Cass. civ., sez. III, ordinanza 27/09/2021, n. 26107

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 27/09/2021, n. 26107
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26107
Data del deposito : 27 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente Rep.

ORDINANZA CC

02/03/2021 sul ricorso 29489-2018 proposto da: AXA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente 2021 domiciliato in ROMA, VIA G.

BELLONI

88, 680 presso lo studio dell'avvocato D D B, che la rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 5615/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 06/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/03/2021 dal Consigliere Dott. D S;
Rilevato che: la Centurion Assicurazioni s.p.a. propose opposizione ex art 3 R.D. n. 639/1910 avverso l'ingiunzione del 15.1.1996 con cui la Direzione Provinciale del Tesoro di Roma le aveva ordinato il pagamento della somma di £ 1.427.333.445, oltre a £ 202.955.090 a titolo di interessi di mora, «per somma aggiuntiva su contributo sanitario ex art. 8 L. 526 del 7.8.1982, su rata scaduta il 31.1.1994 e pagata il 15.4.1994, con 74 giorni di ritardo»;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze resistette all'opposizione;
il giudizio, rimasto sospeso fino all'anno 2009 per la contemporanea pendenza di un ricorso avanti al TAR, venne definito con sentenza n. 9889/2010 con cui il Tribunale di Roma rigettò l'opposizione;
provvedendo sul gravame proposto dalla AXA Assicurazioni s.p.a., in qualità di cessionaria del ramo assicurativo della Centurion Assicurazioni, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza impugnata, compensando le spese del grado;
ha proposto ricorso per cassazione la AXA Assicurazioni s.p.a., nell'anzidetta qualità, affidandosi a tre motivi illustrati da memoria;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis.

