Cass. pen., sez. V, sentenza 19/05/2023, n. 21647
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da POPOLIZIO CARLO nato a CASORATE PRIMO il 14/04/1968 APPRATTI ROBERTO nato a CARBONIA il 23/12/1966 FORMATO ANTONIO nato in SVIZZERA il 19/06/1966 avverso la SENTENZA del 23/06/2022 della CORTE di APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M T B udita la requisitoria del Procuratore generale in persona del sostituto P M, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente alla posizione di FORMATO, limitatamente al giudizio sulla recidiva, e per l'inammissibilità, nel resto, del ricorso dello stesso FORMATO e di quelli nell'interesse di POPOLIZIO E APPRATTI. Letta la memoria dell'avvocato C L, che, nell'interesse di R A, insiste, in particolare, sulla qualificazione giuridica e conclude per l'accogli mento del ricorso. Letta la memoria dell'avvocato Patrizio NICOLO', che, nell'interesse di C P, insiste nei motivi e conclude per l'accoglimento del ricorso. Il Difensore PINGITORE LUIGINA del foro di MILANO chiede l'annullamento della sentenza impugnata. Il Difensore LIMENTANI CORRADO del foro di MILANO si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che, nel giudizio abbreviato, aveva dichiarato C P, R A e A F colpevoli dei reati a loro rispettivamente ascritti.
1.1. La condanna ha riguardo ai furti denunciati dai titolari di tre esercizi commerciali operanti in Milano, commessi tra il luglio e il novembre 2017, tutti in orario notturno, con violenza sulle cose, e qualificati ai sensi dell'art. 624 bis cod. pen., in quanto gli agenti si erano introdotti in ambienti destinati ad atti della vita privata (uffici e spogliatoi del personale).
2. I tre imputati hanno proposto ricorso per cassazione, con il ministero del rispettivo difensore, proponendo motivi in parte comuni.
2.1. Tutti i ricorrenti denunciano erronea applicazione dell'art. 624-bis e correlati vizi della motivazione, con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che gli episodi predatori in esame, secondo le coordinate declinate dalle Sezioni Unite 'D'Amico', non possano essere ricondotti alla fattispecie del furto in luogo di privata dimora, in ragione delle specifiche e concrete modalità di commissione, per essersi gli agenti introdotti in orario notturno all'interno di locali commerciali, ordinariamente chiusi e privi della presenza di persone. Si sostiene, anche, che i beni oggetto dei furti non appartenessero ai dipendenti, ma alle aziende nei cui locali sono stati perpetrati i furti.
3. Nell'interesse di A, l'avvocato Corrado Limentani, si duole, inoltre, del vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento effettuato dagli operanti di polizia giudiziaria attraverso le video riprese dei sistemi di sorveglianza installati presso i locali in cui sono stati perpetrati i furti. Deduce la Difesa che il riconoscimento a carico di A sarebbe avvenuto in termini di verosimiglianza e non di certezza, tanto che lo stesso personale di p.g., che ha immediatamente riconosciuto Propolizio, non ha, invece, riconosciuto l'A, sebbene i due, in passato, fossero stati tratti in arresto insieme. Inoltre, risulta, dalle videoriprese, che i tre autori del furto ai danni dell'esercizio denominato Old Wild West si chiamassero per nome - C, A, A - nessuno corrispondente al nome di A. Gli elementi di prova sui quali si è fondata la condanna sarebbero, dunque, privi di consistenza, e tali da non escludere il ragionevole dubbio.
4. Anche l'avvocato L P, nell'interesse di F, deduce la illogicità della motivazione posta a sostegno del giudizio di responsabilità, giacchè fondato su un riconoscimento avvenuto sulla base di immagini parziali e sfocate;
manca, peraltro, la prova della pregressa conoscenza del F con C Propolizio.
5. Quanto al trattamento sanzionatorio, nell'interesse di P ci si duole del riconoscimento della circostanza della minorata difesa, di fatto non configurabile in relazione a furti commessi ai danni di esercizi commerciali siti nel centro di Milano, non potendo essere sufficiente il solo orario notturno.
5.1. La Difesa di A denuncia vizi della motivazione in merito alla dosi metria della pena, che avrebbe dovuto esse più adeguatamente conformata alla effettiva responsabilità del ricorrente, attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, altresì, lamentando la mancanza di giustificazione del consistente aumento ( sei mesi) effettuato a titolo di continuazione.
