Cass. civ., sez. III, sentenza 20/07/2004, n. 13443
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Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F G - Presidente -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. P G B - Consigliere -
Dott. F M - rel. Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B A, ex lege domiciliato in Roma, Piazza Cavour n. 1, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, difeso dall'avv. A G P giusta delega In atti;
- ricorrente -
contro
V R A, V G M, P C, nella qualità di eredi di V N, ex lege domiciliate in Roma, piazza Cavour n. 1, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, difese anche disgiuntamele degli avv.ti A C e G B giusta delega in atti;
- controricorrenti -
avverso le sentenza della Corte d'appello di Catania, sezione specializzata agraria, nn. 845/97 del 25 novembre 1996 - 31 gennaio 1997 e 859/01 del 10 dicembre 2001 - 24 gennaio 2002 (R.G. 1258/95). Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15 aprile 2004 dal Relatore Cons. M F;
Udito l'avv. G. DI Renzo per il ricorrente;
Udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. I D, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso 29 novembre 1993 V N, proprietario di un fondo rustico in Calatabiano, condotto in colonia da BONPIGLIO Alfio, chiedeva che il tribunale di Catania, sezione specializzata agraria, dichiarasse cessato, al termine dell'annata agraria 1992-93, il rapporto inter partes, ai sensi dell'art. 34 lett. b), della l. 3 maggio 1982, n. 203, con condanna del BONFIGLIO al rilascio del fondo
alla indicata scadenza.
Costituitosi in giudizio il BONFIGLIO resisteva alle avverse pretese eccependo di avere titolo a restare nel fondo sino al termine dell'annata agraria 1999, atteso che nel 1984, novando il rapporto preesistente, le parti avevano dato vita a un nuovo rapporto di colonia, vietato per legge e da configurarsi, pertanto, come contratto di affitto avente durata di quindici anni. Svoltasi la istruttoria del caso l'adita sezione, con sentenza 4 ottobre 1995 da un lato ha accolto la domanda di rilascio, come proposta dall'attore, essendo mancata qualsiasi prova di un accordo novativo che, comunque, anche se esistente, doveva essere dichiarato nullo perché in contrasto con il divieto di cui all'art. 45, della 1. 3 maggio 1982, n. 203, dall'altro ha rigettato la domanda di pagamento di migliorie formulata dal convenuto in sede di costituzione in giudizio, tenuto presente che le stesse erano state poste in essere in assenza del consenso del proprietario del previo esperimento della procedura amministrativa prevista dall'art. 16 della stessa legge n. 203 del 1982.
Gravata tale pronunzia dal soccombente BONFIGLIO, la corte di appello di Catania, sezione specializzata agraria, nel contraddittorio con VENUTO Angelina Rita, V G M e P C, eredi del defunto V N, mentre con sentenza non definitiva 25 novembre 1996 - 31 gennaio 1997 rigettava l'appello quanto al capo della sentenza del tribunale che aveva dichiarato cessato il rapporto inter partes alla data dell'11 novembre 1993, con sentenza definitiva 10 dicembre 2001 - 24 gennaio 2002 rigettava l'appello avverso la stessa sentenza quanto al capo relativo al rigetto della domanda di indennizzo per miglioramenti nonché, in riforma della sentenza 20 gennaio 1999, tra le stesse parti, rigettava la opposizione all'esecuzione proposta da BONFIGLIO Aldo, compensate tra le parti le spese di quel grado del giudizio salvo che per le spese occorse per le consulenze tecniche espletate, poste a carico delle parti che le avevano richieste.
Per la cassazione della sentenza non definitiva, nonché di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 5 giugno 2002, affidato a quattro motivi.
Resistono, con controricorso, V R A, V G M e P C.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Nel confermare la sentenza dei primi giudici, nel capo in cui questa aveva dichiarato cessato il contratto inter partes il 10 novembre 1993 la corte di appello di Catania, sezione specializzata agraria, ha e-videnziato che la novazione di un precedente rapporto contrattuale deve essere provata e che l'onere relativo compete a chi l'adduce.
La prova, hanno evidenziato i giudici di secondo grado deve investire un fatto in grado, per sua natura, di fare presumere la inequivoca volontà delle parti di istituire un nuovo rapporto con la comune intenzione di sostituirlo ad altro preesistente e ancora in vita, col risultato di estinguerlo.
Applicando i riferiti principi alla particolarità del caso concreto quei giudici hanno evidenziato come l'esecuzione di miglioramenti, ovvero di opere di ripristino in un fondo danneggiato per cause naturali, non sono tali da fare ritenere una novazione oggettiva senza che nel contempo non si dimostrino modifiche sostanziali ai patti.
2. Il ricorrente censura tali affermazioni con il primo motivo con il quale denunzia, in particolare, in "violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1346 correlati all'art. 1418 c.c. in relazione all'artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Manifesta illogicità e contraddittorietà delle sentenze perché in contrasto con i fatti provati di causa".
Esposto che a seguito dello straripamento del fiume Alcantara che ha distrutto quello che costituiva l'oggetto del contratto, ossia l'agrumeto il contratto inter partes è divenuto nullo per mancanza di oggetto e privo di effetti giuridici, ai sensi dell'art. 1418 e, e, il ricorrente ribadendo quanto già (inutilmente) invocato in sede di merito assume che "non vi è dubbio che a seguito tale evento, il concedente VENUTO abbia avuto conoscenza dello stato del fondo ed è altrettanto certo che egli essendo il direttore dell'azienda abbia - - constatato lo stato del fondo e sia venuto a patti con il ricorrente ed abbia stipulato, certamente, un nuovo contratto. La prova di tali fatti è per contratto, avendo egli la direzione del fondo e l'obbligo di vigilare sulla conduzione del colono". 3. La censura non può trovare accoglimento.
La stessa, infatti, è, per più versi, inammissibile e, per altri, manifestamente infondata.
3.1. In merito, in limine, alla denunziata "violazione e falsa applicazione degli artt. 1325 e 1346 correlati all'art. 1418 c.c." si è evidenzia la manifesta inammissibilità della deduzione. in conformità, in particolare, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi - infatti - il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.
Il riferito principio comporta - in particolare -tra l'altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003 n. 2312). In altri termini, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con l'inter- pretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina - il motivo è inammissibile, poiché non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 28 ottobre 2002 n. 15177;Cass. 16 luglio 2002 n. 10276). Pacifico quanto precede si osserva che nel caso concreto il ricorrente pur imputando alla sentenza in questa sede gravata di avere "violato" e "falsamente applicato" i sopra ricordati articoli del codice civile, si astiene - totalmente - dall'indicare sia quale è la "corretta" interpretazione e applicazione delle ricordate disposizioni di legge, sia le ragioni in forza delle quali l'applicazione fattane dalla sentenza impugnata non è accettabile. in realtà parte ricorrente si suole che l'esito della lite non sia stato quello sperato da essa concludente perché le risultanze di causa sono state interpretate e lette in termini opposti, rispetto a quanto da essa ritenuto e auspicato ed è di palmare evidenza che la circostanza non integra un vizio denunciatile in sede di legittimità sotto il profilo di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c.