Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 21/06/2005, n. 13322
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La volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l'inerzia o il ritardo nell'esercizio del diritto non costituiscono elemento sufficiente, di per sé, per dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto d'ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Ne consegue che il solo ritardo nell'esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di un'inequivoca rinunzia tacita o di una modifica della disciplina, e ne costituisca quindi comportamento attuativo, mentre, in assenza di una precedente rinunzia o modificazione del patto, il silenzio o l'inerzia non possono avere da soli alcuna valenza dimostrativa, restando inoltre esclusa la loro valorizzabilità secondo il criterio degli standard sociali di comportamento in vigore in determinati ambienti economici o sociali, trattandosi di condotte tipiche tipizzate dall'ordinamento, che alla mera inerzia del titolare del diritto ricollega non la rinunzia allo stesso , ma la prescrizione. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva considerato il silenzio degli agenti quale comportamento concludente di accettazione di una nuova pattuizione che, modificando la precedente, aveva escluso il diritto alle provvigioni nel caso di vendite dirette da parte del preponente, in violazione dell'esclusiva).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. G C - Consigliere -
Dott. S P - Consigliere -
Dott. C F - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G A, C T, F S, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZALE FLAMINIO 9, presso lo studio dell'avvocato C S P, rappresentati e difesi dagli avvocati T G, A C, S C, GEPPE LOMBARDI, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
BUENA VISTA HOME ENTERTAINMENT S.R.L., THE WALT DISNEY COMPANY ITALIA SPA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 284, presso studio dell'avvocato D M, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati A N, P M, giusta delega in atti;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 672/01 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 23/11/01 R.G.N. 15/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/05 dal Consigliere Dott. Filippo CURCURUTO;
udito l'Avvocato NANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NAPOLETANO Giuseppe che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Il Tribunale di Milano ha rigettato le domande di Alessandro Gardini, Tommaso Caruso, Simone Ferrini contro B V Home Entertainement e W D Company Italia s.p.a. relative ai rapporti di agenzia intercorsi tra le parti del 16 giugno 1990 al 31 ottobre 1996. I ricorrenti hanno proposto appello chiedendo, per ciò che ancora interessa, che le appellate fossero condannate in solido, previo accertamento della illegittimità della unilaterale restrizione della clientela, al pagamento delle provvigioni degli affari conclusi direttamente o tramite la società Mach 3;al pagamento delle spese di trasferta per le riunioni indette dalle società W D e B V;al pagamento di un compenso per le operazioni di merchandising e incasso eseguite per conto della società. Gli appellati hanno chiesto inoltre la condanna della sola società B V per gli stessi titoli, per il periodo successivo al 1^ ottobre 1991, nonché al pagamento delle provvigioni per il periodo di preavviso non rispettato, dell'equivalente pecuniario del viaggio premio ad Eurodisney, del Combi PHILIPS e del ciclomotore Velofax, delle differenze sulle indennità di fine rapporto e indennità di preavviso conseguenti al computo di tutti i compensi riconosciuti per i sui esposti titoli nella relativa base di calcolo.
Secondo la sentenza d'appello, gli appellanti hanno censurato quella di primo grado aver ritenuto decisivo il comportamento di non contestazione delle riduzioni di cliente a, operate unilateralmente, senza considerare che gli stessi contratti prevedevano la possibilità del preponente di servire la clientela, salvo il pagamento delle provvigioni indirette, e richiamando vanamente in proposito l'articolo 2 dell'accordo economico collettivo visto che la preponente non aveva rispettato le relative prescrizioni. Sempre secondo la sentenza d'appello gli appellanti hanno sostenuto che l'esclusione dei compensi per l'attività di merchandising si fondava su ragionamento errato e sulla errata valutazione delle prove documentarie e testimoniali, che avevano confermato invece la natura prevalente e autonoma di quell'attività rispetto alla promozione delle vendite.