5.2. Vizi di motivazione lamenta anche la Difesa di F con riguardo alla mancata esclusione della recidiva semplice, e ai diniego delle circostanze attenuanti generiche.
6. Il difensore di A ha depositato memoria con motivi nuovi relativi alla qualificazione giuridica del fatto, sottolineando il travisamento della prova che ha comportato l'erronea applicazione dell'art. 624-bis cod. pen;
le condotte furtive, infatti, non sarebbero avvenute negli spogliatoi, come erroneamente indicato dalla Corte di Appello, ma, al contrario, nel locale cassaforte, in un caso, e nella sala principale e nel locale tecnico nell'altro furto in cui è coinvolto l'imputato. Non ricorre la fattispecie contestata, che afferisce a locali non aperti al pubblico nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare, ove si svolgano non occasionalmente atti della vita privata. Ha depositato memoria anche il difensore di Propolizio, avvocato Patrizio Nicolò, che si riporta ai motivi insistendo per l'accoglimento del ricorso e sottolineando come quelli sottratti siano tutti beni che, per il genere e la allocazione, si trovavano negli uffici e non negli spogliatoi, e sono di proprietà quindi, della società e non dei dipendenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono parzialmente fondati, per quanto si dirà, e la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Giudice di merito, nei confronti di tutti e tre i ricorrenti, limitatamente alla circostanza aggravante della minorata difesa, e, per il solo F, anche con riguardo al punto della recidiva. Nel resto, i ricorsi risultano infondati e devono essere rigettati.
2. Non è fondata la comune doglianza che involge la qualificazione giuridica dei reati, e che sviluppa una censura già prospettata, con le medesime argomentazioni, con l'atto di appello, e disattesa con congrua motivazione, nella sentenza impugnata.
2.1. Gli elementi delineati dalla giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti il "domicilio" e ritenuti indefettibili per garantire la copertura costituzionale dell'art. 14 Cost.,( ovvero che si tratti di un luogo in cui sia inibito l'accesso ad estranei e sia tale da garantire la riservatezza ovvero la impossibilità di essere "percepito" dall'esterno anche senza necessità di una intrusione fisica) sono stati evidenziati già nella sentenza delle Sezioni Unite n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269, secondo cui per « luogo di privata dimora», deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei, precisando che il concetto di domicilio individua un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza. Questo non implica, peraltro, che tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possano considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo ius exdudendi alios rilevante ex art. 614 cod. pen., non è fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona, che l'art. 14 Cost. garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio, cosicchè, « il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza» ( Sez. Un. Prisco, cit.;
conf. Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, D F, Rv. 265703;
Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563;
Sez. 1, n. 24161 del 13/05/2010, Accomando, Rv. 247942;
Sez. 1 n. 30566 del 07/03/2019, L, Rv. 276603). In un successivo approdo, le Sezioni Unite hanno esaminato specificamente la questione della applicabilità della nozione di privata dimora di cui all'art. 624 bis cod. pen. ai luoghi di lavoro, e sulla premessa che «E' indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata», sebbene essi, generalmente, siano accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto, cosicchè, ad essi è "estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla "intrusione" altrui, come, esemplificativamente, gli esercizi commerciali o gli studi professionali o gli stabilimenti industriali, accessibili a un numero indeterminato di persone, che possono pertanto prendere contatto (e non solo visivo) con il luogo senza alcun filtro o controllo." L'attività privata svolta in detti luoghi" - precisano le Sezioni Unite - "avviene a contatto con un numero indeterminato di altri soggetti e, talvolta, in rapporto con gli stessi. Con riferimento ad essi è, pertanto, fuor di luogo parlare di riservatezza o di necessità di tutela della sfera privata dell'individuo". Nel caso al suo esame, in effetti, il Massimo Consesso nomofilattico ha osservato che "Non risulta dagli atti che l'esercizio commerciale, in cui fu commesso il furto, avesse un locale con le caratteristiche in precedenza delineate, in cui cioè si potessero svolgere atti della vita privata del titolare, in modo riservato e senza possibilità di accesso da parte di estranei. Risulta, piuttosto, che la somma di denaro sottratta si
udita la relazione svolta dal consigliere M T B udita la requisitoria del Procuratore generale in persona del sostituto P M, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente alla posizione di FORMATO, limitatamente al giudizio sulla recidiva, e per l'inammissibilità, nel resto, del ricorso dello stesso FORMATO e di quelli nell'interesse di POPOLIZIO E APPRATTI. Letta la memoria dell'avvocato C L, che, nell'interesse di R A, insiste, in particolare, sulla qualificazione giuridica e conclude per l'accogli mento del ricorso. Letta la memoria dell'avvocato Patrizio NICOLO', che, nell'interesse di C P, insiste nei motivi e conclude per l'accoglimento del ricorso. Il Difensore PINGITORE LUIGINA del foro di MILANO chiede l'annullamento della sentenza impugnata. Il Difensore LIMENTANI CORRADO del foro di MILANO si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che, nel giudizio abbreviato, aveva dichiarato C P, R A e A F colpevoli dei reati a loro rispettivamente ascritti.
