Cass. civ., sez. III, sentenza 27/05/2003, n. 8413
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Il giudice di appello, quando riforma in tutto o in parte la sentenza di primo grado, deve, con giudizio complessivo e senza che sia necessario uno specifico mezzo di impugnazione, decidere sulle spese del primo grado oltre che su quelle del giudizio di appello.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D V - Presidente -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. P L R - rel. Consigliere -
Dott. M F - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso proposto da:
OPERA PIA SUSSIDIO CANEVARI DEMETRIO, con sede in Genova, in persona del legale rappresentante in carica Marchese G R, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell'avvocato M T B, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato G C, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
DE S M, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI S FABIANO 29, presso lo studio dell'avvocato G G, che la difende anche disgiuntamente agli avvocati M S, D F, giusta delega in atti;
- controricorrente -
nonché contro F M, elettivamente domiciliata in ROMA VIA LUIGI CALAMATTA 16, presso lo studio dell'avvocato P N, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato G A P, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 988/98 della Corte d'Appello di GENOVA, Sezione 3^ Civile, emessa il 22/12/98 e depositata il 30/12/98 (R.G. 93/98);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/02 dal Consigliere Dott. Renato PERCONTE LICATESE;
udito l'Avvocato Pasquale NAPOLITANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MARINELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D S Monica conveniva in giudizio Fiene Marina, esponendo che costei, con scrittura privata del 28 luglio 1995, le aveva promesso in vendita un appartamento pervenutole dall'Opera Pia Sussidio Canevari Demetrio. L'attrice che, all'atto della stipula, aveva versato una caparra confirmatoria di lire 17.500.000, aveva scoperto che gravava sull'immobile un vincolo storico artistico regolato dalla legge 1 giugno 1939 n.1089, a causa del quale non era stato possibile procedere alla vendita definitiva. La D S pertanto, con lettera del 18 dicembre 1995, dichiarando di recedere dal contratto, aveva chiesto invano la restituzione del doppio della caparra.
Avendo acquistato un altro alloggio per le sue necessità familiari, domandava, nei confronti della Fiene, una sentenza dichiarativa della risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento della promittente venditrice e la di lei condanna al pagamento del doppio della caparra.
La convenuta chiedeva, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per colpa della controparte, che aveva rifiutato la stipula dell'atto notarile di trasferimento, e chiamava in causa l'Opera Pia, la quale, costituendosi, negava di essere incorsa in qualche responsabilità.
Con sentenza del 28 ottobre 1997 il Tribunale di Genova, in accoglimento della domanda della D S, dichiarava risolto, per fatto e colpa della promittente venditrice, il contratto preliminare del 28 luglio 1995 e condannava la stessa a restituire all'attrice lire 35.000.000, oltre agli interessi legali.
In accoglimento poi della domanda proposta dalla Fiene contro l'Opera Pia, condannava quest'ultima a pagare alla prima, a titolo di risarcimento del danno, lire 35.000.000, oltre agli interessi. Appellavano in via autonoma l'Opera Pia e la Fiene. Con sentenza del 30 dicembre 1998, la Corte d'Appello di Genova, riuniti i giudizi, in parziale riforma, dichiarato risolto il contratto preliminare per inadempimento della Fiene, l'ha condannata a restituire alla D S la caparra di lire 17.500.000, oltre agli interessi;ha condannato l'Opera Pia a rimborsare tale minor importo alla Fiene. Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'Opera Pia, formulando tre mezzi di annullamento.
Resistono con separati controricorsi la D S e la Fiene, che hanno pure depositato una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, denunciando l'errata applicazione di principi di diritto (artt. 112 e 360 n.3 C.p.c.), la ricorrente rileva che la Corte d'appello ha ritenuto inadempiente la Fiene per non aver informato la D S dell'esistenza del vincolo posto dallo Stato, sebbene la domanda giudiziale di quest'ultima si incentrasse unicamente sulla nullità dell'atto di trasferimento della proprietà dall'Opera Pia alla stessa Fiene, ai sensi dell'art. 61 della legge 1 giugno 1939 n. 1089. I primi giudici erano giunti
alla pronuncia di risoluzione del contratto preliminare sul presupposto, per l'appunto, di tale nullità.
