Cass. pen., sez. IV, sentenza 09/02/2023, n. 05620
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Testo completo
nte SENTENZA sui ricorsi proposti da: C A nato a BRI il 22/07/1970 D M nato a TRIGGIANO il 20/05/1957 R L nata a BRI il 17/08/1970 avverso la sentenza del 11/05/2021 della CORTE APPELLO di BRIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO, che ha concluso nel senso del rigetto dei ricorsi;
udito l'avvocato C S del foro di BRI in difesa dell'imputato C A che insiste nell'accoglirnento del ricorso;
udito l'avvocato C M R del foro di BRI in difesa degli imputati D M e R L che insiste nell'accoglimento del ricorso congiunto;
RITENUTO IN FATI-0 1. Per quanto ancora di rilievo nel presente processo, il G.u.p. del Tribunale di Bari, all'esito di giudizio abbreviato celebrato con riferimento alla fattispecie di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 e 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (c.d. «T.U. stup.»), previa riqualificazione in termini di tentativo ed esclusa la circostanza aggravante di cui al citato art. 80, ha assolto L R, per non aver commesso il fatto, e condannato A C e M D.
2. Con la sentenza di cui in epigrafe e sempre per quanto ancora di rilievo, la Corte d'appello di Bari, su impugnazione del Pubblico Ministero oltre che di A C e M D, ha condannato i tre imputati per la fattispecie consumata contestata nel capo d'imputazione, di cui agli articoli 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ferma restando l'esclusione della citata circostanza aggravante, così rigettando gli appelli degli imputati e ribaltando la sentenza assolutoria emessa nei confronti di L R.
3. Avverso la sentenza d'appello è stato proposto ricorso nell'interesse di A C oltre che ricorso congiunto nell'interesse di Ranieri e Dicosola fondati, rispettivamente, su tre e due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
3.1. Nell'interesse di Carbonara, con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 443 cod. proc. pen. in ragione dell'inammissibilità dell'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso la sentenza di condanna dell'imputato emessa all'esito di giudizio abbreviato e al di fuori dell'ipotesi, prevista dal terzo comma del citato articolo, di modifica del titolo del reato. Premesso che l'imputazione originaria aveva a oggetto la fattispecie consumata di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e che il giudice di primo grado ha condannato l'imputato per il mero tentativo, per il ricorrente opererebbe nella specie il limite all'appello da parte del Pubblico Ministero in quanto non si sarebbe realizzata una ipotesi di modifica del titolo del reato così come, per giurisprudenza di legittimità, non vi sarebbe violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. nel caso di condanna per fattispecie tentata in luogo di una contestazione per fattispecie consumata.
3.1.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge per non aver la Corte territoriale dichiarato, ex art. 129 cod. proc. pen, non doversi procedere per la fattispecie tentata (per la quale vi era stata condanna in primo grado) essendosi la stessa estinta per prescrizione intervenuta dopo la sentenza di primo grado ma prima della statuizione d'appello.
3.1.2. Con il terzo motivo del ricorso, infine, si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in merito alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, circostanza che, peraltro, si riverbererebbe sulla commisurazione giudiziale della pena ex art. 133 cod. pen.,, in ragione di una mera generica valutazione operata dalla Corte territoriale priva delle necessarie argomentazioni logiche e tale da non considerare il mutamento dello stile di vita da parte del reo e la circostanza per cui, nel corso del giudizio d'appello l'imputato a causa del decesso dei difensori di fiducia sarebbe stato difeso d'ufficio.
3.2. Con il primo motivo del ricorso congiunto proposto nell'interesse di L R e M D si deduce, circa la posizione della prima, la circostanza per cui il ribaltamento della sentenza assolutoria non sarebbe sostenuto dalla necessaria c.d. «motivazione rafforzata». Per la ricorrente, in sostanza, si sarebbe dovuti pervenire alla conferma della pronuncia assolutoria, per lo meno in applicazione della regola di giudizio del c.d. «ragionevole dubbio», in forza delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da L R e di una valutazione degli elementi emergenti dalle conversazioni intercettate tale da negare agli stessi valenza indiziaria circa il concorso dell'imputata. Sempre una diversa valutazione degli elementi emergenti dalle intercettazioni, peraltro, per il medesimo motivo in esame, si sarebbe dovuta porre a fondamento di una pronuncia assolutoria nei confronti di M D e, comunque, a detta del secondo motivo di ricorso, avrebbe dovuto condurre a sussumere, al pari di quanto avvenuto in primo grado ma con rifermento a entrambi i ricorrenti, la concreta fattispecie accertata nell'astratta previsione di cui agli artt. 110 e 56 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990. 4. Le parti hanno
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO, che ha concluso nel senso del rigetto dei ricorsi;
udito l'avvocato C S del foro di BRI in difesa dell'imputato C A che insiste nell'accoglirnento del ricorso;
udito l'avvocato C M R del foro di BRI in difesa degli imputati D M e R L che insiste nell'accoglimento del ricorso congiunto;
RITENUTO IN FATI-0 1. Per quanto ancora di rilievo nel presente processo, il G.u.p. del Tribunale di Bari, all'esito di giudizio abbreviato celebrato con riferimento alla fattispecie di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 e 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (c.d. «T.U. stup.»), previa riqualificazione in termini di tentativo ed esclusa la circostanza aggravante di cui al citato art. 80, ha assolto L R, per non aver commesso il fatto, e condannato A C e M D.