La sentenza di appello aggiunge che gli appellanti avevano inoltre evidenziato quanto alle spese di trasferta l'esistenza di sufficienti elementi di convincimento, mentre sulla questione dei resi fittizi avevano rilevato che il giudice mediante l'esibizione o la consulenza contabile sulle scritture della società B V avrebbe potuto verificare lo stratagemma attuato, allo stesso modo che in relazione ai frazionamenti delle consegne ed alle conseguenti perdite di affari per i ricorrenti.
Gli appellanti avevano inoltre rilevato - secondo la Corte territoriale - che il diritto ai primi o al loro equivalente derivava dall'essere stato raggiunto dall'intera organizzazione di vendita l'obiettivo prefissato per il viaggio a Eurodisney, circostanza documentale provata, mentre negli altri due casi il mancato raggiungimento dell'obiettivo era da ascrivere allo stratagemma dei "resi" fittizi.
Gli appellanti avevano infine osservato - aggiunge la Corte - che il rigetto della domanda di pagamento di provvigioni fondata sul mancato rispetto del preavviso per l'esclusione dei punti di vendita Esselunga si fondava sul tabulato proveniente dalla stessa società inidoneo a costituire elemento di prova: quindi il giudice anziché disquisire sulla terminologia usata nelle conclusioni avrebbe dovuto procedere alla qualificazione corretta della domanda, decidendola in base ai criteri di cui all'articolo 1223 c.c.. Nella resistenza delle società appellate il giudice del gravame ha rigettato l'appello, così motivando.
I contratti di agenzia stipulati fra le parti prevedono la possibilità per il preponente di concludere affari diretti con i clienti assegnati in esclusiva agli agenti, salvo il diritto di questi ultimi alle provvigioni. Perciò le provvigioni spetterebbero sia che le vendite effettuate alla società MACH 3 vengano considerate quali vendite dirette sia che la MACH 3 debba esser ritenuta un intermediario equiparabile all'agente. Il mancato pagamento delle provvigioni su tali affari è stato fatto valere per la prima volta con il ricorso introduttivo nel dicembre 1996. Quindi il silenzio durato tanto da far maturare, in parte la prescrizione, non può essere interpretato che come comportamento concludente di accettazione del mutamento della pattuizione con efficacia novativa. I contratti in vigore dal 1994 non contengono alcuna clausola circa l'esclusiva e il connesso diritto alle provvigioni indirette. Per contro essi attribuiscono alla soc. B V la facoltà di disporre eventuali variazioni di clienti per esigenze di carattere commerciale e operativo, dandone comunicazione all'agente con preavviso non inferiore a quindici giorni. La validità ed efficacia del contratto dicembre 1993 è ormai coperta dal giudicato, avendo gli appellanti accettato la relativa statuizione. Perciò ogni diversa ed ulteriore allegazione deve ritenersi preclusa. Stando così le cose è esatta la decisione di infondatezza delle pretese degli attori alle provvigioni indirette, contenuta nella sentenza di primo grado.
Nel contratto del marzo 1990 era prevista espressamente fra i compiti dell'agente e implicitamente compensata con la prevista provvigione l'attività di propaganda dei prodotti e l'obbligo di visitare assiduamente e metodicamente la clientela. Nel contratto del dicembre 1993 una quota (2%) della provvigioni contrattualmente riconosciute risulta espressamente riferita all'attività in questione. D'altra parte, come dichiarato dai testi, l'attività di merchandising è risultata, per un verso, sicuramente strumentale rispetto all'attività promozionale dell'agente, siccome volta ad orientare e stimolare l'acquisto del prodotto, e per altro verso sporadica, perché svolta in coincidenza con il lancio di titoli di grande richiamo. Non è emerso, pertanto, l'espletamento di un' attività di merchandising autonoma rispetto all'intero assetto contrattuale, tale da legittimare il diritto ad autonomo compenso, perciò è infondato il motivo di appello riguardante gli emolumenti per l'attività di merchandising.
L'attività di incasso era espressamente riservata da apposita clausola contrattuale alla mandante. Per dimostrare il contrario sarebbe stato necessario contraddire il contenuto di un documento. Al riguardo si manifesta perciò una indispensabile esigenza di specificità nella prova. Il giudice di primo grado ha ritenuto per contro che in proposito vi fossero carenze probatorie. Tali carenze non sono colmate dalle censure degli appellanti.
