Cass. pen., sez. III, sentenza 28/04/2022, n. 16302

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 28/04/2022, n. 16302
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16302
Data del deposito : 28 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da DHL SUPPLY CHAIN S.p.a. avverso l'ordinanza del 19-07-2021 del tribunale della libertà di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere V D N;
udita la requisitoria del Procuratore Generale, L G, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
udito il difensore, avvocato F I, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La DHL SUPPLY CHAIN S.p.a. ricorre per la cassazione dell'ordinanza in data 19 luglio 2021 con la quale il tribunale del riesame di Milano ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Milano in data 16 giugno 2021 nei confronti, tra l'altro, di

DHL

Supply Chain (Italy) spa (di seguito, anche DSC) incolpata del seguente illecito amministrativo dipendente da reato: Illecito p. e p. dagli artt. 5 lett. a), 6 lett. a), 25-quinquiesdecies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in quanto le persone fisiche (F D V, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e consigliere delegato di

DHL

Supply Chain (Italy) spa sino al 17 maggio 2018, e A L, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e consigliere delegato di

DHL

Supply Chain (Italy) spa dal 17 maggio 2018 in poi), soggetti apicali di

DHL

Supply Chain Italy spa, ponevano in essere l'illecito penale di cui all'art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 nell'interesse e a vantaggio della società, che otteneva un vantaggio patrimoniale pari a euro 5.245.999,53 (per IVA indetraibile 2019) e euro 5.275.845,83 (per IVA indetraibile 2020). In Milano fino al 30 aprile 2021. Il reato presupposto, formulato nei confronti dei soggetti apicali della società incolpata, è stato così rubricato: Art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché, nelle qualità di cui sopra, al fine di evadere l'IVA, avvalendosi di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti emesse dal Consorzio Industria dei Servizi, simulando contratti di appalto invece di contratti di somministrazione di mano d'opera, nelle dichiarazioni IVA della

DHL

Supply Chain (Italy) Spa relativi alle annualità 2017, 2018, 2019, 2020, indicavano elementi passivi fittizi (IVA indetraibile) per un ammontare complessivo di euro 20.748.948,41 (euro 4.757.310,63 nel 2017;
euro 5.470.792,42 nel 2018;
euro 5.245.999,53 nel 2019;
euro 5.275.845,83 nel 2020). In Milano in data 19 aprile 2018, 30 aprile 2019, 30 giugno 2020 e 30 aprile 2021. 2. Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, è affidato a quattro motivi, di seguito enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge sotto il profilo dell'interpretazione e dell'applicazione dell'art. 2, comma 1, e dell'art. 1, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 74 del 2000 in quanto la falsità delle fatture - sia soggettiva che oggettiva - della quale si ritiene sussistere il fumus sarebbe in ogni caso irrilevante all'evasione dell'imposta per insussistenza degli elementi del reato. Osserva la ricorrente che la condotta ipotizzata, infatti, non solo non integra il reato sotto il profilo soggettivo (per mancanza dell'elemento psicologico), ma neppure sotto il profilo oggettivo (per totale assenza di ogni vantaggio fiscale - anche solo potenziale). Ad avviso della ricorrente, infatti, VIVA dell'operazione in oggetto non rappresenta una evasione fiscale, tant'è che né il tribunale del riesame, né il giudice per le indagini preliminari e neppure il pubblico ministero sono stati in grado di indicare (anche a prescindere dalla simulazione) la ragione per cui VIVA esposta nelle fatture emesse da IDS, pagata e detratta da DSC, rappresenterebbe un vantaggio fiscale per quest'ultima e, comunque, non sono stati in grado di definire gli elementi attivi o passivi fittizi che avrebbero determinato o potuto determinare il vantaggio fiscale indebito integrando la condotta prevista e punita dall'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, quale definiti dall'art. 1, comma 1, lettera b), del medesimo decreto;
elementi che non possono in alcun modo essere semplicemente individuati - come invece ipotizza il decreto di sequestro - nell'ipotetica inesistenza oggettiva o soggettiva delle fatture e quindi nell'IVA asseritamente indetraibile, in quanto l'imposta non è un elemento attivo o passivo quale definito dalla norma, dato che l'elemento attivo o passivo, così come indicato dalla norma, deve poter determinare - anche solo in astratto - un concreto vantaggio fiscale incidendo, attraverso un utilizzo volontario e finalistico, sulla determinazione del reddito e/o delle basi imponibili rilevanti. La imputazione provvisoria, perciò, confonderebbe gli elementi passivi fittizi necessari per la sussistenza del reato con l'asserito profitto (imposta asseritamente evasa), senza contare che, oltretutto, il trattamento fiscale dell'operazione asseritamente simulata sarebbe stato uguale a quello realmente applicato sotto ogni profilo (cioè sia sotto il profilo oggettivo, ossia come natura della prestazione, sia sotto il profilo soggettivo, ossia come effettivo emittente della fattura). Sotto tale aspetto, la questio iuris sottoposta alla Corte di legittimità è stata enunciata nel seguente modo: "se sia corretta la configurabilità del fumus commissi delicti in merito all'integrazione del reato previsto e punito dall'art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000 nel contesto di condotte - le dichiarazioni IVA di DSC - incapaci di produrre a favore di DSC il vantaggio fiscale richiesto dalla norma". Questo perché l'ordinanza impugnata, pur senza mai essere in grado di descrivere in che cosa consista il vantaggio fiscale richiesto e tantomeno di tracciarne il dolo richiesto, ha sostenuto l'esistenza di una frode IVA unicamente richiamando la presunta inesistenza oggettiva e al contempo soggettiva delle fatture utilizzate da

DSC.

