Cass. civ., SS.UU., sentenza 27/05/2004, n. 24246
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La remissione di querela intervenuta successivamente ad un ricorso inammissibile, purche' proposto nei termini indicati dall'art. 585 del codice di procedura penale, determina l'estinzione del reato. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria.
Sul provvedimento
Testo completo
Fatto
1. Con sentenza 12 giugno 2001 il Tribunale di Perugia affermava la
penale responsabilita' di M.C. in ordine al delitto di cui all'art. 641 del
codice penale, perche' dissimulando il proprio stato di insolvenza,
acquistava presso i G. M. P. S.r.l. merce per lire 12.689.000, convenendo il
pagamento a mezzo ricevute bancarie e cosi' contraendo una obbligazione con
lo scopo di non adempierla: in M., dall'agosto al novembre 1996.
Rilevava il tribunale che il C. si presento' una prima volta ai G.M.
nell'agosto 1996 ed acquisto' oggetti di vario genere convenendo il
pagamento a mezzo di ricevuta bancaria con scadenza a sessanta giorni
dall'emissione delle relative fatture;
torno' poi altre volte presso
l'esercizio commerciale, quando le ricevute bancarie non erano ancora
scadute, sempre per acquistare merce, alle medesime condizioni. Le ricevute
bancarie erano rimaste tutte insolute e, avviati i necessari accertamenti al
fine di rintracciare il C., il venditore si avvide che presso quella che era
stata indicata come la sua residenza ed ove la merce era stata consegnata,
l'imputato era assenze da tempo;
fu, poi, impossibile rintracciarlo in altro
luogo.
Secondo il tribunale, dunque, l'imputato, nell'arco di tre mesi, ottenne
la consegna del materiali, contraendo le obbligazioni col dissimulare il
proprio stato di insolvenza "rivelatosi agli occhi del creditore solo in un
secondo tempo". Il C. non si limito' a comportarsi come un normale cliente
ma, al fine di assicurarsi la fiducia dell'alienante, dichiaro' di essere
stato in contatto con un rappresentante della societa', tale Ca.;
una
circostanza subito smentita dallo stesso Ca., il quale aveva affermato di
non conoscere il C. La condotta rilevante ai sensi dell'art. 641 del codice
penale veniva, pertanto, individuata nel "pur semplice riferimento al
contatto pregresso con il rappresentante da parte di un soggetto che
dichiara di vivere ed operare in zona limitrofa a quella dell'esercizio
commerciale".
2. Contro la detta sentenza ha proposto appello il C. contestando
l'esistenza di un comportamento qualificabile come dissimulazione dello
stato di insolvenza. Denuncia, inoltre, l'omesso esame del teste Ca.,
l'assenza dell'elemento soggettivo - esaurendosi la vicenda in esame in un
mero inadempimento contrattuale - e la misura della pena inflitta.
3. La Corte di appello di Perugia, con sentenza dell'11 febbraio 2003,
confermava la decisione impugnata.
Osservava, piu' in particolare, la Corte territoriale che la vicenda era
stata rigorosamente descritta dalla persona offesa, le cui dichiarazioni
hanno trovato puntuale conferma nei riscontri documentali. L'elemento
soggettivo risulterebbe dalle modalita' di acquisto del materiale,
dall'inesistenza di ogni attivita' produttiva svolta dal C., dalla sua
scomparsa subito dopo la scadenza dell'obbligazione.
4. Ricorre per cassazione il C. denunciando mancanza e manifesta
illogicita' della motivazione, nonche' violazione dell'art. 641 del codice
penale.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui si sarebbe omesso di
indicare i presupposti da cui avrebbe ricavato la dissimulazione dello stato
di insolvenza, senza in alcun modo argomentare da quali elementi l'acquisto
della merce sia avvenuto con il preciso intento di non pagarla e, in piu',
l'effettivo momento in cui si e' venuto a determinare lo stato di insolvenze
del C.;
uno stato - si assume - intervenuto solo successivamente
all'instaurazione del rapporto obbligatorio;
tale punto non sarebbe stato
esaminato dal giudice a quo il quale avrebbe motivato il suo convincimento
sulla base di mere presunzioni;
ci si duole, ancora dell'omesso esame del
teste C.
Si denunciano, infine, sia la sentenza di primo grado sia la sentenza di
appello nella parte in cui hanno considerato tempestiva la querela
presentata dalla persona offesa solo il 19 aprile 1997, dovendosi comunque
il reato ritenersi consumato alla data di scadenza della prima ricevuta
bancaria.
5. La Seconda Sezione penale di questa Corte, rilevata la tempestivita'
della querela e la natura di censura in fatto dell'altro motivo, constatato
che il giorno stesso dell'udienza la persona offesa aveva rimesso la querela
e che la remissione era stata accettata dal ricorrente ha, con ordinanza 11
novembre 2003, trasmesso il ricorso alle SS.UU., per la soluzione della
questione "controversa nella giurisprudenza di legittimita'", incentrata sul
seguente quesito: se l'estinzione del reato per intervenuta remissione della
querela possa essere dichiarata, quando l'impugnazione sia - come nel caso
di specie - "originariamente inammissibile".
