Cass. civ., sez. I, sentenza 03/02/2006, n. 2419
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La curatela del Fallimento della s.a.s. T. e del socio illimitatamente responsabile A.B. conveniva avanti al Tribunale di Pistoia la s.a.s. P. di S. & C. chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 93.600.000 relativi ad una fattura di pari importo risultante dalla contabilità della fallita per lavori effettuati nell'interesse di detta società, emessa tre giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento e risultata quietanziata, senza però che il relativo pagamento fosse stato registrato. Deduceva altresì che la società P., alla richiesta di chiarimenti, si era limitata a trasmettere quattro matrici di assegni bancari ed una quietanza recante la stessa data della fattura, documenti questi che non potevano costituire prova del relativo pagamento, peraltro, se fosse avvenuto in epoca successiva al fallimento, sarebbe inefficace ai sensi della L. Fall., art. 44.
La convenutasi costituiva, ribadendo di aver effettuato il pagamento per L. 90.000.000 a mezzo di quattro assegni, di cui però produceva in fotocopia solo tre per l'importo complessivo di L. 75.000.000, precisando che, per quanto riguarda il residuo importo di L. 3.600.000, il pagamento era avvenuto in contanti. In relazione alle fotocopie dei tre assegni prodotti la curatela disconosceva comunque la loro conformità agli originali.
Con sentenza dell'08/04/1998 il Tribunale rigettava la domanda. Proponeva impugnazione la curatela ed all'esito del giudizio, nel quale si costituiva la controparte, la Corte d'Appello di Firenze con sentenza dell'8/5 - 17/10/2001, in parziale riforma della decisione impugnata, condannava la società P. al pagamento in favore della curatela della somma di L. 18.600.000 con gli interessi dalla data (01/04/1994) della richiesta di pagamento da parte del difensore della curatela.
Dopo aver richiamato il principio della inopponibilità al curatore fallimentare, in quanto terzo, della quietanza rilasciata dal creditore poi fallito, potendo tutt'al più assumere una prova indiziaria liberamente valutabile dal Giudice in concorso con altre circostanze, rilevava la Corte d'Appello che una generica dichiarazione di quietanza rilasciata dal creditore nell'imminenza del suo fallimento, senza peraltro che dell'avvenuto pagamento vi fosse traccia nella contabilità aziendale, non poteva costituire neppure un serio indizio di detto pagamento in mancanza di altri elementi gravi e concordanti, con la conseguenza che dovevano ritenersi sforniti di prova sia il pagamento in contanti di L.
3.600.000 e sia quello di L. 15.000.000, che sarebbe stato eseguito con il quarto assegno prodotto in appello, inconsiderazione della incompletezza della fotocopia del retro del titolo da cui non era possibile rilevare nemmeno se fosse stato. Incassato e comunque se la riscossione fosse avvenuta prima del fallimento.
Per quanto riguarda invece i tre titoli di L. 25.000.000 ciascuno, osservava che, essendo stati posti all'incasso dal B. in epoca sicuramente anteriore alla dichiarazione di fallimento, ben poteva ritenersi raggiunta la prova del pagamento delle relative somme, con la conseguenza che la domanda doveva trovare accoglimento limitatamente all'importo di L. 18.600.000. In relazione infine alla contestazione da parte della curatela in ordine alla conformità delle copie agli originali, osservava che dette copie, pur non potendo costituire piena prova, ben potevano essere valutate in via presuntiva, che da un loro esame non appariva alcun elemento da cui dedurne la non conformità, e che l'appellante non aveva specificato in alcun modo le ragioni della contestazione.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione la s.a.s. P. di S.M. & C., deducendo un unico motivo di censura illustrato anche con memoria.
Resiste con controricorso la curatela del Fallimento della s.a.s. Tecno Impianti che propone anche ricorso incidentale affidato pur esso ad un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l'incidentale, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza. Con l'unico motivo del ricorso principale la s.a.s. P. di S.M. & C. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 e 2708 c.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria. Lamenta che la Corte d'Appello abbia ritenuto priva di rilevanza probatoria, anche come semplice indizio, nei confronti della curatela la quietanza rilasciata dal fallito B.A., senza considerare che a fronte di una tale produzione la curatela si era limitata ad affermare che nella contabilità dell'azienda non vi fosse traccia del pagamento e che ad una tale omissione avesse interesse lo stesso fallito per evitare di darne conto ai creditori e senza tener conto che, oltre alla fattura, erano state prodotte le matrici degli assegni. Sostiene altresì che anche la copia dell'assegno di L. 15.000.000, che non riportava interamente il retro, avrebbe dovuto costituire una prova del relativo pagamento che invece era stata esclusa con motivazione incomprensibile sul rilievo che esso ben poteva essere stato girato allo stesso emittente che magari lo aveva a sua volta girato a terzi. La censura è infondata.
Nel ritenere inopponibile al Fallimento la quietanza rilasciata dal fallito B.A., la Corte d'Appello ha richiamato principi da tempo ormai consolidati, facendone poi corretta applicazione, anche nella parte riguardante il conseguente apprezzamento di merito che detti principi richiedono, sulla base di una valutazione immune da vizi logici. Se è vero infatti che la quietanza rilasciata all'atto del pagamento dal creditore è vincolante per il Giudice, avendo natura di confessione stragiudiziale ai sensi dell'art. 2735 c.c., se fatta valere nel giudizio in cui siano arti gli stessi soggetti che ne siano stati rispettivamente autore e destinatario, non altrettanto può dirsi allorché sia opposta nel giudizio promosso dal curatore del fallimento per ottenere l'adempimento di un'obbligazione. La validità di un tale principio non è contestata però dalla società ricorrente la cui censura investe solo la valutazione operata nell'ambito del carattere indiziario correttamente attribuito in tal caso alla quietanza.
