Cass. civ., sez. V trib., sentenza 07/07/2004, n. 12430
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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R U - Presidente -
Dott. C M - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. M G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI CITTÀ DI CASTELLO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. A B e con lei elettivamente domiciliato in Roma, via Lungotevere dei Mellini 39, presso l'Avv. R D L;
- ricorrente -
contro
M R;
- intimato -
avverso la sentenza n. 131/04/01 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Perugia, Sez. 4, in data 25 maggio 2001, depositata il 29 giugno 2001 e non notificata. Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/02/04 dal Relatore Consigliere Dott. G M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. N V, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune notificava il 17 febbraio 1996 al sig. M R un avviso di accertamento con il quale, avendo rettificato la classe di superficie utilizzata per l'attività di ragioniere, richiedeva, oltre agli accessori, la differenza di ICIAP pagata in meno per l'anno 1992.
Avverso detto avviso, in data 30 marzo 1996 il contribuente presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, eccependo la decadenza nella quale sarebbe incorso il Comune per tardiva notificazione dell'avviso di accertamento, errori nel calcolo della superficie del locale adibito a studio professionale e la presenza nello stesso anche di sedi di altri soggetti giuridici d'imposta;dichiarava, inoltre, di essere disponibile a chiudere la vertenza ai sensi dell'art. 48 del D. Lgs. 546/92. In corso di causa il ricorrente provvedeva a versare lire 500.000 e presentava istanza di estinzione della controversia ex art. 9 bis del D.L. 79/97. Si costituiva in giudizio il Comune di Città di Castello. La Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso con sentenza n. 352 del 22 ottobre 1998. Contro detta sentenza il Sig. Mancini presentava appello con richiesta di discussione in Pubblica udienza.
La Commissione Tributaria Regionale di Perugia, con la sentenza 131/04/01 depositata il 29 giugno 2001, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l'appello del contribuente. Avverso detta sentenza ricorreva per Cassazione il Comune di Città di Castello con due motivi.
Non svolgeva attività difensiva l'intimato contribuente. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso il Comune ha lamentato la "omessa o insufficiente motivazione", atteso che il punto decisivo della controversia, e cioè se le liti pendenti al 1 aprile 1996 dinanzi alle commissioni Tributarie riguardanti l'ICIAP siano o meno definibili ai sensi dell'art. 9 bis della L. 140/97, sarebbe stato apoditticamente liquidato dalla Commissione, che si sarebbe limitata ad enunciare un principio senza fornire spiegazioni. Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato la "violazione o falsa applicazione del D.L. 79/97 convertito in legge 140/97". A parere del Comune, infatti, la definizione delle liti fiscali pendenti prevista dall'art. 9 bis D.L. 79/97 (convertito in L. 140/97) non può riguardare l'ICIAP, atteso che, grazie alla lettura
e alla ratio della norma, si evincerebbe chiaramente che l'ambito di applicazione della norma è limitata ai soli tributi dello stato, ivi compresa l'INVIM.
I due motivi, involgendo la trattazione di questioni legate da stretti vincoli di connessione, possono essere oggetto di trattazione congiunta.
Il ricorso è fondato.
L'art. 9 bis del D.L. n. 79 del 28 marzo 1997 convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997 n. 140 esplica la sua efficacia normativa solo nell'ambito dei tributi erariali. A fondamento di detta interpretazione si osserva.
La potestà tributaria spetta allo stato, ma è attribuita nell'ordinamento anche a taluni enti minori.
Con il D.L. 2 marzo 1989 n. 66 convertito con modificazioni nella L. 24 aprile 1989 n. 144 è stato attribuito ai Comuni il potere di
istituire un'imposta per l'esercizio, nel territorio del Comune, di imprese, arti e professioni;si tratta di un tributo istituito con legge dello Stato rispetto al quale il Comune ha il potere di determinare le aliquote tra il minimo e il massimo e di disciplinare l'accertamento e la riscossione.
