Cass. civ., SS.UU., sentenza 28/09/2007, n. 20360
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I vizi del procedimento disciplinare nei confronti di un avvocato, svoltosi dinanzi al consiglio dell'ordine territoriale, stante la natura amministrativa e non giurisdizionale dello stesso, non sono sindacabili dalle Sezioni Unite in sede di ricorso avverso la decisione del Consiglio nazionale forense, a meno che non si alleghi che essi abbiano dato luogo ad un vizio di motivazione della stessa decisione.
Il principio di diritto che, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., la parte ha l'onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio de1 giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d'impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico.
In materia di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, con riguardo alla concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, il controllo di legittimità non consente alla Corte di Cassazione di sostituirsi al Consiglio Nazionale Forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito nell'ambito della regola generale di riferimento, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, atteso che l'apprezzamento della rilevanza dei fatti rispetto alle incolpazioni appartiene alla esclusiva competenza dell'organo disciplinare. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto che i ripetuti comportamenti del professionista altamente provocatori, offensivi e lesivi dell'onorabilità di avvocati, magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria e pubblici ufficiali, immotivatamente accusati di reati assai gravi, in quanto tenuti nell'esercizio dell'attività difensiva, erano in contrasto con la prudenza ed il rigore imposti dalle norme deontologiche al professionista forense e, perciò, integravano un vero e proprio abuso del diritto di difesa riconosciuto alla parte, con la conseguenza che andava esclusa l'invocata scriminante dell'esercizio del medesimo diritto, non potendo questo travalicare i limiti della corretta e decorosa manifestazione di dissenso verso la controparte).
In tema di azione disciplinare nei confronti di avvocati, nel procedimento innanzi al Consiglio dell'Ordine - che è introdotto dalla deliberazione di apertura e che si articola nelle successive cadenze degli atti preparatori del dibattimento, del dibattimento e dell'adozione del provvedimento finale, secondo il modello del rito penale - la fase del dibattimento è dedicata non solo all'interrogatorio dell'incolpato (citato a comparire per difendersi, di persona o con l'assistenza di un difensore, e legittimato ad indicare ulteriori testimoni, oltre quelli citati "ex officio") ed alla discussione delle parti, ma comprende anche, secondo la disposizione espressa dell'art. 48 r.d. n. 37 del 1934, propriamente l'assunzione dei testi ritenuti utili, elencati già nella citazione dell'incolpato, ovvero indicati dallo stesso incolpato o dal P.M. nel termine loro concesso.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISCUOLO Alessandro - Primo Presidente f.f. -
Dott. PREDEN Roberto - Presidente di sezione -
Dott. TRIFONE Francesco - rel. Consigliere -
Dott. SETTIMJ Giovanni - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -
Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI NUNZIO LUIGIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VAL DI FASSA 54, presso lo studio dell'avvocato FELLI FRANCO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 131/06 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 23/11/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/07 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, in subordine per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma l'avvocato Pietro Federico lamentava che, nel corso di due giudizi in cui era difensore in contrapposizione all'avvocato Di Nunzio UI, costei lo aveva accusato, sia in atti difensivi che nei verbali di causa, di avere falsificato atti processuali;
di essersi introdotto nel suo studio e nella sua abitazione in Palestrina per sostituire atti e fotografie;
di avere esercitato, avvalendosi della pregressa sua qualità di magistrato, indebite ingerenze nei confronti di agenti della polizia urbana e della polizia giudiziaria. Detto comportamento l'esponente attribuiva a probabile ritorsione nei suoi confronti per il fatto che, all'epoca in cui egli era pretore di Palestrina, non aveva consentito a UI Di Nunzio, allora soltanto laureata in giurisprudenza, la continuazione dell'attività difensiva dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato
l'incostituzionalità della disposizione che autorizzava i praticanti procuratori al patrocinio presso gli uffici di pretura. In data 10 dicembre 2000 il presidente del tribunale di Roma trasmetteva a sua volta al medesimo Consiglio Forense due note (rispettivamente della ES D'Alessandro, giudice della sezione distaccata di Palestrina, e del dirigente dell'UNEP presso il medesimo ufficio), con le quali pure si segnalavano otto episodi di denunce da parte dell'avvocato Di Nunzio di gravissimi fatti-reato a carico dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco, di altri avvocati, di cancellieri e di personale addetto alla registrazione degli atti delle udienze penali, tutti accusati di falsità in atti d'ufficio. Nell'adunanza del 27 marzo 2002 il Consiglio dell'Ordine deliberava l'apertura del procedimento di disciplinare a carico dell'avvocato UI Di Nunzio, cui venivano contestati gli addebiti di cui a quattro capi d'incolpazione, cui si aggiungeva la ulteriore contestazione di non avere, nel procedimento relativo ai suddetti addebiti riuniti, fornito i chiarimenti e le spiegazioni che le erano stati ripetutamente richiesti, assumendo che la raccomandata d'invito era andata smarrita per condotta illecita dell'ufficio postale. All'esito della disposta istruzione del procedimento disciplinare, nel corso del quale l'incolpata presentava le proprie difese, il Consiglio dell'Ordine ne dichiarava la responsabilità in ordine agli illeciti disciplinari contestati e irrogava all'avvocato Di Nunzio la sanzione della cancellazione dall'albo, ritenuta adeguata stante la reiterazione di comportamenti sistematicamente contrari alla deontologia professionale.
