Cass. pen., sez. II, sentenza 03/02/2023, n. 04853

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 03/02/2023, n. 04853
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 04853
Data del deposito : 3 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: NATALE C G, nato a Napoli il 29/11/1965 avverso la sentenza del 17/12/2021 della Corte d'appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e i motivi nuovi;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE NTRO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale F Z, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l'avv. A C, difensore di N C G, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/12/2021, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 23/06/2021 del G.u.p. del Tribunale di Roma, emessa in esito a giudizio abbreviato, revocava la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, mentre confermava la condanna di C G N per quattro reati di riciclaggio (capi 1bis, 2, 3bis e 4-bis dell'imputazione), tre reati di sostituzione di persona (capi 1, 3 e 4 dell'imputazione) e un reato di ricettazione (capo 5 dell'imputazione), nonché la dichiarazione di delinquente abituale dello stesso N, ai senso dell'art. 102 cod. pen. Secondo i capi d'imputazione, i quattro reati di riciclaggio erano stati contestati all'imputato perché: 1) «dopo avere acquistato o ricevuto da ignoti l'assegno 0075165670 Unipol di euro 2735,00 provento di furto durante la spedizione ai danni di L B, lo sostituiva in denaro contante dopo averlo versato sul c.c. n. 5319/82 Banca popolare di Sondrio aperto in frode a nome L B, in particolare effettuando n. 1 prelievo di C 1.500, n. 1 ricarica di C 1000 della carta prepagata n. 540608100007770, n. 1 prelievo di C 750,00 mediante tre operazioni di C 250,00 cadauna» (capo ibis);
2) «dopo avere acquistato o ricevuto l'assegno n. 2903428805-04 Intesa San Paolo di euro 2700,00 destinato a Menichelli Massimo nato a Roma il 27/02/1960, provento di furto durante la spedizione, dopo averlo versato sul c.c. n° 2058 presso Agenzia 146 della

BCC

Roma, sita in Roma via Trionfale nr. 8682, aperto in frode a nome Massimo Menichelli lo sostituiva in denaro contante mediante prelievi a mezzo carta bancomat» (capo 2);
3) «dopo avere acquistato o ricevuto l'assegno n. 2903428901-09 di 2935,00 euro Banca Intesa San Paolo denunciato sottratto da Patrizio Elli lo sostituiva con denaro contante dopo averlo versato sul c.c. n. 1178 B.C.C. aperto con frode a nome Elli» (capo 3bis);
4) «dopo aver acquistato o ricevuto da ignoti l'assegno 8602946431 BPM di euro 540,00 emesso da Tua assicurazioni a favore di Nicola Crescenzo Manna provento di furto durante la spedizione come da denuncia del 8 luglio 2019 presso cc Pomigliano D'Arco, con la consapevolezza e la volontà lo trasformava in moneta contante versandolo su conto corrente bancario nr. 13552344404360 aperto a nome Nicola Crescenzo Manna presso la succursale B5 della Banca Sella» (capo 4bis).

2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione C G N, per il tramite del proprio difensore, affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce: «[v]iolazione di legge e difetto motivazione sotto il profilo dell'erronea interpretazione e conseguenziale applicazione dell'art. 648bis c.p., per difetto degli elementi strutturali, relativamente ai capi lbis, 2, 3bis e 4bis, così come risulta dal testo del provvedimento impugnato;
inosservanza o erronea applicazione dell'art. 521, primo comma c.p.p., avendo omesso la Corte di Appello [di] riqualificare il fatto ai sensi degli artt. 81 cpv e 648 c.p. in termini di ricettazione continuata». Il ricorrente sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello di Roma, le concrete fattispecie da lui poste in essere dovessero essere qualificate come ricettazione e non come riciclaggio, atteso che: quanto all'elemento materiale, posto che, ai fini della sussistenza del delitto di riciclaggio, è necessaria «una specifica idoneità ad ostacolare quel particolare aspetto delle attività investigative tendenti ad accertare la provenienza furtiva degli assegni», nel caso di specie «la provenienza furtiva degli assegni è rimasta intatta», atteso che l'identificazione di tale provenienza non è ostacolata «né [dalla] mera aggiunta abusiva ed illecita del cognome del prenditore, né [dall']operazione di versamento sul conto corrente che non [impediscono] né l'una, né l'altra il tracciamento dell'assegno, la ricostruzione delle sue vicende e l'identificazione esatta dell'autore dei fatti»;
quanto all'elemento psicologico, egli aveva agito non con il fine di «ripulitura del denaro, ma [di] conseguimento del [...] profitto» costituito dalla riscossione degli assegni, «accettando il rischio che, essendo [tali] titoli pur sempre collegabili ai delitti presupposti, le attività investigative avrebbero potuto con tutta evidenza condurre - senza ostacolo alcuno - agli assegni sottratti ed incassati con [gli] artifici [posti in essere] e, in definitiva, come poi di fatto avvenuto, alla sua persona».

