Cass. civ., sez. V trib., sentenza 27/05/2021, n. 14747

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Massime1

In tema di Iva, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 27/05/2021, n. 14747
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14747
Data del deposito : 27 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

RILEVATO CHE:



1. La Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l'appello presentato dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Verona (n. 176/3/12) che aveva accolto il ricorso proposto da R. N., quale legale rappresentante della R. s.r.l., società dichiarata fallita (ma il curatore aveva espresso disinteresse ad impugnare), contro l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti per l'anno 2008, per ave: dedotto costi derivanti dalla commissione di reati. In particolare, il giudice d'appello evidenziava che solo in data 13 gennaio 2014, quindi tardivamente ai sensi dell'art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, in base al quale il deposito dei documenti deve essere eseguito almeno 20 giorni liberi prima dell'udienza, era stata depositata una informativa della Procura della Repubblica di Venezia dalla quale emergeva che il gip di Venezia aveva disposto il rinvio a giudizio di R.N.. Inoltre, aggiungeva la Commissione regionale, dalla documentazione prodotta non emergeva in alcun modo il titolo di reato per il quale era stato rinviato a giudizio il N.. L'indeducibilità dei costi, però, era collegata al compimento di fatti delittuosi connessi con l'attività imprenditoriale che li generava. La mancanza di elementi specifici in ordine al reato ascritto al N. impediva l'accoglimento dell'appello, essendo stato indicato nell'avviso di accertamento, sulla scorta delle risultanze dei rapporti dei carabinieri, che reato era collegato allo smaltimento di rifiuti senza autorizzazione, attività questa che avrebbe potuto costituire solo contravvenzione e non delitto. Pertanto, non emergeva la prova della indeducibilità dei costi dedotti dalla società.



2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate.



3. Resta intimato il contribuente, nonostante la regolare notifica.

CONSIDERATO CHE:



1.Con il primo motivo di impugnazione l'Agenzia delle entrate deduce la "nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) dell'art. 112 c.p.c. e 56 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.", in quanto la sentenza di primo grado, favorevole al contribuente, era stata emessa il 14 maggio 2012 e depositata il 20 giugno 2012, ossia- quando era già in vigore il nuovo testo dell'art. 14, comma 4-bis, legge n. 537 del 1993, entrato in vigore il 29 aprile 2012, norma poi applicata dalla Commissione regionale. La Commissione provinciale aveva escluso la deducibilità dei costi e l'indetraibilità dell'Iva non risultando provato che il giudice penale avesse accertato la sussistenza di fatti qualificabili come reato, a seguito di processo penale. L'Agenzia ha proposto appello rilevando che, per l'indeducibilità dei costi, non era necessaria la pronuncia del giudice penale, essendo sufficiente richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato. Il giudice d'appello, affrontando la questione se vi fosse o meno la prova del rinvio a giudizio per delitto non colposo del legale rappresentante della società, avrebbe dunque pronunciato in "ultra petizione", occupandosi di un thema decidendi estraneo al giudizio.



2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della "violazione e falsa applicazione dell'art. 14, comma 4-bis, legge n. 597 del 1993, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.", in quanto la controversia verteva sulla seguente questione: se l'indeducibilità dei costi dei beni o delle prestazioni (e della relativa Iva) direttamente utilizzati per commettere fatti di reato avesse o meno quale necessario presupposto l'accertamento, da parte del giudice penale, di una fattispecie di reato. La sentenza della Commissione regionale, laddove ha rigettato l'appello formulato dall'Ufficio, ha violato e falsamente applicato tale normativa.



3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la "violazione e falsa applicazione dell'art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537 del 1997, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c." in quanto, il giudice d'appello, pur affermando che per l'indeducibilità dei costi da reato occorre l'esercizio di azione penale, da parte del Pubblico Ministero, per delitti non colposi, ha rigettato poi l'appello, non risultando il titolo del reato per il quale era stato disposto il rinvio a giudizio del legale rappresentante della società, R. N.. Il giudice d'appello, però, ha errato sul punto, in quanto l'esercizio dell'azione penale diverge dal decreto che dispone il giudizio. L'esercizio dell'azione penale, infatti, si manifesta nella richiesta di rinvio a giudizio o in atti simili, come la richiesta di giudizio immediato. Pertanto, la Commissione regionale, lamentando la mancanza di prova del titolo del reato per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio, si sofferma sulla carenza di prova su un fatto irrilevante per il giudizio.



4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la "violazione e falsa applicazione artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e sette d.lgs. n. 546 del 1992, 14 legge n. 597 del 1993 e 260 d.lgs. n. 152 del 2006, in combinato disposto in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.", in quanto il giudice d'appello ha ritenuto implicitamente, ma chiaramente, avendo fatto riferimento ad azione penale esercitata sulla base delle ipotesi formulate nelle indagini preliminari, che vi sia stato il rinvio a giudizio per i reati contestati all'imputato;
ha ritenuto però che dall'avviso di accertamento e dagli atti di causa non risultasse il titolo dei reati oggetto dell'indagine preliminare. Tuttavia, nell'avviso di accertamento si dava atto che l'indagine preliminare riguardava il delitto di cui all'art. 416 c.p., la contravvenzione di cui all'art. 256 del d.lgs. n. 152/2006 ed il delitto di cui all'art. 260 del d.lgs. n. 15/2006. La stessa controparte, del resto, nel suo ricorso di primo grado aveva ammesso che la contestazione atteneva al compimento di "un'attività delittuosa nel trattamento (gestione dei rifiuti), riconducibile ai reati di cui agli artt. 256 e 260 d.lgs. n. 152/06". Pertanto, era pacifico fra le parti che l'indagine preliminare riguardava anche il reato di cui all'art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, che era punito a titolo di dolo.



4.1. Il ricorso è inammissibile.



4.2. Invero, quanto alla possibilità per la società di dedurre i costi o di detrarre l'Iva, deve valutarsi l'applicazione dell'art. 14 comma 4 bis, legge 1993 n. 537 come modificato dal d.l. 16/2012.



4.3. In relazione, alla deducibilità dei costi da attività illecita, l'art. 2, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha inserito il comma 4 bis dopo il comma 4 della legge 537/1993, in base al quale "nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi,.... non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti". Pertanto, con la legge 289/2002 si è prevista la non deducibilità di costi o spese riconducibili a "reati".



4.4. L'art. 8 del d.l. 16 del 2012, sostituendo il comma 4 bis della legge 537/1993, ha, invece reso possibile, a determinate condizioni, la deducibilità di costi collegati a reati, con esclusione però dei costi e delle spese "direttamente utilizzati" per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo per quale il Pubblico Ministero abbia esercitato l'azione penale. In particolare, il nuovo art. 14 comma 4-bis, legge