Cass. civ., sez. I, sentenza 30/07/2015, n. 16163
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La denominazione sociale è il nome necessario di una società di capitali e può essere, pertanto, distinta dalla ditta che, invece, individua l'impresa. Ne consegue che una società di capitali può utilizzare diverse ditte per identificare le sue diverse attività imprenditoriali purché, nel rispetto del principio di verità imposto dall'art. 2563 c.c., vi sia una connessione con la denominazione sociale.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R R - Presidente -
Dott. N A - Consigliere -
Dott. R V - Consigliere -
Dott. D V M R - Consigliere -
Dott. G F A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a., domiciliata in Roma, via Trebbia 3, presso l'avv. C A, rappresentata e difesa dall'avv. B T, come da procura notarile;
- ricorrente -
contro
D L s.r.l., domiciliata in Roma, viale Tiziano 80, presso l'avv. R Paolo, rappresentata e difesa dall'avv. R E, come da mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 811/2007 della Corte d'appello di Salerno, depositata il 27 novembre 2007 Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. A N;
uditi i difensori, avv. B per la ricorrente e avv. R per la resistente;
Udite le conclusioni del P.M., Dott. S L, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Salerno si è pronunciata nella controversia insorta tra due società aventi entrambe sede nella città di Salerno e stabilimenti nella sua zona industriale, la D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a. e la D L s.r.l., in ordine all'uso della ditta e dell'insegna "D L".
I giudici d'appello, confermando il giudizio espresso dal tribunale, hanno accertato il risalente preuso della ditta "D L" da parte della D L s.r.l. e, ritenuta la confondibilità delle imprese operanti in settori parzialmente simili, hanno ribadito l'obbligo della D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a. di integrare o modificare la propria insegna con indicazioni idonee a differenziarla da quella usata dalla D L s.r.l. Contro la sentenza d'appello ricorre ora per cassazione la D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a. e propone tre motivi d'impugnazione, illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso la D L s.r.l. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1- Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2555, 2556, 2563, 2565 e 2568 c.c., lamentando che i giudici del
merito abbiano erroneamente ricostruito le origini della D L s.r.l. e le abbiano così riconosciuto un inesistente preuso. Sostiene che l'originaria ditta individuale D L C cessò la propria attività l'1 ottobre 1975 e non fu conferita in altra società del gruppo D L, mentre il 19 gennaio 1973 venne costituita ex novo la s.n.c. D L C. Successivamente, in data 10 marzo 1981, la D L C s.n.c. costituì insieme a tal Cuomo Tommaso la D L C s.p.a., senza alcuna indicazione quanto all'uso dell'insegna "D L".
Il 5 giugno 1985 la D L C s.p.a. si trasformò nella D L C s.r.l., incorporando la Fratelli C e Mario D L s.n.c. e la Abbate-Marco Filomena s.n.c, ancora senza alcun riferimento all'insegna controversa.
Solo il 15 luglio 1993, a giudizio già in corso da cinque anni, la D L C s.r.l. modificò la propria denominazione in D L s.r.l.;e solo il 21 novembre 1988 presentò domanda di riconoscimento del marchio "D L". Mentre il patronimico "D L" era usato dai discendenti di D L A fin dal 1960, prima ad Amalfi e poi a Salerno.
1 Sicché non sussiste il preuso ritenuto dai giudici del merito, che hanno anche confuso tra preuso della ditta e pruso dell'insegna, senza considerare che il trasferimento da un titolare all'altro dell'azienda richiede un'espressa previsione per il "trasferimento anche della ditta e dell'insegna.
1.2- Il ricorso è inammissibile perché propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento a dati di fatto precisi e neppure contraddetti dalla ricostruzione della ricorrente.
Risulta infatti dalla sentenza impugnata che la D L C s.r.l. sin dal 1973 fu autorizzata dal sindaco all'uso dell'insegna "D L";e che depositò in data 22 novembre 1988 il marchio d'impresa "D L". Mentre solo in data 22 novembre 1981 la società Peronara s.r.l. modificò la propria denominazione nell'attuale D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a.
Quanto alla continuità tra l'originaria ditta individuale D L C e l'attuale D L s.r.l., ritenuta dai giudici del merito, la ricorrente non ha offerto elementi idonei a escluderla. 2.1- Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 2563 c.c., art. 2564 c.c., comma 2, art. 2567 c.c., lamentando che i
giudici del merito abbiano privilegiato il preuso, anziché la registrazione, benché si tratti società regolari.
Sostiene che per le società regolari l'art. 2564 c.c. tutela solo la priorità della registrazione e non il preuso.
Aggiunge che, essendo la D L C s.r.l. una società, non avrebbe potuto usare come ditta e come insegna il solo cognome senza il nome. Rileva infine che la prova del preuso dell'insegna non vale a giustificare l'uso della ditta "D L".
2.2- Il motivo è infondato.