1.1. La condanna ha riguardo ai furti denunciati dai titolari di tre esercizi commerciali operanti in Milano, commessi tra il luglio e il novembre 2017, tutti in orario notturno, con violenza sulle cose, e qualificati ai sensi dell'art. 624 bis cod. pen., in quanto gli agenti si erano introdotti in ambienti destinati ad atti della vita privata (uffici e spogliatoi del personale).
2. I tre imputati hanno proposto ricorso per cassazione, con il ministero del rispettivo difensore, proponendo motivi in parte comuni.
2.1. Tutti i ricorrenti denunciano erronea applicazione dell'art. 624-bis e correlati vizi della motivazione, con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che gli episodi predatori in esame, secondo le coordinate declinate dalle Sezioni Unite 'D'Amico', non possano essere ricondotti alla fattispecie del furto in luogo di privata dimora, in ragione delle specifiche e concrete modalità di commissione, per essersi gli agenti introdotti in orario notturno all'interno di locali commerciali, ordinariamente chiusi e privi della presenza di persone. Si sostiene, anche, che i beni oggetto dei furti non appartenessero ai dipendenti, ma alle aziende nei cui locali sono stati perpetrati i furti.
3. Nell'interesse di A, l'avvocato Corrado Limentani, si duole, inoltre, del vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento effettuato dagli operanti di polizia giudiziaria attraverso le video riprese dei sistemi di sorveglianza installati presso i locali in cui sono stati perpetrati i furti. Deduce la Difesa che il riconoscimento a carico di A sarebbe avvenuto in termini di verosimiglianza e non di certezza, tanto che lo stesso personale di p.g., che ha immediatamente riconosciuto Propolizio, non ha, invece, riconosciuto l'A, sebbene i due, in passato, fossero stati tratti in arresto insieme. Inoltre, risulta, dalle videoriprese, che i tre autori del furto ai danni dell'esercizio denominato Old Wild West si chiamassero per nome - C, A, A - nessuno corrispondente al nome di A. Gli elementi di prova sui quali si è fondata la condanna sarebbero, dunque, privi di consistenza, e tali da non escludere il ragionevole dubbio.
4. Anche l'avvocato L P, nell'interesse di F, deduce la illogicità della motivazione posta a sostegno del giudizio di responsabilità, giacchè fondato su un riconoscimento avvenuto sulla base di immagini parziali e sfocate;
manca, peraltro, la prova della pregressa conoscenza del F con C Propolizio.
5. Quanto al trattamento sanzionatorio, nell'interesse di P ci si duole del riconoscimento della circostanza della minorata difesa, di fatto non configurabile in relazione a furti commessi ai danni di esercizi commerciali siti nel centro di Milano, non potendo essere sufficiente il solo orario notturno.
5.1. La Difesa di A denuncia vizi della motivazione in merito alla dosi metria della pena, che avrebbe dovuto esse più adeguatamente conformata alla effettiva responsabilità del ricorrente, attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, altresì, lamentando la mancanza di giustificazione del consistente aumento ( sei mesi) effettuato a titolo di continuazione.
5.2. Vizi di motivazione lamenta anche la Difesa di F con riguardo alla mancata esclusione della recidiva semplice, e ai diniego delle circostanze attenuanti generiche.