2. Con la sentenza di cui in epigrafe e sempre per quanto ancora di rilievo, la Corte d'appello di Bari, su impugnazione del Pubblico Ministero oltre che di A C e M D, ha condannato i tre imputati per la fattispecie consumata contestata nel capo d'imputazione, di cui agli articoli 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ferma restando l'esclusione della citata circostanza aggravante, così rigettando gli appelli degli imputati e ribaltando la sentenza assolutoria emessa nei confronti di L R.
3. Avverso la sentenza d'appello è stato proposto ricorso nell'interesse di A C oltre che ricorso congiunto nell'interesse di Ranieri e Dicosola fondati, rispettivamente, su tre e due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
3.1. Nell'interesse di Carbonara, con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 443 cod. proc. pen. in ragione dell'inammissibilità dell'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso la sentenza di condanna dell'imputato emessa all'esito di giudizio abbreviato e al di fuori dell'ipotesi, prevista dal terzo comma del citato articolo, di modifica del titolo del reato. Premesso che l'imputazione originaria aveva a oggetto la fattispecie consumata di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e che il giudice di primo grado ha condannato l'imputato per il mero tentativo, per il ricorrente opererebbe nella specie il limite all'appello da parte del Pubblico Ministero in quanto non si sarebbe realizzata una ipotesi di modifica del titolo del reato così come, per giurisprudenza di legittimità, non vi sarebbe violazione del principio di correlazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. nel caso di condanna per fattispecie tentata in luogo di una contestazione per fattispecie consumata.
3.1.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge per non aver la Corte territoriale dichiarato, ex art. 129 cod. proc. pen, non doversi procedere per la fattispecie tentata (per la quale vi era stata condanna in primo grado) essendosi la stessa estinta per prescrizione intervenuta dopo la sentenza di primo grado ma prima della statuizione d'appello.
3.1.2. Con il terzo motivo del ricorso, infine, si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in merito alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, circostanza che, peraltro, si riverbererebbe sulla commisurazione giudiziale della pena ex art. 133 cod. pen.,, in ragione di una mera generica valutazione operata dalla Corte territoriale priva delle necessarie argomentazioni logiche e tale da non considerare il mutamento dello stile di vita da parte del reo e la circostanza per cui, nel corso del giudizio d'appello l'imputato a causa del decesso dei difensori di fiducia sarebbe stato difeso d'ufficio.
3.2. Con il primo motivo del ricorso congiunto proposto nell'interesse di L R e M D si deduce, circa la posizione della prima, la circostanza per cui il ribaltamento della sentenza assolutoria non sarebbe sostenuto dalla necessaria c.d. «motivazione rafforzata». Per la ricorrente, in sostanza, si sarebbe dovuti pervenire alla conferma della pronuncia assolutoria, per lo meno in applicazione della regola di giudizio del c.d. «ragionevole dubbio», in forza delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da L R e di una valutazione degli elementi emergenti dalle conversazioni intercettate tale da negare agli stessi valenza indiziaria circa il concorso dell'imputata. Sempre una diversa valutazione degli elementi emergenti dalle intercettazioni, peraltro, per il medesimo motivo in esame, si sarebbe dovuta porre a fondamento di una pronuncia assolutoria nei confronti di M D e, comunque, a detta del secondo motivo di ricorso, avrebbe dovuto condurre a sussumere, al pari di quanto avvenuto in primo grado ma con rifermento a entrambi i ricorrenti, la concreta fattispecie accertata nell'astratta previsione di cui agli artt. 110 e 56 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990. 4. Le parti hanno
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