Circa il diniego delle spese di trasferta le critiche degli appellanti si fondano sul seguente argomento. Era indiscusso che nel periodo controverso vi fossero state riunioni periodiche della forza vendita W D e B V in luoghi nei quali gli agenti non risiedevano ne' erano domiciliati, ragion per cui essi, per parteciparvi, avevamo sicuramente sostenuto delle spese. Si deve osservare però che alla richiesta di rimborso si accompagna di regola il documento giustificativo. In questo caso non è stato prodotto in giudizio nessun documento. Manca perciò la prova dell'esborso effettivo e del suo collegamento con l'attività di lavoro.
Riguardo alle differenze provvigionali richieste in conseguenza dell'illegittimo storno resi da parte dei clienti esclusi, che venivano repentinamente riforniti, l'unico teste interrogato ha collegato il fenomeno dei resi a ragioni esclusivamente commerciali. D'altea parte perché vi sia prova dell'intento fraudolento occorre che i resi non siano stati determinati dalla facoltà riconosciuta espressamente alla mandante di aumentarne il quantitativo ma siano stati fittizi per la successiva restituzione della stessa merce. Tuttavia quest'ultima circostanza non risulta. Quindi il documento n. 145 prodotto dagli agenti non prova di per se l'intento fraudolento. Le medesime ragioni valgono per la pretesa - connessa agli asseriti frazionamenti e ritardi nelle forniture. Esse, inoltre, dimostrano l'infondatezza delle domande di condanna a titolo risarcitorio al pagamento degli equivalenti pecuniali per il raggiungimento degli obiettivi di vendita trattandosi di domande correlate alla questione dei resi. Ne segue l'infondatezza delle doglianze degli appellanti contro le relative statuizioni di rigetto della sentenza impugnata. Quanto alle domande fondate sul mancato rispetto del periodo di preavviso per la esclusione del mandato dei punti di vendita Esselunga, il primo giudice ha riconosciuto per il suddetto periodo il diritto alle provvigioni, pacificamente ammesso dalla convenuta. I ricorrenti non hanno tuttavia dedotto specificamente il danno derivante dal mancato rispetto del termine di preavviso. D'altra parte la violazione di un dovere non equivale a danno. Quindi il giudice avrebbe violato il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato se avesse liquidato somme a titolo di risarcimento. I motivi di appello relativi alla incidenza delle somme anzidette sulle indennità di fine rapporto restano assorbiti dal rigetto delle relative domande.
Alessandro Gardini, Tommaso Caruso e Simone Ferrini chiedono la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su quattro motivi. Le intimate resistono con controricorso illustrato da memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 1743 e 1748 c.c. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto della controversia. Il motivo si riferisce alla statuizione della sentenza circa il comportamento concludente costituente pattuizione di deroga al diritto di ottenere le provvigioni per gli affari conclusi direttamente dalle preponenti, in violazione dell'esclusiva.
La sentenza è censurata per aver considerato il silenzio dei ricorrenti quale comportamento concludente di accettazione di una nuova pattuizione che modificando quella precedente escludeva il diritto degli agenti alle provvigioni nel caso di vendite dirette da parte del preponente.
Il motivo è fondato.
Se è vero che in materia di interpretazione del contratto, l'accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, è anche vero che essa non si sottrae al controllo di legittimità sia quando tale accertamento si fondi su elementi inesistenti o assolutamente inadeguati, sia quando inesistenti o inadeguate siano le regole giustificative che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, restando invece irrilevante ai fini del suddetto controllo la mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (v., per tutte, Cass. 26 marzo 2001, n. 4342;v. anche del resto per la controllabilità delle valutazioni del giudice di merito nel caso di regole giustificative tratte da "standars" di comportamento sociale Cass. 13 aprile 1999 n. 3645;Cass. 22 ottobre 1998 n. 10514;18 gennaio 1999 n. 4343;Cass. 22 aprile 2000 n. 5299;Cass. 3 agosto 2001, n. 10750). Presupposto di una valutazione di adeguatezza della regola che ha condotto il giudice di merito a ricostruire in un determinato modo il negozio è che essa non configga con una regola di carattere normativo.