Nessun altro profilo di inadempimento era stato fatto valere dall'attrice, per cui la Corte, avendo accertato che l'eventuale esercizio della prelazione da parte dello Stato non avrebbe inciso direttamente sull'appartamento venduto alla Fiene e promesso alla D S, avrebbe dovuto riformare la sentenza, piuttosto che confermarla, sia pure sotto un profilo di inadempimento mai invocato dalla parte interessata. Evidente pertanto, a giudizio della ricorrente, il vizio di ultrapetizione.
Col secondo motivo, denunciando sempre l'errata applicazione di principi di diritto (artt. 1305 C.c. e 360 n.3 C.P.C.), la ricorrente deduce che il giudizio di gravità dell'inadempimento è viziato, essendo stato ancorato a una minore appetibilità del bene sul mercato, mai prospettata dall'attrice che, come già detto, aveva basato le sue ragioni solo sulla nullità della vendita dall'Opera Pia alla Fiene.
I giudici di appello, invece di trattare il dedotto profilo di nullità, hanno così posto sullo stesso piano di rilevanza, ai fini dell'inadempimento, il pericolo di un esercizio della prelazione da parte dello Stato e una (peraltro tutta da dimostrare) minore appetibilità del bene, che, per la loro profonda diversità, non possono produrre le stesse conseguenze giuridiche. Questi primi due motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati. La decisione dei primi giudici, argomenta la Corte d'appello, è nel senso che, non essendo stata comunicata l'intenzione di vendere il bene, "ne sarebbe derivalo il pericolo d'un esercizio di prelazione che privasse l'acquirente dell'immobile acquistato". In realtà, considerando che il vincolo gravava su cose inserite nelle parti condominiali, l'esercizio di quel diritto non avrebbe inciso direttamente sull'appartamento venduto alla Fiene e promesso alla D S. Questa conclusione non elimina tuttavia l'inadempimento della promittente, la quale avrebbe dovuto informare la D S che le vendeva un appartamento ubicato in un edificio dove esistevano beni di interesse artistico e storico su cui lo Stato aveva posto un vincolo. Ciò perché, da un lato, vi sarebbe stata una minore possibilità di collocazione futura dell'appartamento sul mercato, dopo che la D S ne fosse diventata proprietaria;dall'altro, perché la D S non avrebbe acquistato solo l'appartamento, ma anche una quota delle parti comuni, in cui ricadevano una parte degli affreschi e il tabernacolo che la Fiene aveva implicitamente dichiarato appartenerle e della cui proprietà aveva promesso di trasferire una frazione;e, per l'appunto, "sotto questi due profili ella era inadempiente". A sua volta poi la Fiene risulta non essere "stata informata dall'Opera Pia (...) della inclusione di affreschi e tabernacolo nell'elenco dei beni particolarmente tutelati dalla legge del 1939". In sintesi, la sentenza impugnata, ritenuto che la Fiene ha promesso in vendita alla D S l'immobile senza far motto dell'esistenza del vincolo monumentale, o meglio senza informarla che il bene promesso in vendita era sito in un edificio vincolato e quindi meno appetibile sul mercato;che, a sua volta, la Fiene ignorava tale vincolo, non risultante dall'atto di acquisto stipulato con l'Opera Pia;ha giudicato per un verso la promittente Fiene inadempiente verso la promittente D S, e, per altro verso, l'Opera Pia inadempiente verso la Fiene, onde la rivalsa a favore di quest'ultima, già decisa correttamente dal Tribunale. All'origine quindi, nella vendita dall'Opera Pia alla Fiene, la violazione dell'obbligo della venditrice di dichiarare il vincolo gravante sul bene alla compratrice;in un secondo momento, nella promessa di vendita dello stesso bene tra la Fiene e la D S, la violazione, da parte della promittente venditrice Fiene, dell'obbligo di dichiarare a sua volta l'esistenza del vincolo alla promissaria acquirente D S.