Ma sul punto la censura non coglie un effettivo vizio di motivazione. In primo luogo si osserva che nessuna rilevante obiezione viene prospettata in ordine alle specifiche ragioni per le quali non è stata riconosciuta all'elemento indiziario dignità di prova dalla Corte d'Appello la quale l'ha esclusa sul rilievo che non vi era traccia di pagamento nella contabilità aziendale e che era ragionevole nutrire dei sospetti sulla veridicità del contenuto di una quietanza rilasciata appena tre giorni prima della dichiarazione di fallimento. Infatti in ordine alla prima circostanza (non vi era traccia dei pagamenti nella contabilità aziendale), manca qualsiasi riferimento in ricorso, mentre per quanto riguarda la seconda (quietanza rilasciata appena tre giorni prima della dichiarazione di fallimento), la ricorrente si limita a prospettare una diversa valutazione in sostituzione di quella operata dalla Corte d'Appello, improponibile in questa sede. In secondo luogo sono state richiamate le fotocopie, prodotte in giudizio, delle matrici dei quattro assegni, con il rilievo che la Corte d'Appello avrebbe dovuto valutarle come elementi di riscontro. In verità, relativamente a tre assegni non si tratta solamente di copie di matrici, risultando dalla sentenza impugnata che sono stati prodotti in fotocopia i titoli rilasciati in pagamento ma, a parte il fatto che sulla base di tali fotocopie sono stati poi riconosciuti i relativi importi (con la conseguenza che un giudizio positivo sulla quietanza avrebbe prodotto i suoi effetti sostanziali unicamente sulla residua somma di L. 18.000.000), rimane pur sempre il fatto che si verte nell'ambito di una valutazione di merito in cui non è ravvisabile alcun vizio di motivazione nei termini richiesti dall'art. 360 c.p.c., n. 5, vale a dire nè un'obiettiva deficienza del criterio logico seguito dal Giudice e nè un contrasto insanabile fra le parti della motivazione nel ritenere che le fotocopie di detti assegni valgono per i valori facciali che essi esprimono e non già anche quali elementi idonei ad integrare la quietanza ai fini del riconoscimento dell'importo maggiore in essa indicato.
Similmente nell'ambito di una valutazione di merito, operata in applicazione di corretti principi giuridici, si muove anche la censura relativa alla fotocopia del quarto assegno, cui peraltro, a differenza delle altre, non è stata riconosciuta nemmeno un'autonoma rilevanza giuridica in considerazione della sua incompletezza in quanto mancante del "retro".
Anche in tal caso infatti non è ravvisabile alcun vizio di motivazione sulla ragione addotta dalla Corte d'Appello la quale ha sottolineato come non sarebbe stato possibile verificare, oltre all'avvenuta riscossione della somma, la relativa data (e cioè io se prima o dopo il fallimento con conseguente inefficacia in tale seconda ipotesi nei confronti del Fallimento), senza peraltro che su tale specifico punto fosse stata proposta alcuna censura. In conclusione, richiamato il principio della inopponibilità della quietanza al Fallimento in quanto terzo e della possibilità comunque di attribuire ad essa valore indiziario, la Corte d'Appello ha escluso in concreto che da essa potesse desumersi la prova dell'avvenuto pagamento attraverso una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità in quanto immune da vizi logici e giuridici, come sopra è stato evidenziato.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale la curatela del fallimento della Tecno Impianti s.a.s. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2719, 2697 e 2729 c.c. nonché motivazione insufficiente e/o contraddittoria. Dopo aver precisato che il disconoscimento delle fotocopie non è regolato dall'art. 2712 c.c. ma dall'art. 2719 c.c., sostiene la ricorrente che il fatto noto da cui presumere la conformità della fotocopia all'originale non può essere la stessa fotocopia disconosciuta, come invece ha sostanzialmente ritenuto la Corte d'Appello che ha basato il proprio convincimento sul semplice rilievo che dall'esame delle copie degli assegni non appariva alcun elemento che potesse farne ritenere la non conformità agli originali.
Sostiene inoltre che la dichiarata conformità non era peraltro decisiva per provare l'avvenuto pagamento di L. 75.000.000 e cioè che dalla ritenuta conformità si potesse risalire al pagamento in quanto ben poteva essere avvenuto per mancanza di provvista. Anche tale censura è infondata.
A differenza di quanto avviene allorché il disconoscimento riguardi l'autenticità della scrittura e della sottoscrizione, qualora con esso si contesti invece la conformità della copia con l'originale ben può il Giudice verificarne la conformità anche mediante presunzioni sulla base di elementi tratti "aliunde".
Orbene la censura, nel contestare l'apprezzamento, questa volta positivo, espresso dalla Corte d'Appello, ha sottolineato come la sentenza impugnata avesse tratto elementi di valutazione dalle stesse fotocopie anziché, come avrebbe dovuto, da altre fonti (aliunde), rivelando in tal modo che non era stata in grado di rinvenirle. Ma, se è vero che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso della necessità di un effettivo riferimento ad elementi di giudizio non desumibili dalle stesse fotocopie da valutare. (Cass. 7960/2003;
Cass. 4661/2002), è anche vero che da tale principio non si è discostata la Corte d'Appello, la quale ha sottolineato, integrando in tal modo la motivazione con considerazioni non direttamente tratte dalle fotocopie, che non solo non erano emersi elementi di segno contrario ma che lo stesso soggetto che ne aveva contestato la conformità non aveva specificato le ragioni del suo