Contro la pronunzia, resa pubblica in data 22 settembre 2004 nelle forme di legge, l'avvocato UI Di Nunzio proponeva ricorso al Consiglio Nazionale Forense, che, con decisione depositata il 23 novembre 2006 e notificata il 19 febbraio 2007, in parziale accoglimento del gravame, le infliggeva la meno grave sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per la durata di un anno.
Il Consiglio Nazionale Forense, sulle proposte eccezioni in rito, considerava che il principio della invariabilità del collegio giudicante è applicabile solo al giudizio disciplinare innanzi al Consiglio Nazionale Forense, mentre, per quel che concerne la fase davanti al Consiglio dell'Ordine, è sufficiente, data la natura amministrativa dell'organo, il rispetto del requisito del quorum, ancorché tale quorum sia costituito in concreto con la partecipazione, alla fase deliberativa, di alcuni soltanto dei componenti che abbiano partecipato all'audizione dell'interessato. Rilevava che era valida la decisione sottoscritta dal presidente in carica del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma al momento del deposito, anche se il dibattimento e la deliberazione della sanzione erano avvenuti innanzi al medesimo organo con altro presidente.
Riteneva che l'omessa notificazione al P.M. della deliberazione di apertura del procedimento disciplinare innanzi al Consiglio dell'Ordine di Roma, con l'avviso e l'invito a comparire, non aveva determinato alcuna nullità, poiché, attribuendo la legge (R.D. n.37 del 1934, artt. 62 e 65) al P.M. la semplice facoltà di
intervenire, della mancata suddetta notificazione, quale causa di nullità, solo lo stesso P.M. avrebbe potuto dolersi, essendo la prescrizione disposta nel suo esclusivo interesse. Nel merito, l'organo disciplinare giudicava sussistente la responsabilità disciplinare dell'avv. Di Nunzio in relazione ai contestati comportamenti offensivi dell'esponente avv. Pietro Federico, della Dott.ssa D'Alessandro, degli ufficiali di polizia giudiziaria e degli altri pubblici ufficiali.
Per la cassazione della decisione del Consiglio Nazionale Forense ha proposto ricorso alle Sezioni Unite Civili di questa Corte l'avvocato UI Di Nunzio, che ha affidato l'accoglimento dell'impugnazione a dodici motivi di annullamento ed ha chiesto anche la sospensione dell'esecutività della decisione impugnata.
Non hanno svolto difese gli intimati litisconsorti necessari Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma e Procuratore Generale presso questa Suprema Corte.
La ricorrente ha presentato istanza di rinvio della trattazione del ricorso alla udienza odierna motivato dall'assunto suo impedimento ad essere presente all'odierna udienza per ragioni di salute ed il suo difensore, che ha provveduto a depositare la suddetta istanza personale della ricorrente, ha anche prodotto documenti. MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevano preliminarmente queste Sezioni Unite che deve essere respinta la richiesta di rinvio del processo ad altra udienza, che la ricorrente ha avanzato adducendo che le sue condizioni di salute le avrebbero impedito di essere presente alla odierna discussione. Il dedotto impedimento, che peraltro nei termini indicati non può ritenersi assoluto, non risulta, infatti, idoneamente documentato. Il ricorso in oggetto riguarda la sentenza del Consiglio Nazionale Forense pubblicata il 23 novembre 2006 e notificata il 19 febbraio 2007.
Occorre, pertanto, verificare anzitutto (e l'indagine è doverosa, trattandosi di questione da esaminare d'ufficio) se i motivi dell'impugnazione, proposta nei termini, siano tutti ammissibili in relazione alla disposizione di cui all'art. 366 bis c.p.c., applicabile, nella specie, ratione temporis (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) trattandosi di impugnazione per cassazione di
sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006. Nell'interpretazione della norma di cui all'art. 366 bis c.p.c. questa Corte (ex plurimis: Cass., S.U., n. 7258/2007;
Cass., S.U., n. 14385/2007;
Cass., n. 13329/2007;
Cass., n. 14682/2007;
Cass., n. 27130/2006;
ha stabilito