Ora non v'è chi non veda come il primo motivo sia volto non già contro il confermato accoglimento della domanda di rivalsa della Fiene, l'unica statuizione di cui la ricorrente abbia interesse a dolersi, ma bensì contro le ragioni che hanno presieduto alla risoluzione del diverso e successivo contratto preliminare intercorso tra la Fiene e la D S;laddove la peculiare e autonoma "ratio decidendi" della ribadita fondatezza della domanda di rivalsa consiste nella ricordata originaria condotta omissiva della venditrice, contro la quale pertanto la ricorrente avrebbe dovuto appuntare le sue critiche in fatto o in diritto. Se vi sia stata o meno extrapetizione nel rapporto processuale tra la D S e la Fiene, se cioè la risoluzione del preliminare sia stata pronunciata per ragioni diverse da quelle fatte valere dall'attrice è dunque vizio di cui avrebbe dovuto lamentarsi la Fiene e non certo l'Opera Pia, la cui posizione sostanziale e processuale non ha alcun nesso di dipendenza logica o giuridica da una siffatta statuizione.
L'accertato inadempimento colpevole dell'Opera Pia non si fonda infatti sull'inadempimento ascritto alla Fiene ne' deriva necessariamente da esso, ma consegue a un'autonoma, pregressa condotta dell'Ente;e semmai potrebbe dirsi il contrario, che cioè, in un certo senso, la mancata dichiarazione del vincolo da parte della Fiene sia dipesa dalla mancata sua informazione ad opera della venditrice .
Analoghe considerazioni valgono a proposito del secondo motivo. Le valutazioni della sentenza impugnata sulla minore appetibilità del bene sul mercato attengono unicamente al rapporto tra la Fiene e la D S e non hanno avuto il minimo riflesso sulla decisione concernente il diverso, anteriore rapporto di compravendita tra l'Opera Pia e la Fiene, nel quale l'inadempimento della venditrice è stato individuato solo nel silenzio serbato per prima sull'esistenza del vincolo artistico e storico. Benvero, stante quest'accertamento di fatto, non può mettersi in discussione ne' l'uno ne' l'altro, ciò che comporta, per la sola presenza dell'onere gravante sul bene, ai sensi dell'art. 1489 C.c., oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, anche, secondo le regole generali sull'inadempimento delle obbligazioni, il solo risarcimento del danno (cfr. Cass. 10 aprile 1986 n. 2498), l'unico in sostanza chiesto (e ottenuto) dalla Fiene con la sua "manleva", fatto coincidere con l'importo dovuto dalla Fiene alla D S. Col terzo motivo, denunciando errata applicazione di principi di diritto e contraddittorietà della motivazione (artt. 329 e 360 n.3 e 5 C.p.c), l'Opera Pia censura la statuizione con cui la Corte ha attribuito alla Fiene la "rifusione delle spese di giudizio" anche di primo grado, sebbene il Tribunale avesse omesso una siffatta condanna e la pronuncia sul punto fosse passata in giudicato.
I giudici di appello hanno inoltre errato ponendo a carico dell'Opera Pia le spese del giudizio con una motivazione infondata e contraddittoria.
Anche questo motivo, formulato peraltro in termini tutt'altro che perspicui, è, nella sua duplice articolazione, infondato. In primo luogo, la condanna alla "rifusione delle spese di giudizio", anche di primo grado, di cui si duole la ricorrente, è a carico della Fiene e a favore della D S, vittoriosa nell'azione di risoluzione contrattuale (1^ capoverso del dispositivo);ne' peraltro è vera l'omissione attribuita al Tribunale, il quale invece già condannò l'Opera Pia a pagare le spese giudiziali alla nominata Fiene.
In ogni caso non è a parlarsi di giudicato, giacché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice di appello, quando riforma, in tutto o in parte, come è avvenuto nella fattispecie, la sentenza di primo grado, deve, con giudizio complessivo, senza bisogno di specifica impugnazione, decidere sulle spese del primo, oltre che del secondo grado.
In secondo luogo, la condanna dell'Opera Pia a rimborsare alla Fiene le spese del giudizio si basa, sufficientemente, sull'applicazione del principio generale della soccombenza (art. 91 c.p.c.): la motivazione che la precede, sulla mancata comunicazione
del vincolo alla Fiene, vanamente contestata nel merito dalla ricorrente, serve in realtà a giustificare, come s'è detto, proprio la soccombenza dell'Opera Pia nell'azione di "manleva", unico presupposto legale della condanna in esame.
Si ravvisano giusti motivi di compensazione delle spese del giudizio di Cassazione.