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce «[v]iolazione di legge e difetto di motivazione sotto il profilo dell'erronea interpretazione e conseguenziale applicazione dell'art. 102 c.p. sotto il profilo dell'accertamento della concreta pericolosità sociale, così come risulta dal testo del provvedimento impugnato». Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello di Roma avrebbe dichiarato la propria abitualità nel delitto, presunta dalla legge, sulla base di «una sostanziale equiparazione della dichiarazione di abitualità alla recidiva, sicché è stato ritenuto sufficiente limitarsi a prendere atto che l'imputato ha commesso, nel rispetto di alcuni requisiti, una serie di delitti, procedendo poi ad una scarna motivazione in tema di pericolosità sociale con il mero richiamo ad alcune dichiarazioni rese dall'imputato in sede di interrogatorio di garanzia» ed effettuando, altresì, una parcellizzazione di dette dichiarazioni», nelle quali egli aveva anche dichiarato «di essersi ricongiunto con la moglie (titolare di autonoma attività commerciale di ottica), e di aver così chiuso ogni rapporto con i circuiti criminali» (così il ricorso). La considerazione non parcellizzata ma complessiva delle proprie menzionate dichiarazioni farebbe dunque emergere l'illegittimità della dichiarazione di abitualità nel delitto ex art. 102 cod. pen., in quanto «non sorretta da doverosa e precisa motivazione in punto di attuale e concreta pericolosità sociale dell'imputato».

3. Il ricorrente ha presentato motivi nuovi, ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., relativi sempre alla dichiarazione di abitualità nel delitto, con il quali deduce: a) «[v]iolazione di legge e difetto di motivazione sotto il profilo dell'erronea interpretazione e conseguenziale applicazione dell'art. 102 c.p. quanto all'accertamento della concreta pericolosità sociale, così come risulta dal testo del provvedimento impugnato»;
b) «[n]ullità della sentenza nella parte in cui dichiara l'abitualità nel reato in assenza dei presupposti normativi della pluralità delle condanne precedenti (perché inferiori a tre) e della successiva nuova condanna (perché commessa in epoca antecedente al passaggio in giudicato della pronuncia dell'ultima condanna concernente precedenti delitti)»;
c) «[v]iolazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, e conseguente nullità di quest'ultima, nella parte in cui dichiara la delinquenza abituale in difetto di contestazione». Il ricorrente evidenzia anzitutto che, quanto ai reati per i quali era già stato condannato, presi in considerazione della Corte d'appello di Roma ai fini della dichiarazione di abitualità nel delitto, cinque erano stati ritenuti, dalla Corte d'appello di Roma, quale giudice dell'esecuzione, unificati dal vincolo della continuazione - in quanto commessi tutti nel 2014 e con un modus operandi comune (analogo a quello posto in essere nelle vicende oggetto del presente giudizio) - mentre solo uno, commesso nel 2019, non era stato oggetto di richiesta di unificazione in continuazione. Il ricorrente rappresenta quindi che quanto evidenziato: a) sotto un primo profilo, «rende difficilmente condivisibile l'impugnata dichiarazione di abitualità», atteso che «la sovrapponibilità temporale dei reati posti in continuazione (con l'unica eccezione della sentenza appena ricordata) avvalora l'opposta tesi difensiva secondo la quale il N, solo per le enormi difficoltà economiche legate al crollo del mercato dell'argento, e non certo perché abitualmente e persistentemente dedito al crimine, si sia determinato in preciso momento cronologico (l'anno 2014) ad alcune iniziative delittuose»;
b) sotto un secondo profilo, comporta che, «anche in applicazione del principio del favor rei che sorregge l'istituto della continuazione», i singoli delitti in continuazione dovrebbero essere «valutati ex art. 102 c.p. come un solo delitto», con la conseguenza che la censurata dichiarazione di abitualità risulterebbe pronunciata in difetto del presupposto normativo dell'essere già stato condannato per tre delitti. Quanto alla nuova riportata condanna, che ha determinato la dichiarazione di delinquente abituale, cioè quella confermata dalla Corte d'appello di Roma, il ricorrente rappresenta: a) sotto un primo profilo, che anche i fatti cui essa si riferisce sono stati ritenuti in continuazione, dal giudice di primo grado, con quelli, «sostanzialmente sovrapponibili per modalità operative e tempi di consumazione», accertati con la sentenza del 13/12/2019 del G.i.p. del Tribunale di Roma, divenuta irrevocabile il 30 dicembre 2019, con la conseguenza che «si avvertono in maniera [...] evidente gli effetti pregiudizievoli per l'imputato che sono discesi dalla scelta (per vero incomprensibile) della Procura di Roma di diversificare una medesima vicenda storica in due distinti procedimenti, a cui hanno fatto seguito [...] due sentenze pronunciate a distanza di quasi due anni per ragioni assolutamente non dipendenti dall'imputato», sicché, anche per questo, «la motivazione che sorregge la dichiarazione di abitualità appare illogica ed insufficiente»;
b) sotto un secondo profilo, che, poiché, dalla lettura del provvedimento di unificazione di pene della Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma n. 67/2021 del 9 febbraio 2012, «si evince che l'ultima sentenza passata in giudicato è quella indicata sub n. 5), irrevocabile il 22.01.2021, laddove invece i fatti del presente procedimento sono stati tutti commessi nell'arco temporale marzo-maggio 2019, cioè in epoca antecedente e non successiva», difetterebbe il presupposto di legge della dichiarazione di abitualità costituito dal riportare un'altra condanna per un delitto (non colposo e della stessa indole) «commesso entro i dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti». Infine, il ricorrente lamenta la violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, evidenziando come la dichiarazione di abitualità nel delitto sia stata adottata «senza che siano stati preventivamente contestati all'imputato gli elementi che ne fondano l'esistenza».
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