Sostiene infatti la ricorrente che la mancanza di una concreta aspettativa di vantaggio fiscale correlato alla presentazione delle dichiarazioni Iva attraverso l'utilizzazione delle fatture IDS, conseguente alla inesistenza di elementi passivi fittizi indicati nella dichiarazione Iva, farebbero venire meno non solo l'integrazione, ma anche il fumus del reato di frode fiscale. In altri termini, sotto il profilo oggettivo si osserva come la neutralità dell'imposta Iva applicabile ai diversi contratti renda indifferente, dal punto di vista del tributo fiscale, la qualificazione giuridica del contratto stesso, avendo DSC anticipato l'Iva che ha poi portato in detrazione, con la conseguenza che nessun vantaggio sarebbe stato ottenuto né avrebbe potuto in alcun modo essere ottenuto da DSC. Sotto il profilo soggettivo, si osserva come l'indicazione in fattura di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura o prestato il servizio, rileverebbe ai fini del reato di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 soltanto nei casi, nella specie ritenuti dalla ricorrente non sussistenti, in cui la falsa indicazione incida sulla misura dell'aliquota e conseguentemente sull'entità dell'imposta che l'acquirente o il committente possa legittimamente detrarre. Perciò, sotto il profilo penai-tributario e in estrema sintesi, la contestazione di una frode fiscale per utilizzo di fatture false, deve, con onere della prova a carico dell'accusa, necessariamente comportare un vantaggio fiscale ottenuto attraverso le fatture asseritamente false, con la conseguenza che l'assenza di un vantaggio fiscale fa venir meno il reato per mancanza di tipicità. Nel caso di specie, sia IDS che le proprie consorziate avevano il medesimo regime Iva, sia che si configuri la fattispecie dell'appalto, sia che si configuri quella della somministrazione di manodopera;
essendo IDS una società consortile, andavano poi applicate le specifiche norme inerenti ai rapporti fiscali tra consorzio e consorziate (come meglio specificato in altro motivo di ricorso);
norme che, identificando l'uno con le altre, impedivano anche sotto tale profilo di poter parlare di soggetti aventi diversa aliquota Iva;
in ogni caso, anche ove si dovesse sostenere l'effettiva esistenza di un rapporto di somministrazione, quest'ultima sarebbe soggetta a imposizione Iva e quindi non ci sarebbe diversità di regime Iva applicabile tra appalto e somministrazione, principio, quest'ultimo, affermato, come sottolinea la ricorrente, anche dalla Corte di giustizia che, intervenendo sulla questione della rilevanza ai fini Iva delle prestazioni di servizi aventi ad oggetto la messa a disposizione di personale, nella sentenza resa l'11 marzo 2020 nella causa C 94/19, ha ritenuto contrario al sistema comunitario di imposizione sul valore aggiunto la previsione di cui all'articolo 8, comma 35, della legge 11 marzo 1988, n. 67, avuto riguardo ai prestiti o ai distacchi di personale a fronte dei quali è versato il solo rimborso del relativo costo.Analizzata funditus la fattispecie astrattamente prevista dall'articolo 2 del decreto legislativo 74 del 2000 e gli elementi che la caratterizzano, la ricorrente afferma che la fattispecie tipizzata dall'articolo 2 non punisce formalisticamente e indiscriminatamente il mero utilizzo a fini dichiarativi di "fatture per operazioni inesistenti", sanzionando invece tali condotte solo nella misura in cui siano soggettivamente funzionali ed oggettivamente idonee ad incidere sulla corretta determinazione delle imposte dovute, rappresentando nella dichiarazione "elementi passivi fittizi" (che oggettivamente difettano quando la fattura "per operazioni inesistente" non determina alcuna variazione rispetto a quella indicativa della "operazione esistente"). Alla luce di ciò, la ricorrente ritiene che il Tribunale del Riesame abbia violato il disposto di cui all'art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000. Se infatti, come afferma il Tribunale del Riesame, è da un lato indubitabile che, ai fini dell'integrazione della fattispecie delittuosa di cui all'art. 2 d.lgs. 74 del 2000, rilevano tanto le ipotesi di falsità delle fatture in termini oggettivi, quanto quelle in termini soggettivi, è altrettanto indubitabile che, in tanto una ipotesi di simulazione contrattuale può assumere rilevanza penale, in quanto lo schema contrattuale, oggettivamente o soggettivamente simulato, determini sia l'applicazione di un regime fiscale più favorevole e altrimenti non applicabile, sia la concreta aspettativa di un vantaggio fiscale cui la condotta è finalizzata. Dopo essersi nuovamente soffermata sulla sentenza resa l'11 marzo 2020 nella causa C 94/19 dalla Corte di Giustizia ed alla connessa questione della contestata inesistenza delle fatture per interposizione soggettiva, la ricorrente riscontra un'ulteriore anomalia del titolo cautelare stante l'impossibilità di individuare gli "elementi passivi fittizi" e soprattutto il relativo e necessario vantaggio fiscale conseguente a tali elementi passivi fittizi, tanto che il provvedimento cautelare indica come tali l'IVA esposta in fattura (IVA indetraibile), in violazione pertanto dell'art. 1, comma 1, lettera b), del D.L.vo 74 del 2000, sul rilievo che l'imposta non può essere considerata come "elemento passivo fittizio" dovendo lo stesso essere individuato nella componente espressa in cifra che concorre alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti o in un elemento che incide sulla determinazione dell'imposta, certamente non nell'imposta stessa.
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