Nel caso di specie il giudice del merito ha valorizzato come esclusivo elemento di ricostruzione della volontà delle parti il silenzio mantenuto dagli agenti pur in preserva dell'inadempimento altrui. Da tale silenzio il giudice del merito ha dedotto la volontà di accettare una modifica della pattuizione. Ma poiché tale modifica aveva quale contenuto l'esclusione del diritto alle provvigioni essa in sostanza fa assumere al silenzio di significato di una rinunzia al diritto. Ora la volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua unica va univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l'inerzia o il ritardi nell'esercizio del diritto non costituisce elementi sufficienti, di per sè, per dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo esser frutto d'ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Ne consegue che il solo ritardo nell'esercizio del diritto, per quanto imputabile al debitore al titolare dello stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più - esercitato, non può - costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinunzia tacita o di una modifica della disciplina (così, per tutte, Cass. 15 marzo 2004 n. 5240;nello stesso senso, v. in ogni modo anche Cass. 26 febbraio 2004 n. 13861). Risulta quindi chiaro che l'inerzia o il ritardo possono, al più, costituire comportamenti attuativi di un precedente rinunzia sicché, salvo ad incorrere in una fallacia da petizione di principio, non possono venire considerati da soli elemento da ricavare la intervenuta rinunzia. Ciò vuol dire che - se tale rinunzia vi è stata, il mancato esercizio del diritto ne è la coerente esecuzione mentre se non vi è stata il silenzio l'inerzia non hanno di per se valenza dimostrativa alcuna. D'altra - parte, e conclusivamente, non si potrebbe neppure considerare valida la ricostruzione del patto da parte del giudice del merito, vedendovi la valorizzazione della condotta delle parti secondo il criterio degli standards sociali di comportamento in vigore in determinati ambienti economici o sociali, per la decisiva ragione che tale possibilità non può darsi di fronte ad una condotta di per se già tipizzata dall'ordinamento, che alla mera inerzia del titolare del diritto ricollega non la rinunzia allo stesso, senza alcuna specificazione del momento in cui questa si realizzi, ma la prescrizione, correlata al decorso di termini esattamente individuabili (art. 2934 c.c.). Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 1742 e 1748 c.c. omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punto della controversia. Il motivo si riferisce alla statuizione della sentenza circa la previsione di un compenso già implicito nella provvigione per l'attività cosiddetta di merchandising e la sua strumentalità rispetto all'attività promozionale dell'agente.
Con il terzo motivo di ricorso è denunziata violazione degli artt. 24, comma 2, Cost. 101 c.p.c. (diritti di difesa e contradditorio) -
Mancata applicazione dell'art. 421 comma 2 c.p., (poteri officiosi) e dell'art. 432 c.p.c. (vantazione equitativa) - Omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Il motivo si riferisce alle statuizione della sentenza circa la mancata prova delle spese di trasferta, dei resi fittizi e dei frazionamenti e ritardi nelle forniture.
Con il quarto motivo di ricorso è denunziata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Il motivo si riferisce alla statuizione della sentenza circa l'inesigibilità degli equivalenti pecuniari dei premi siccome correlati alla questione dei resi.
Questi tre motivi possono esser trattati congiuntamente perché connessi dal comune riferimento alla valutazione del materiale probatorio, benché sotto angolazioni diverse.
La Corte li giudica infondati ma prima ancora sostanzialmente in gran parte inammissibili.
Il secondo motivo muove dal rilievo che la Corte avrebbe confuso la generica attività di promozione con la ben diversa e specifica attività di merchandising e che, in sostanza, come già aveva fatto il Tribunale, essa non avrebbe esaminato con la dovuta attenzione le risultanze istruttorie, testimoniali e documentali, o non avrebbe dato di esse una lettura corretta.
