Cass. pen., sez. V, sentenza 05/03/2018, n. 09948

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 05/03/2018, n. 09948
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09948
Data del deposito : 5 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: M M nato il 12/04/1976 a PERUGIA MAZZA R nato il 15/10/1965 a CALVIZZANO avverso la sentenza del 09/05/2016 della CORTE APPELLO di PERUGIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere A F Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore O M che ha concluso per Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' Udito il difensore

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa in data 9 maggio 2016 la Corte d'Appello di Perugia ha confermato l'accertamento della penale responsabilità ritenuta in primo grado dal G.U.P. di Perugia a carico di M R e M M (riducendo a quest'ultimo la pena) per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, a norma dell'art. 216 comma 1° n. 2 parte seconda L.F., commessi dai due imputati rispettivamente nella qualità di amministratore di fatto e di diritto della Autosalone M s.r.I., società dichiarata fallita in data 28 dicembre 2007. 2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo l'imputato M R ha dedotto la violazione dell'art. 192 comma 30 c.p.p. e dell'art. 223 L.F.. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha desunto il suo ruolo di amministratore di fatto della società fallita esclusivamente dalle dichiarazioni assunte dal curatore dal coimputato ed amministratore di diritto M, soggetto portatore di specifico interesse ad allontanare dà sé qualsiasi responsabilità per le condotte contestate, e del quale non è stata adeguatamente valutata ed argomentata l'attendibilità. La Corte non ha, peraltro, evidenziato alcun riscontro estrinseco a tali dichiarazioni che attestassero una qualsivoglia attività operativa del M in seno alla società. E' stato erroneamente ritenuto che tali riscontri dovessero desumersi semplicemente dalla modestia della quota della società acquisita dall'amministratore di diritto (5% ) e dalla inverosimiglianza che un precedente "dominus" della gestione diventasse "dipendente". A prescindere dal rilievo che il M aveva ceduto le proprie quote ben quattro anni prima del fallimento, si trattava di valutazioni logiche errate.

2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all'art. 216 n.1 e 2 L.F. e vizio di motivazione. Lamentano entrambi i ricorrenti che la Corte d'Appello ha effettuato un inferente collegamento logico tra le due violazioni contestate per attribuire reciproca valenza dimostrativa sia della condotta che del coefficiente volitivo trascurando i dati logici contenuti nel gravame. Espongono, in particolare, che la presunzione ritenuta dalla sentenza impugnata che il fondo cassa di C 10.150,83, risultante dalla schede di mastro alla data del 31.12.2016, fosse stato oggetto di distrazione era illogica, dato che quel danaro avrebbe potuto essere destinato all'attività di impresa - anche se non registrato contabilmente - durante l'ulteriore annualità di esercizio prima del fallimento. Non si poteva quindi desumere dal mancato rinvenimento del danaro una sua illecita destinazione.In ordine alla contestata bancarotta fraudolenta documentale, assumono i ricorrenti che è contraddittoria ed illogica l'affermazione della Corte territoriale secondo cui, indipendentemente dal fatto che la tenuta della contabilità era stata delegata ad un professionista , non vi era prova della trasmissione allo stesso dei necessari dati contabili, atteso che il professionista aveva la disponibilità di tutta la documentazione idonea per redigere il bilancio.
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