Occorre premettere alcune precisazioni preliminari. La ditta ha la funzione di identificare l'imprenditore come soggetto di diritti;e per questa ragione l'art. 2563 c.c. esige che ne includa almeno il cognome o la sigla (Cass., sez. 1, 10 luglio 2009, n. 16283, m. 608997). L'insegna ha invece la funzione di identificare un determinato stabilimento nel quale l'attività imprenditoriale viene esercitata (Cass., sez. 1, 23 aprile 1966, n. 1042, m. 322091). La denominazione sociale è il nome necessario di una società di capitali, in qualche misura equivalente al nome della persona fisica, ed è perciò possibile temerla distinta dalla ditta, che, individuando l'impresa, non deve necessariamente coincidere con la denominazione sociale. Una stessa società può anzi utilizzare diverse ditte, destinate a identificare sue eventualmente diverse attività imprenditoriali, purché, nel rispetto del principio di verità imposto dall'art. 2563 c.c., vi sia una connessione con la denominazione sociale. Vero è che, secondo una risalente giurisprudenza, mentre nei confronti dell'imprenditore singolo non è necessario che la ditta, salvo quanto richiesto dall'art. 2563, cpv. c.c., coincida con il nome civile del soggetto che ne è titolare, l'impresa sociale, invece, non può mai fare uso, nella esplicazione della propria attività commerciale, di una ditta diversa dalla propria ragione o denominazione (Cass., sez. 2, 26 gennaio 1956, n. 220, m. 881400). Ma questa impostazione, che considerava la denominazione sociale come una sorta di ditta collettiva, può contraddire sia l'art. 2463 (come già l'art. 2473) c.c., che non impone particolari contenuti per la denominazione delle società a responsabilità limitata (salvo l'indicazione del tipo e della sede della società);sia lo stesso art. 2567 c.c. che, pur richiamando l'art. 2564 c.c. in tema di ditta, presuppone "tuttavia" una distinzione tra denominazione e ditta. E infatti la giurisprudenza ha immediatamente considerato la possibilità che una stessa società di capitali svolga diverse attività imprenditoriali, riconoscendo che anche una società può usare una ditta diversa dalla sua denominazione per identificare un'impresa separata (Cass., sez. 2, 29 maggio 1957, n. 1972, in Riv. dir. ind. 1958, 2, p. 351) . Sicché una possibile differenza tra ditta e denominazione sociale è oggi ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, anche per la riconosciuta trasferibilità della ditta unitamente all'azienda pur nella ovvia sopravvivenza della società alienante (Cass., sez. 2, 3 aprile 1971, n. 954, m. 350885, Cass., sez. 1, 13 marzo 2014, n. 5931, m. 630513). D'altro canto sarebbe comunque eccessivo considerare diversa dalla denominazione sociale la ditta che, come nel caso in esame, utilizzi solo il cognome (D L) presente insieme al nome nella denominazione sociale (l'originaria denominazione D L C della società resistente). Quanto al controverso rapporto tra preuso e registrazione, il problema non si pone nel caso in esame, perché la ricorrente neppure deduce di avere registrato una propria ditta prima della registrazione del marchio "D L" da parte della resistente nel 1988.
Risulta al contrario dalla sentenza impugnata che la società ricorrente modificò la propria denominazione da Peronara s.r.l. nell'attuale D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a. solo in data 22 novembre 1981, quando la denominazione inclusiva del nome D L era stata già da tempo registrata dalla società resistente, che comunque già il 20 maggio 1981 si era registrata come società di capitali. Sicché, considerata l'applicabilità dell'art. 2564 c.c. anche alle denominazioni sociali, in virtù del rinvio contenuto
nell'art. 2567 c.c., si potrebbe tutt'al più porre il problema della legittimità della denominazione assunta dalla società ricorrente. Va rilevato infine che, secondo la incensurabile ricostruzione dei giudici del merito, il preuso del nome D L riguardò sia la ditta sia l'insegna della società resistente.
3.1- Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 228 c.p.c. e degli artt. 2730, 2564 e 2598 c.c., lamentando che i
giudici del merito abbiano erroneamente ritenuta la confondibilità delle insegne.
Sostiene che nessuna delle due ditte in conflitto può vantare celebrità e rileva come nella sua denominazione vengano usati caratteri tutti maiuscoli, mentre la resistenza utilizza il carattere maiuscolo solo per le due lettere iniziali del cognome D L. Aggiunge che nel caso in esame manca altresì il presupposto della concorrenza merceologica tra le imprese, come riconosciuto nelle fasi di merito dalla stessa società controricorrente.
Infatti, come risulta anche dagli oggetti sociali delle due società, la D L Industria Grafica e Cartaria s.p.a. si occupa di prodotti genericamente "cartari", mentre la D L s.r.l. commercializza prodotti in carta, cartone, plastica, e metallo per pasticceria, oltre agli utensili per la preparazione e la cottura dei dolci. 3.2- Il motivo è infondato.
Secondo un'indiscussa giurisprudenza di questa corte, infatti, la confessione può avere ad oggetto esclusivamente circostanze di fatto e non anche la loro qualificazione giuridica, che è rimessa alla valutazione esclusiva del giudice (Cass., sez. 1, 26 novembre 1971, n. 3453, m. 355059, Cass., sez. 3, 18 ottobre 2011, n. 21509, m. 619381). Nel caso in esame si trattava di valutare la confondibilità di insegne e ditte, con riferimento a criteri di apprezzamento insuscettibili di confessione. Ed è incensurabile l'accertamento compiuto dai giudici del merito in ragione del rapporto di inclusione tra i settori merceologici delle attività commerciali esercitate dalle due società.