1. c.p.c.;
la ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

il primo motivo denuncia «violazione o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., dell'art. 354, comma 1 c.p.c. e degli artt. 111, comma 6 e 24, comma 2 della Costituzione laddove ha ritenuto la sentenza di primo grado motivata. Nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.»: la ricorrente censura la Corte per avere rigettato il motivo di appello con cui era stata denunciata la nullità della sentenza di primo grado per totale carenza di motivazione;
il motivo è inammissibile giacché, «in virtù dell'effetto sostitutivo della sentenza di appello e del principio secondo cui le nullità della sentenza soggetta ad appello si convertono in motivi di impugnazione, non può essere denunciato in cassazione il vizio della sentenza di primo grado -per la quale di deduce la mancanza di motivazione- non rilevato dal giudice di appello» (Cass. n. 17072/2007);
deve ritenersi, infatti, che una tale censura difetti di interesse, «giacché una decisione di accoglimento avrebbe comportato null'altro che la trattazione nel merito della causa da parte del giudice di appello» (Cass. n. 21943/2020 e Cass. n. 12642/2014), trattazione che è stata compiuta nel caso di specie, in cui la Corte territoriale ha ampiamente argomentato sulle questioni dedotte con l'opposizione all'ingiunzione, sostituendo la propria motivazione a quella (del tutto apparente) del giudice di primo grado;
il secondo motivo deduce «violazione o falsa applicazione dell'art. 8 della Legge n. 526 1982 e del D.M. 21 marzo 1988» e censura la sentenza «in quanto, in evidente violazione delle citate norme, ha ritenuto legittima la inosservanza della procedura prevista dall'art. 8 della L. n. 526 per l'adozione annuale del D.P.R. che doveva stabilire la misura del contributo e le modalità di versamento dello stesso»;
richiamato il contenuto dell'art. 8 della I. n. 526/82 (concernente il contributo in favore dello Stato gravante sulle imprese assicuratrici) e quelli dell'art. 1, comma 1 e dell'art. 1 quinquies del d.l. n. 688/1985 come modificato dalla I. di conversione n. 11/1986 (che - rispettivamente- prevedono la misura della "somma aggiuntiva" da versare agli enti previdenziali ed assistenziali in caso di pagamenti effettuati oltre il termine stabilito ed estendono le disposizioni sulla "somma aggiuntiva" alle imprese assicuratrici in caso di ritardato versamento del contributo previsto dall'art. 8 I. n. 526/82), la ricorrente lamenta che la materia della "somma aggiuntiva" non sia stata disciplinata con Decreto del Presidente della Repubblica e dopo aver sentito l'Organizzazione delle imprese di assicurazione più rappresentative sul piano nazionale (ANIA);
assume pertanto che è risultata «violata la riserva di regolamento di cui al citato art. 8 della L. n. 526/1982» e conclude che «gli atti amministrativi sulla scorta dei quali è stato calcolato l'addebito da parte della D.P.T. di Roma, sono illegittimi così come lo è il provvedimento di ingiunzione, con cui sono state richieste le maggiori somme, che risulta altresì nullo e/o annullabile per illegittimità derivata»;
al riguardo, deve rilevarsi che: la motivazione della sentenza impugnata, là dove sostiene apoditticamente che non sarebbe stata prevista alcuna nullità od illegittimità per l'inosservanza della procedura prevista dall'art. 8 della I. n. 526 del 1982, suppone, contrariamente alla logica propria del diritto amministrativo, che l'illegittimità di un procedimento che una p.a. debba seguire per adottare determinati atti, tanto più come nella specie certamente provvedimentali, incidenti su situazioni soggettive o riguardo ai quali, comunque, siano individuabili soggetti che hanno interesse alla sua osservanza, debba essere espressamente prevista;
al contrario, è sufficiente la circostanza che il provvedimento sia idoneo ad incidere su quella situazione o veda l'esistenza di soggetti interessati alle modalità della sua adozione, perché possibili suoi destinatari, per giustificare la conseguenza che essi possano lamentare la loro illegittimità se le regole di adozione non vengano osservate;
una siffatta motivazione è, dunque, certamente errata;
peraltro, deve considerarsi che dall'esposizione del ricorso emerge che, come atto presupposto dell'ingiunzione, il provvedimento della Direzione Provinciale del Tesoro di Roma del 17 giugno 1994, determinativo delle sanzioni, e i suoi atti presupposti erano stati impugnati dinanzi al T.A.R.;
tra essi doveva essere compreso (il ricorso non lo dice espressamente, ma così parrebbe doversi intendere quanto si dice a pag. 3 nelle ultime quattro righe, che indicano l'impugnazione di "ogni altro atto ... presupposto") il D.M. 21 marzo 1988, in base al quale la determinazione delle sanzioni venne fatta nel detto provvedimento;
dunque, era stata la stessa ricorrente ad attivarsi in sede amministrativa censurando il detto D.M. e l'atto determinativo applicativo del 17 giungo 1994, così mostrando di ben comprendere che la relativa cognizione apparteneva, concernendo l'esercizio del potere sanzionatorio della p.a., alla cognizione del giudice amministrativo (cfr. Cass., S.U. n. 29529/2008 e n. 1238/2002);
nella specie, quindi, la questione della validità del D.M. 21 marzo 1988 era stata correttamente introdotta davanti al g.a. e il giudice ordinario avrebbe dovuto ritenerla estranea alla sua cognizione ai sensi dell'art. 3 del r.d. n. 639/1910, dichiarando su di essa il proprio difetto di giurisdizione;
non avendolo fatto il tribunale con la sentenza di primo grado e non essendo stato rilevato il difetto di giurisdizione nemmeno dalla p.a. (ai sensi di Cass., S.U. n. 24883/2008), la questione di giurisdizione è ormai rimasta preclusa;
d'altro canto, il giudizio amministrativo si era nel frattempo perento e, pertanto, il giudice ordinario si trovava nella condizione di dover semplicemente rilevare che, essendosi consolidato il D.M. del 1988, per il venir meno della sua impugnazione, parte ricorrente non poteva più discutere sulla sua legittimità;
corretta in tal senso la motivazione, il motivo va rigettato;
a ciò deve aggiungersi che: priva di pregio è l'argomentazione svolta nella prima parte del motivo (pagg. 10-13 del ricorso) nel senso di postulare che l'art.
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