6. Il difensore di A ha depositato memoria con motivi nuovi relativi alla qualificazione giuridica del fatto, sottolineando il travisamento della prova che ha comportato l'erronea applicazione dell'art. 624-bis cod. pen;
le condotte furtive, infatti, non sarebbero avvenute negli spogliatoi, come erroneamente indicato dalla Corte di Appello, ma, al contrario, nel locale cassaforte, in un caso, e nella sala principale e nel locale tecnico nell'altro furto in cui è coinvolto l'imputato. Non ricorre la fattispecie contestata, che afferisce a locali non aperti al pubblico nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare, ove si svolgano non occasionalmente atti della vita privata. Ha depositato memoria anche il difensore di Propolizio, avvocato Patrizio Nicolò, che si riporta ai motivi insistendo per l'accoglimento del ricorso e sottolineando come quelli sottratti siano tutti beni che, per il genere e la allocazione, si trovavano negli uffici e non negli spogliatoi, e sono di proprietà quindi, della società e non dei dipendenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono parzialmente fondati, per quanto si dirà, e la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Giudice di merito, nei confronti di tutti e tre i ricorrenti, limitatamente alla circostanza aggravante della minorata difesa, e, per il solo F, anche con riguardo al punto della recidiva. Nel resto, i ricorsi risultano infondati e devono essere rigettati.
2. Non è fondata la comune doglianza che involge la qualificazione giuridica dei reati, e che sviluppa una censura già prospettata, con le medesime argomentazioni, con l'atto di appello, e disattesa con congrua motivazione, nella sentenza impugnata.
2.1. Gli elementi delineati dalla giurisprudenza costituzionale come caratterizzanti il "domicilio" e ritenuti indefettibili per garantire la copertura costituzionale dell'art. 14 Cost.,( ovvero che si tratti di un luogo in cui sia inibito l'accesso ad estranei e sia tale da garantire la riservatezza ovvero la impossibilità di essere "percepito" dall'esterno anche senza necessità di una intrusione fisica) sono stati evidenziati già nella sentenza delle Sezioni Unite n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269, secondo cui per « luogo di privata dimora», deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei, precisando che il concetto di domicilio individua un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza. Questo non implica, peraltro, che tutti i locali dai quali il possessore abbia diritto di escludere le persone a lui non gradite possano considerarsi luoghi di privata dimora, in quanto lo ius exdudendi alios rilevante ex art. 614 cod. pen., non è fine a se stesso, ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza, nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona, che l'art. 14 Cost. garantisce, proclamando l'inviolabilità del domicilio, cosicchè, « il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza» ( Sez. Un. Prisco, cit.;
conf. Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, D F, Rv. 265703;
Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563;
Sez. 1, n. 24161 del 13/05/2010, Accomando, Rv. 247942;
Sez. 1 n. 30566 del 07/03/2019, L, Rv. 276603). In un successivo approdo, le Sezioni Unite hanno esaminato specificamente la questione della applicabilità della nozione di privata dimora di cui all'art. 624 bis cod. pen. ai luoghi di lavoro, e sulla premessa che «E' indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata», sebbene essi, generalmente, siano accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto, cosicchè, ad essi è "estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla "intrusione" altrui, come, esemplificativamente, gli esercizi commerciali o gli studi professionali o gli stabilimenti industriali, accessibili a un numero indeterminato di persone, che possono pertanto prendere contatto (e non solo visivo) con il luogo senza alcun filtro o controllo." L'attività privata svolta in detti luoghi" - precisano le Sezioni Unite - "avviene a contatto con un numero indeterminato di altri soggetti e, talvolta, in rapporto con gli stessi. Con riferimento ad essi è, pertanto, fuor di luogo parlare di riservatezza o di necessità di tutela della sfera privata dell'individuo". Nel caso al suo esame, in effetti, il Massimo Consesso nomofilattico ha osservato che "Non risulta dagli atti che l'esercizio commerciale, in cui fu commesso il furto, avesse un locale con le caratteristiche in precedenza delineate, in cui cioè si potessero svolgere atti della vita privata del titolare, in modo riservato e senza possibilità di accesso da parte di estranei. Risulta, piuttosto, che la somma di denaro sottratta si
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