L'imposta sull'incremento di valore degli immobili (INVIM), invece, era accertata e riscossa dallo Stato, anche se il gettito era attribuito ai Comuni nel territorio dei quali si trovano gli immobili ai sensi dell'art. 1, secondo comma, DPR 26 ottobre 1972 n. 643. Nel quadro della riforma degli enti locali, l'art. 54, L. 8 giugno 1990 n. 148, ha dato all'autonomia tributaria di essi la garanzia che non
si reperiva nella Costituzione, assicurando "potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte delle tasse e delle tariffe". A seguito dell'introduzione dell'imposta comunale sugli immobili, che colpisce l'intero valore di questi, per evitare duplicazioni si è decisa la soppressione dell'INVIM;ma le peculiarità della disciplina di quest'ultima hanno reso necessario un complesso regime transitorio (art. 17, D. Lgs. 504/1992), al fine, da un lato, di non detassare plusvalori già maturati, dall'altro di non colpirli quando il tempo trascorso dalla formazione di essi faccia apparire non più attuale la capacità contributiva da essi espressa. L'imposta, pertanto, grava solo sugli incrementi maturati fino al 31 dicembre 1992 e si applica purché il presupposto (trasferimento o possesso decennale) si realizzi entro l'1 gennaio 2003. Inoltre, mentre gli artt. 1 e 29 del D.P.R. 643 prevedevano la devoluzione del gettito ai Comuni nel cui territorio si trovava l'immobile, che potevano partecipare all'accertamento, di competenza degli uffici del registro, con proposte di rettifica (art. 22 D.P.R. 643), onde l'imposta era denominata "comunale", in base all'art. 17, D. Lgs. 504/1992 essa, a far tempo dall'01.01.1993, è erariale sotto ogni
profilo, spettandone il gettito allo Stato ed essendo venuta meno la partecipazione dei Comuni all'accertamento.
Alla luce delle dedotte premesse legislative, non può che concludersi che la citata normativa dell'art. 9 bis della L. 140/97 limita la sua efficacia nell'ambito delle imposte erariali. Confortano questa interpretazione sia il testo della circolare del Dipartimento delle Entrate - Direzione centrale per gli Affari giuridici e per il Contenzioso tributario, n. 190/E/2^-3-1126 del 4 luglio 1997, in particolare il richiamo in essa contenuto dell'art. 2 quinquies del D.L. 30 settembre 1994 n. 564, convertito, con
modificazioni, dalla L. 30 novembre 1994, n. 656, inerente alla definizione agevolata ai fini dell'imposta sul reddito e dell'imposta sul valore aggiunto;sia, ancora più significativo, la lettera dell'art. 9 bis, comma 9 sub a), che espressamente recita "si intende per lite fiscale, la contestazione relativa a ciascun atto di imposizione o di irrogazione di sanzioni impugnato, considerando comunque lite fiscale autonoma quella relativa all'imposta comunale sull'incremento degli immobili".
Con tale disposizione il legislatore ha voluto espressamente distinguere l'INVIM dalle altre imposte, dal momento che per alcuni anni pregressi detta imposta, malgrado accertata e riscossa dallo Stato, veniva devoluta ai Comuni e considerata pertanto tributo comunale.
La mancata menzione degli altri tributi comunali contrapposta all'esplicito richiamo alla distinzione dell'INVIM ai fini del gettito comporta che, con la citata normativa, il legislatore non abbia inteso in alcun modo far rientrare nelle disposizioni agevolative i tributi comunali. Del resto, ulteriore conferma di quanto sopra la troviamo nella recente normativa della L. 27 dicembre 2002 n. 289, che all'art. 13 espressamente tratta le modalità di
definizione agevolata dei tributi locali, prevedendo che "con riferimento ai tributi propri, le regioni, le province e i comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l'adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonché l'esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni". Il ricorso merita pertanto l'accoglimento, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria affinché decida anche in ordine alle spese di giudizio.