Cass. pen., sez. II, sentenza 06/06/2022, n. 21826
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ato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: D R nato a SAN CIPRIANO D'AVERSA il 24/01/1966 avverso la ordinanza del 10/11/2021 del TRIBUNALE DI POTENZAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D'AGOSTINI;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S P, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata ai fini di una nuova valutazione della decorrenza del termine di fase senza la considerazione della circostanza aggravante de qua;lette le conclusioni del difensore avv. G S, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa in data 10 novembre 2021 il Tribunale del riesame di Potenza, decidendo sull'appello presentato nell'interesse di R D, confermava il provvedimento con il quale il G.i.p. dello stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta intesa a ottenere la declaratoria di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere cui l'imputato era sottoposto dal 12 aprile 2021 per una numerosa serie di reati ovvero, in subordine, la sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari. 2. Ha proposto ricorso R D, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata per violazione di legge e difetto di motivazione sotto due distinti profili, relativi alla richiesta principale e a quella subordinata, entrambe respinte dai giudici della cautela. 2.1. Quanto al primo aspetto, rileva la difesa che il G.i.p., nell'ordinanza genetica, aveva disposto la misura di massimo grado, escludendo però la sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, con la conseguenza che nella prima fase il termine di durata massima della custodia cautelare andava individuato in sei mesi, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., e pertanto era già decorso in data 11 ottobre 2021. Il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l'accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero da parte del Tribunale del riesame sulla sussistenza dell'aggravante avrebbe portato a un anno il termine di durata massima della misura, avendo escluso nella fattispecie l'effetto sospensivo della esecuzione, previsto dall'art. 310, comma 3, del codice di rito, nel caso in cui sia il Tribunale a disporre la misura. Questa ultima norma, invece, opera anche nella ipotesi in cui, in sede di appello, il tribunale disponga una misura estendendo il titolo cautelare a una circostanza aggravante, dovendosi applicare principi di garanzia che siano tali da consentire una coerente lettura delle disposizioni in materia di libertà personale. La citata disposizione, peraltro, e non già quella eccezionale prevista dall'art. 588, comma 2, cod. proc. pen., è stata dalla giurisprudenza ritenuta applicabile nel caso in cui il tribunale del riesame, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, aggravi la misura cautelare originariamente disposta. 2.2. Quanto alla richiesta subordinata, l'ordinanza ha fatto riferimento solo al decorso del tempo, ritenuto irrilevante, trascurando gli altri elementi di novità indicati dalla difesa, quali la conclusione delle indagini preliminari e l'intervenuto sequestro delle società.Il Tribunale ha poi descritto la personalità del ricorrente in un modo che non trova riscontro negli atti processuali e ha altresì confuso il piano della sussistenza delle esigenze cautelari con quello dell'adeguatezza e della proporzionalità della misura in atto, non considerando che il presidio domiciliare era stato richiesto in una Regione diversa dal luogo di origine di R D e da quello di commissione dei fatti.
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