Diritto
6. Le SS.UU. sono ora chiamate a decidere se, in presenza di doglianze
da ritenere inammissibili possa, ove intervenga, dopo la proposizione del
ricorso, un atto di remissione della querela, essere dichiarata l'estinzione
del reato per tale causa ovvero se l'invalidita' dell'atto di impugnazione
preclude l'applicazione dell'art. 129 del codice di procedura penale,
risultando comunque preliminare l'operativita' del precetto di cui al
combinato disposto degli artt. 591 e 606, comma 3, del codice di procedura
penale.
7.Va, anzitutto, rilevato come la delibazione incidentale della Sezione
rimettente quanto alla inammissibilita' dell'impugnazione deve essere
decisamente condivisa, attesa le manifesta infondatezza e la natura di
censure non consentite delle doglianze proposte.
Manifestamente prive di fondamento sono, infatti, da qualificare le
denunce incentrate sulla tardivita' della querela e sulla omessa
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, in quanto, l'una in diretto
contrasto con il precetto dell'art. 124 del codice penale, l'altra per
trascurare la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di
rinnovazione del dibattimento di appello;
non consentito e' l'addebito
relativo (non e' chiaro, peraltro, se esso concerne una violazione della
legge sostanziale ovvero il vizio di mancanza o manifesta illogicita' della
motivazione) all'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato per cui e'
intervenuta condanna. Appare ictu oculi evidente come, con la sua
proposizione, il ricorrente abbia di mira la richiesta di una rivalutazione
dei fatti e delle prove non consentita in sede di legittimita'.
8. Tanto premesso, osserva questa Corte che il quesito concernente la
possibilita' di dichiarare, nel giudizio di cassazione, l'estinzione del
reato per intervenuta remissione della querela era gia' stato sottoposto al
vaglio delle SS.UU. che, peraltro, non affrontarono la questione stessa,
dovendo, a norme dell'art. 568, comma 5, del codice di procedura penale,
l'impugnazione essere qualificata come appello (SS.UU., 26 giugno 2002,
D.R.).
L'ordinanza di rimessione si limita ora a sottoporre al vaglio del
Collegio il medesimo quesito interpretativo, rimarcando come la sua
soluzione sia da qualificare "controversa nella giurisprudenza di
legittimita'", col richiamare il precedente provvedimento rimessivo che,
appunto, non aveva risolto il "contrasto interpretativo" in conseguenza
dell'improprio eccesso alla Corte di Cassazione delle censure sollevate.
9. Rileva, in primo luogo, il Collegio che, nonostante la problematica
incentrata sui rapporti tra inammissibilita' dell'impugnazione e
applicazione delle cause di non punibilita' sia stato oggetto di variegate e
contrastanti scelte ermeneutiche ripetutamente - come si avra' occasione di
precisare tra poco - sottoposte allo scrutinio di queste SS.UU. l'incipit di
un deciso approfondimento della specifica tematica e, invece, piuttosto
recente per l'innestarsi, oltre tutto, almeno in origine, nella
complementare questione concernente le attribuzioni conferite alla VII
Sezione penale, la Sezione competente, ai sensi degli artt. 610 del codice
di procedura penale e 169-bis delle norme di attuazione dello stesso codice,
quali introdotti dall'art. 6 della L. 26 marzo 2000, n. 128, per la
dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi per cassazione. Per la
verita', il primo decisum in subiecta materia, data per implicita
l'attribuzione di poteri demolitori alla "apposita sezione" di cui al
"riformato" art. 610, comma 1, del codice di procedura penale, ritenne che,
costituendo la remissione della querela una particolare ipotesi di
estinzione del reato, che deroga alla disciplina ordinaria delle cause
estintive, essendo essa "possibile sino alla pronuncia delle sentenza
irrevocabile di condanna", l'applicazione dell'art. 129 del codice di
procedura penale non restasse preclusa, nonostante l'inammissibilita' del
ricorso per cassazione, a meno che l'inammissibilita' dell'impugnazione non
derivasse dalla tardivita' dall'impugnazione stessa (Sez. VII, 16 ottobre
2001, R.). Solo successivamente, si e' detto, si posero in discussione i
poteri conferiti alla VII Sezione secondo una prospettazione coordinata e
subordinata alle soluzione dei rapporti tra inammissibilita' del ricorso e
remissione della querela quale specifica causa estintiva solo in parte
riconducibile al precetto dell'art. 129 del codice di procedura penale
(cfr., in proposIto, la gia' ricordata, SS.UU., 26 giugno 2002, D.R.).
Tutto cio' viene cui rammentato nell'esigenza di storicizzare le
poliformi sequenze interpretative - non sempre rlcollegabili esclusivamente
al precetto dell'art. 129 del codice di procedura penale - anche perche' le
ulteriori progressioni ermeneuticne delle sezioni ordinarie rivelano talora
un impianto argomentativo estremamente piu' articolato.
Un'altra decisione di questa Corte, coll'evocare, ancora una volta, il
precetto dell'art. 152 del codice penale - in una prospettiva tutta
intrinseca alla peculiarita' delle causa estintiva in esame - ha conferito
una designazione esponenziale alla disciplina di diritto sostanziale,
osservando come il termine "condanna" che ricorre in numerosi precetti del
codice penale (artt. 99, 164, 168, 175) implica necessariamente
l'irrevocabilita' della pronuncia;
per di piu', accostando la remissione
della querela alla abolitio criminis, nel
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