Il terzo motivo censura la sentenza per non aver considerato che le carenze probatorie concernenti le spese di trasferta, i resi fittizi e i frazionamenti e ritardi nelle forniture era la conseguenza della scelta del giudice di primo grado di sorvolare su molte circostanze capitolate dalla difesa e di interrompere l'audizione dei testimoni ad un terzo circa di quelli indicati dai ricorrenti. D'altra parte questi ultimi avevano insistito con l'appello per il completamento dell'audizione, ma la relativa richiesta non era stata accolta. Nè la prova assunta poteva esser considerata sufficiente per il rigetto. Quanto poi alla mancanza di prova degli esborsi effettivi e del loro collegamento con l'attività di lavoro nel caso delle trasferte, a prescindere dalla mancata audizione di tutti i testimoni, numerosi documenti indicavano che le riunioni si erano tenute e che esse erano senz'altro riunioni di lavoro. D'altra parte è notorio che i ricorrenti non risiedendo a Milano - luogo delle riunioni - recarvisi e trattenervisi avevano incontrato spese. Semmai il giudice avrebbe dovuto utilizzare i poteri officiosi in proposito o far ricorso alla valutazione equitativa.
Il quarto motivo, in particolare, considera la questione della esigibilità del premio per il viaggio ad Eurodisney e in sostanza denunzia la mancata considerazione della lettera 13 novembre 1991 della B V, contenente la promessa del viaggio quale compenso il raggiungimento degli obiettivi di vendita relativi ad un determinato prodotto. Da ciò l'erroneità del giudizio della Corte circa il collegamento fra tale specifica questione quella dei resi. Riguardo ai profili dei tre motivi concernenti le scelte istruttorie circa le prove testimoniali va osservato in via preliminare e assorbente che nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduca omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie, ha l'onere, in considerazione il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di specificare le prove non valutate o erroneamente valutate, nonché di indicare le ragioni del ritenuto carattere decisivo delle stesse (v. fra le molte, Cass. 15 aprile 2002, n. 5442;2 aprile 2002, n. 4663;7 luglio 2001, n. 9224;1^ giugno 2001, n. 7434). Discende da tali principi, o meglio è implicito in essi, che qualora si lamenti, come nel caso di specie, che il giudice di merito abbia "sorvolato" su molte circostanze capitolate dando luogo ad una istruttoria monca, siti onere del ricorrente indicare esattamente tali circostanze riportandone il loro contenuto nel ricorso, non essendo sufficiente il riferimento ai numeri dei capitoli indicati negli atti del giudizio di merito, dal momento che il ricorso deve consentire di per se il riscontro della ammissibilità e fondatezza dei motivi.
Quanto poi alla interpretazione del materiale istruttorio, questione che percorre tutti i motivi e ne costituisce il vero nucleo essenziale, si tratta di tipica valutazioni di merito e questa Corte, con giurisprudenza tanto costante e frequente da far apparire superflua ogni citazione, giudica del tutto inammissibili in sede di legittimità, dal momento che le motivazioni della Corte territoriale in proposito non sono affatto illogiche o incongrue. In conclusione, deve esser accolto il primo motivo di ricorso, mentre gli altri vanno rigettati. La causa va rinviata ad altro giudice di appello, designato in dispositivo che provvedere anche sulle spese e riesaminerà la causa in relazione al motivo accolto sulla base del seguente principio di diritto.
"La volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua unica va univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l'inerzia o il ritardo nell'esercizio del diritto non costituisce elementi sufficienti, di per sè, per dedurne la volontà di rinunciare del titolare potendo esser frutto d'ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. Ne consegue che il solo ritardo nell'esercizio del diritto, per quanto imputabile al debitore al titolare dello stesso e quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di una inequivoca rinunzia tacita o di una modifica della disciplina, e ne costituisca quindi comportamenti attuativo, mentre in assenza di una precedente rinunzia o modificazione del patto, il silenzio o l'inerzia non possono avere da soli alcuna valenza dimostrativa, restando inoltre esclusa la loro valorizzabilità secondo il criterio degli standards sociali di comportamento in vigore in determinati ambienti economici o sociali, trattandosi di condotte di per se già tipizzate dall'ordinamento, che alla mera inerzia del titolare del diritto ricollega non la rinunzia allo stesso ma la prescrizione".