammissibilità "anche senza formalità". Si sottolinea, inoltre, che il procedimento applicativo di misure cautelari reali (art. 47, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001) è caratterizzato da un contraddittorio anticipato, rispetto all'adozione della misura e che il sistema prevede che la società possa avanzare istanza di sospensione della misura interdittiva (art. 49), per porre in essere le attività riparatorie cui viene condizionata l'esclusione delle sanzioni a norma dell'art. 17, d.lgs. cit.. Si rileva, altresì, che il giudice della cautela dispone la revoca della misura, a fronte della efficace attuazione del programma di riparazione (ai sensi dell'art. 49, comma 4, d.lgs. n. 231 del 2001). Si evidenzia, quindi, che il tenore dell'art. 50, comma 1, induce a ritenere che il legislatore ha individuato, quali ipotesi di revoca delle misure cautelari applicate agli enti collettivi, la mancanza - anche sopravvenuta - delle condizioni di applicabilità ex art. 45. La Sezione rimettente considera, infine, che le ipotesi di revoca previste dall'art. 50 d.lgs. n. 231 del 2001 possono essere adottate de plano, se pure il vaglio delibativo in ordine alla ricorrenza delle condizioni previste dall'art. 17 cit. impone la verifica dell'effettivo adempimento delle condotte riparatorie da parte dell'ente;e sottolinea che può persistere l'interesse in capo alla società a coltivare l'appello cautelare, anche in presenza della intervenuta revoca della misura, sia al fine di verificare l'originaria legittimità del provvedimento, sia in considerazione della perduranza di effetti incidenti sulla posizione dell'ente, quali il mantenimento delle cauzioni o la verifica della restituzione delle somme versate per l'ottenimento della sospensione della misura interdittiva.4. Il Primo Presidente Aggiunto, con decreto in data 11 giugno 2018, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127 cod. proc. pen. l'udienza del 27 settembre 2018. 5. In data 20 settembre 2018 la R G s.p.a. ha depositato memoria. Richiamati i tratti dell'intera vicenda cautelare, la ricorrente si sofferma sulla disciplina dettata dal decreto legislativo n. 231 del 2001, rispetto all'applicazione delle misure interdittive. Osserva che il contrasto giurisprudenziale richiamato nell'ordinanza di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, risulta in realtà apparente, in quanto le Sezioni Unite hanno già chiarito che anche in caso di revoca del provvedimento impugnato può persistere l'interesse alla decisione al fine di verificare la fondatezza dei motivi sulla mancanza originaria delle condizioni legittimanti il provvedimento medesimo. A sostegno dell'assunto, richiama pure la recente riforma dell'art. 610 cod. proc. pen., con l'introduzione del comma 5-bis. Con specifico riferimento al sistema delle impugnazioni delle misure cautelari disciplinato dal decreto legislativo n. 231 del 2001, la parte rileva che in caso di revoca della misura per insussistenza delle condizioni di applicazione ex art. 45 d.lgs. n. 231 del 2001, il giudice dell'impugnazione è chiamato ad una valutazione sulla legittimità della misura cautelare. Osserva, inoltre, che il Tribunale, nel caso che occupa, non poteva dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione con provvedimento de plano. Richiamato il pronunciamento delle Sezioni Unite sull'ambito applicativo dell'art. 620, lett. I), cod. proc. pen., a seguito delle modifiche introdotte dalla novella del 2017, la parte chiede l'annullamento senza rinvio del provvedimento e l'accoglimento ad opera del Supremo Consesso dei motivi di censura già affidati all'atto di appello cautelare, che vengono richiamati nella memoria.
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