Cass. civ., sez. I, sentenza 03/06/2020, n. 10496

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 03/06/2020, n. 10496
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10496
Data del deposito : 3 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

360 n. 5 c.p.c., vizio di motivazione, in violazione dell'art.132 n. 4 c.p.c., stante il mancato esame di fatti decisivi, rappresentati dalla «massima disponibilità» manifestata dal B per la visione di documenti contabili, essendosi solo contestata la continua ingerenza dell'associato nell'attività di impresa, dalla mancata prova da parte del C dei prelievi dalle casse aziendali e dall'insussistenza di un obbligo di rendiconto infrannuale, non avendo la gestione dell'attività superato l'anno né essendo stato compiuto l'affare oggetto del contratto;
con il secondo motivo, sia la violazione degli artt. 2549, 2553 e 2697 c.c., stante l'insussistenza di un diritto alla restituzione del contributo iniziale «di ingresso in impresa già avviata», e quindi da qualificarsi come corrispettivo dovuto per partecipare ai benefici derivanti dell'attività, contributo, versato dall'associato ed acquisito all'impresa, in difetto, oltretutto, di un obbligo di utilizzo specifico della somma, e che doveva essere restituito solo in caso di positiva conclusione dell'affare, nonché, ex art. 360 n. 5 c.p.c., vizio di motivazione, in violazione dell'art.132 n.4 c.p.c., stante il mancato esame di fatti decisivi, rappresentati dall'insussistenza di un obbligo dell'associante di conferimento dell'importo versato dall'associato in un conto corrente piuttosto che in un altro o di impiego dello stesso per estinguere i mutui contratti per l'esercizio dell'attività.

2. Le due censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono, in parte, inammissibili, in parte, infondate.

2.1. L'associazione in partecipazione (art.2549 c.c.) è un contratto di scambio o sinallagmatico con il quale l'associante attribuisce all'associato, con cadenza annuale se la gestione si protrae per più anni, una partecipazione agli eventuali utili di una sua impresa o di uno o più affari, dietro corrispettivo di un determinato apporto, in genere, costituito da una somma di denaro (con partecipazione, di regola, anche alle perdite dell'impresa o dell'affare, ma sempre nei limiti dell'apporto, Cass. 24376/2008, Cass. 15920/2007, Cass 503/1996), ma talvolta da una prestazione lavorativa, distinguendosi in tal caso il rapporto da quello di lavoro subordinato perché manca il vincolo di dipendenza e la garanzia di un guadagno che sono connaturati al rapporto di lavoro. Trattasi di uno strumento che consente all'imprenditore di reperire mezzi finanziari per lo svolgimento della propria attività o per il compimento di determinate operazioni, senza gravarsi di oneri fissi. I terzi acquistano quindi diritti ed assumono obbligazioni soltanto verso l'associante (art.2551 c.c.) e la gestione dell'impresa o dell'affare spettano esclusivamente allo stesso associante ( art.2552 comma 1 c.c.), salvo attribuzione specifica di poteri di gestione e rappresentanza all'associato attraverso un distinto mandato con rappresentanza o preposizione institoria (Cass. 1191/1997). Elemento essenziale, connotante la causa, è la partecipazione dell'associato al rischio di impresa, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite (Cass. 19475/2003);
le parti hanno tuttavia facoltà di determinare la partecipazione alle perdite in misura diversa da quella della partecipazione agli utili ovvero di escludere del tutto la partecipazione alle perdite (cosiddetta cointeressenza impropria ex art.2554 c.c., Cass. 503/1996, Cass. 24376/2008, Cass. 8935/2014), essendo invece la cointeressenza propria caratterizzata dalla partecipazione agli utili ed alle perdite ma senza apporto all'impresa altrui. Quanto poi al potere di controllo conferito dalla legge all'associato, in quanto partecipe, sia pure nei limiti della quota di utili cui partecipa e dell'apporto conferito, del rischio economico dell'impresa o dell'affare, egli ha diritto, salvo i poteri di controllo conferitigli in contratto, quantomeno, al rendiconto dell'affare compiuto o al rendiconto annuale se la gestione si protrae per più di un anno, in modo da potere controllare la congruità degli utili riconosciutigli o delle perdite addossategli (art.2552 c.c.).

2.2.Nella specie, risulta dalla decisione impugnata che, sin dal preliminare del settembre 2007, era stata convenuta, tra il B Daniele (oltre a B Sergio e B Simone, di cui poi, in giudizio, è stata dichiarata la carenza di legittimazione, per difetto della qualità di associante), titolare di concessione per la vendita di monopoli, ed il C R, la costituzione di un'associazione in partecipazione per la gestione dell'attività di rivendita di monopoli di una tabaccheria sita in Vinci (Firenze), per effetto della quale, da un lato, l'associante B si obbligava a riconoscere all'associato C una quota di un terzo degli utili netti e, dall'altro lato, l'associato C avrebbe apportato, oltre alla propria attività lavorativa, anche le risorse necessarie alla conduzione dell'azienda nella stessa proporzione degli utili ed in particolare, quale contributo iniziale, la somma di C 130.000,00 (di cui C 60.000,00 versati alla data del preliminare e C 70.000,00 versati alla data del definitivo). Si trattava quindi di un'associazione in partecipazione, essendo previsto per l'associato sia l'apporto in denaro e con prestazione lavorativa sia la partecipazione, nei limiti dell'apporto, agli utili ed alle perdite.

2.3. Ora, come chiarito da questa Corte (Cass. 13968/2011), «il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, nè la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante», cosicché «soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, il quale può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili e all'apporto, ma non che gli sia attribuita una quota degli eventuali incrementi patrimoniali, compreso l'avviamento, neppure se ciò le parti abbiano previsto nel contratto, in quanto una clausola di tal fatta costituisce previsione tipica dello schema societario, come tale incompatibile con la figura disciplinata dagli art. 2549 e segg. cod. civ., con la conseguenza che al contratto complesso, in tal modo configurabile,
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