Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 19/08/2005, n. 17053

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L'accertamento di una malattia come professionale (tabellata o meno), ed il consequenziale riconoscimento della rendita, e l'accertamento della dipendenza della malattia da causa di servizio con il consequenziale riconoscimento dell'indennizzo sono retti da regolamentazioni processuali e probatorie proprie e distinte. Conseguentemente, con riferimento alla malattia degli impiegati ed agenti delle Ferrovie dello Stato, in caso di malattia non tabellata perché multifattoriale, non direttamente collegabile con una particolare attività patogena del soggetto, occorre che colui che ne chiede il riconoscimento fornisca la prova delle specifiche caratteristiche e delle concrete modalità di svolgimento dell'attività deputatagli, della malattia di cui è portatore, nonché del nesso eziologico, dandone completa dimostrazione in eventuale opposizione con le contrastanti confutazioni della controparte, trovando integrale applicazione il principio dell'onere della prova, mentre tale regime probatorio è attenuato nell'ipotesi di richiesta di riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio, perché in questo caso il lavoratore è tenuto solo ad osservare l'onere di allegazione, mentre la P.A. resistente deve tenere un atteggiamento, anche processuale, informato ai principi di collaborazione e cooperazione, previsto dalla legge a carico della stessa P.A., tenuta alla prestazione, secondo le disposizioni sul pubblico impiego (alle quali, sostanzialmente, nella materia "de qua", si conformano quelle relative al personale ferroviario).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 19/08/2005, n. 17053
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17053
Data del deposito : 19 agosto 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C S - Presidente -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. V L - rel. Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C S, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA TARO

25, presso lo studio dell'avvocato D M, rappresentato e difeso dall'avvocato P F V, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA già FERROVIE DLLO STATO SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZI PER AZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VLE U TUPINI

113, presso lo studio dell'avvocato C N, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 769/02 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 11/07/02 - R.G.N. 61/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/06/05 dal consigliere Dott. L V;

udito l'Avvocato P;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A P che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DL PROCESSO.
Con sentenza in data 11 luglio 2002, la Corte di appello di Bari rigettava l'appello proposto dal sig. Sebastiano Custodero nei confronti della s.p.a. Ferrovie dello Stato, sua datrice di lavoro, avverso la sentenza del Tribunale in data 5 giugno 2001 con la quale era stata rigettata la sua domanda di riconoscimento del trattamento dovuto per inabilità superiore al 10% da malattia professionale, contratta nell'espletamento dell'attività lavorativa. La Corte di Bari ha disatteso l'assunto secondo cui, essendo stata riconosciuta la causa di servizio per le stesse infermità, da ciò avrebbe dovuto automaticamente conseguire il riconoscimento del diritto a rendita. Nè giovava all'appellante la circostanza dallo stesso dedotta che la datrice di lavoro avrebbe riconosciuto la dipendenza della patologia da fatti di servizio, in quanto ciò non era sufficiente a comprovare il nesso, particolarmente stretto, che la legge esige tra la lavorazione svolta e la patologia. Sicché dovrebbe ritenersi superata la teoria della equivalenza causale, quale prevista dall'art. 41 c.p.. In presenza anche degli accertamenti del consulente tecnico di ufficio, il giudice del merito che la domanda dovesse essere rigettata, difettando quel "quid pluris" richiesto dalla legge per il riconoscimento della malattia professionale. Tanto più che vi era assoluta carenza di prova circa le concrete modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e l'esposizione a rischio specifico. Le infermità denunciate (malattia artrosica, a genesi multifattoriale, e ipoacusia con caratteri non del tutto puramente neurosensoriali) erano state semplicemente concausate in via presuntivamente efficiente, dal lavoro svolto, ma non poteva ritenersi che l'attività lavorativa e le mansioni in concreto esercitate (fossero) state la "conditio sine qua non" delle stesse.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre Sebastiano Custodero con cinque motivi.
Resiste la Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (già Ferrovie dello Stato Società di Trasporti e Servizi per Azioni) con controricorso. MOTIVI DLLA DCISIONE
Col primo motivo di ricorso il Custodero deduce violazione dell'art. 2697 c.civ. e sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
Corte di appello, egli non si era affidato soltanto alla prova desumibile da dichiarazioni della controparte, ma aveva documentato con la delibera a firma del Capo Ufficio Ora., che la società aveva riconosciuto dipendente "da concausa efficiente e determinante di servizio" la patologia denunciata e quindi il nesso causale. Tale documento non era stato nemmeno menzionato dalla Corte di appello se non per escluderne la rilevanza ai fini del riconoscimento della malattia professionale.
Inoltre con la Circolare F.D. nr. 3, la società aveva affermato, in relazione alla "Applicazione delle disposizioni introdotte dalle sentenze della Corte costituzionale 10.2.1988, nr. 179 e 11.2.1988 nr. 206", che "il riconoscimento della dipendenza della malattia da cause di servizio costituisce un elemento certo ed incontrovertibile per quanto concerne la sussistenza del nesso di causalità tra la malattia e l'attività lavorativa espletata".
In relazione al secondo comma dell'art. 2697 c.civ., inoltre, il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che il riconoscimento del nesso causale costituisce fatto idoneo a produrre gli effetti invocati da esso ricorrente, talché sarebbe spettato alla società provare i fatti impeditivi dell'effetto naturale di tale fatto. La documentazione acquisita al processo e concernente la causa di servizio comprovava il nesso causale anche ai fini del trattamento di inabilità.
Coi secondo motivo, deducendo violazione degli artt. 116 e 115 c.p.c. e vizi di motivazione, il ricorrente sostiene che le prove pretese dalla Corte di Appello circa le concrete modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e l'esposizione a rischio specifico, da un lato, erano impossibili da fornire ad opera del lavoratore e, d'altro lato, erano già rappresentate dalla delibera di cui al motivo precedente.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole che, avendo egli chiesto la acquisizione del proprio fascicolo sanitario, dei turni di servizio e del documento di rischio relativo all'attività propria, la Corte non ha spiegato per quale ragione non aveva ritenuto di ammettere tali mezzi, ne' avrebbe potuto, implicitamente, ritenerti irrilevanti prima di averli acquisiti. Non avendo spiegato i motivi del mancato accoglimento delle richieste istruttorie, la Corte era anche incorsa in omissione e contraddittorietà di motivazione. Comunque, il ricorrente aveva prodotto tutta la documentazione relativa alle mansioni svolte (riportate anche nella consulenza di parte), nonché consulenze di parte che la Corte non aveva minimamente considerato, mentre avrebbero imposto, quanto meno, di rinnovare le operazioni peritali.
Col terzo motivo, deduce violazione dell'art. 41 c.p.c., e vizi di motivazione in ordine alla valutazione del nesso eziologico, non essendo stato seguito, quanto meno, il principio di equivalenza

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